Martedì, faceva un po’ più fresco
del solito, ma era il giorno del silenzio e nessuno ci faceva caso. Marco,
seduto come al solito in terrazza, per studiare l’ultimo esame di filosofia, si
arrotolava una sigaretta pensando a sua madre a suo padre che gli facevano
pressione tutti i giorni perché la finisse di
studiare una buona volta e si trovasse un lavoro. Nel giorno del
silenzio non poteva che rispondere agli sguardi dei suoi con altri sguardi e il
discorso si arenava lì, ed era meglio così. Si accese la sigaretta e guardò
fuori. Nel giorno del silenzio l’impossibilità di parlare ci rendeva tutti più
capaci di ascoltare. Ma, per paradosso, proprio nel momento in cui tutti erano
più sensibili e più ricettivi, accadeva che nell’aria dominava soprattutto un
insolito silenzio. Come non accade mai nella vita comune. Non passavano auto,
non si sollevavano saracinesche, non si urlava da una finestra all’altra, non
si chiacchierava per strada, nessuno trascinava i piedi sull’asfalto, nessun
campanello di bicicletta, nessuno parlava al telefono, nessuna televisione accesa.
Nel giorno del silenzio si sentiva solo il silenzio, il frusciare del vento
sugli angoli delle case, lo sfarfallare d’ali di un colombo, un cinguettio
lontano. Se poi uno era dotato d’un udito particolarmente sottile, come Marco,
avrebbe potuto sentire anche il respiro delle persone e il batter di ciglia e
lo sbadiglio soffocato di chi si svegliava, e il fruscio della doccia dentro le
case. Ma se qualcuno gli avesse chiesto «Cosa senti?», Marco avrebbe risposto
con ragione «Il silenzio», e avrebbe sorriso perché ormai, il silenzio, si può
ascoltare soltanto nel giorno dedicato. Gli altri giorni l’abbiamo cancellato.
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