A cura di Stefano Zampieri - Consulente Filosofico

giovedì 27 aprile 2023

Letture: Maurice Blanchot, Thomas l'oscuro (1950)

 


Confesso la mia passione sconfinata per Maurice Blanchot, scrittore e filosofo francese (1907-2003) che purtroppo non gode di particolare fama in Italia, mentre in Francia viene considerato uno dei punti di riferimento della cultura del ‘900.

Per me in realtà è qualcosa di diverso, è un maestro prima di tutto, colui che mi ha ispirato e spronato silenziosamente per tutta la vita, dalla mia tesi universitaria in poi, che mi ha dato un modello, che non ho saputo nemmeno sfiorare, di coerenza intellettuale, ma anche di trasparenza nel linguaggio e lucidità nell’espressione. Un esempio di rigore intellettuale.

 

Thomas l'Oscuro è il primo romanzo di Maurice Blanchot. Pubblicato dapprima nel 1941 e poi in una versione rivista nel 1950, viene ora tradotto in italiano -  per la prima volta!-  da  Francesco Fogliotti per il Saggiatore.

 

Il protagonista della storia è Thomas, alter ego dell’autore stesso, un personaggio che sfugge a ogni precisa descrizione, in base al principio secondo cui nella scrittura si realizza un diverso modo di “vedere”.  All'inizio del romanzo nuota in mezzo a un mare d'improvviso mutato in tempesta. Nelle scene successive lo ritroviamo in un cimitero, intento a scavare con le mani una tomba in cui sdraiarsi e fare esperienza della fine. E poi lo ritroviamo in un albergo, dove conosce Anne. La giovane donna che Thomas ha incontrato casualmente e con la quale inizia una relazione che si tramuta in un vincolo misterioso e inscindibile, si ammala e dopo una penosa agonia muore.

I capitoli della morte e l’incontro del cadavere sono probabilmente quelli più forti e inquietanti di tutto il libro.

 

Volessimo anche solo provare a indicare le tematiche più rilevanti di questo testo potremmo indicare certamente il tema della morte, che  la protagonista vorrebbe esperire da viva, superando così l’impossibilità costitutiva dell’esistenza umana, oppure quelli del rapporto tra personaggio e persona: nel testo infatti assistiamo continuamente a uno sdoppiamento per cui  i protagonisti si vedono come dall’esterno e così duplicano il rapporto tra le persone viventi e le loro rappresentazioni, grande e irrisolto mistero della letteratura. Ma vi è anche il tema della distanza che separa gli esseri e che ognuno di noi vorrebbe superare nel disperato tentativo di incontrare l’altro non come un estraneo incomprensibile. 

 

C’è chi ha collocato la narrativa di Blanchot all’interno del genere surrealistico, e certamente la sua è una scrittura assai lontana da ogni forma di realismo, tuttavia bisogna evitare di cadere nella trappola della collocazione in un genere: l’opera di Blanchot è prima di tutto una messa in questione delle potenzialità della letteratura stessa come tale, al di là dei generi e delle forme, è la messa in questione delle trappole, dei misteri, delle contraddizioni, dei paradossi contenuti nel gesto di scrivere.

 

martedì 25 aprile 2023

Introduzione alla Consulenza Filosofica 16 : essere felici

 

ESSERE FELICI

 

 


Felicità e dolore: la mia esperienza mi dice che l’una chiama l’altro e viceversa. Tanto più ho conosciuto il dolore tanto più ho saputo apprezzare la felicità. Ogni momento di felicità mi ha reso più penoso il dolore dell’esistenza.

Ma al principio è la felicità. Io infatti rifuggo il dolore e perseguo la felicità. Perché essa dà senso al mio presente spostandolo verso l’attesa della felicità futura, verso la speranza o l’immaginazione di una condizione di vita felice o almeno più felice di quella attuale.

La felicità è quel che cerco, ciò cui voglio avvicinarmi, e tutti gli ostacoli che incontro sono ostacoli alla mia felicità.

Ma posso raggiungere uno stato definitivo di felicità, dal quale non sia più possibile tornare indietro? È chiaro che no, non in questa vita almeno. Perché sarebbe il Paradiso, l’Eden o l’Età dell’Oro: tutti luoghi e condizioni fuori del tempo e della vita.

Io voglio invece perseguire la mia felicità in ogni attimo, e nell’attimo raccoglierla, come ciò che può illuminare la mia esistenza. Come ciò che dà un senso alla mia vita perché ne mostra il legame con il mondo e con gli altri. Perché se il dolore è ciò che separa, la felicità è ciò che unisce. E unendo dà valore alla vita perché la rende larga, aperta, inesauribile, carica di possibilità.

Anche se so bene che non esiste una felicità, che sia la stessa per tutti, riconoscibile, perseguibile, rappresentabile. Esistono piuttosto molti modi di essere felici. Diversi nel tempo e nello spazio, diversi persino dentro di me. Mano a mano che cambio io stesso cambia il mio modo di perseguire e di pensare alla mia felicità. Cambia il mio modo di essere felice.

 

 

giovedì 20 aprile 2023

Letture: Il piccolo libro dell'ikigai di Ken Mogi (2018)

 


Nell'ambiente filosofico circola l'idea che esista una misteriosa cultura filosofica giapponese, ricca di fascino e di suggestioni. Così vi sono alcune parole quasi intraducibili intorno alle quali si sviluppa un'aura sapienziale. Una di queste parole è ikigai, termine che potrebbe essere tradotto con ragione di vivere, ragion d'essere. Diciamo, semplicemrnte il motivo per cui ci si alza la matina, ciò che ci spinge a fare, a impegnarci, a insistere.  Qualsiasi sia il motivo concreto ognuno può avere il proprio ikigai. Naturalmente come tipico in questo tipo di argomentazione retorica, ci sono 5 pilastri:  1. cominciare in piccolo 2. dimenticarsi di sè 3. armonia e sostenibilità 4. la gioia delle piccole cose  5. stare nel qui e ora. 

Se poi vogliamo seguire le argomentazioni dettagliate di Mogi scopriremo che si tratta di adottare certi comportamenti, alzarsi presto la mattina per riconoscere lo spirito del sole nascente, fare la ginnastica del mattino sulla musica  (radio tasio), giocare agli scacchi giapponesi (shogi) ecc. L'autore esalta vistosamente lo stile di vita giapponese più tradizionale e più stereotipato, assai lontano in realtà dalla frenetica vita delle metropoli giapponesi di oggi, ed esalta di conseguenza il concetto del kodawari: impegno, dedizione, l'orgoglio per ciò che si fa, il sentirsi insoddisfatti e perciò sempre impegnati a migliorarsi, il culto della perfezione e del sacrificio. 

Il dimenticarsi di sè è precetto acquisito dalla pratica zen e poi esportato alla mindfulness. Lo stare nel qui e ora implica attenzione alla sensibilità, ai piaceri sensoriali, l'essere nel "flusso" delle attività, del lavoro, senza interessi estranei, la dedizione totale senza aspettative di riconoscimento. Ma comporta anche il rispetto della natura effimera di ogni incontro, con gli esseri umani e con gli eventi. 

Insomma l'autore ci seppellisce sotto una retorica piacevole e ricca di esempi curiosi (la cerimonia del tè, il sumo, il balletto), ma al di là delle formulazioni molto prevedibili, e del tono a metà strada tra il mistico e il poetico, non sembra esserci proprio nessuna riflessione originale e interessante. Dubito che esistano molti giapponesi come quelli descritti da Mogi, ma dubito ancor più fortemente che questo modello possa valere per noi occidentali. Resto invece convinto che il nostro nodello culturale esiga riflessioni e argomentazioni che solo la filosofia può offrire in modo soddisfacente.  

lunedì 17 aprile 2023

Introduzione alla Consulenza Filosofica 15 : la realtà possibile

 

LA REALTA’ POSSIBILE

 


Siamo il frutto di un sistema di relazioni. Non siamo isole al largo dell’oceano, né pianeti nel vuoto del cielo. Siamo tutto l’insieme di legami a cui diamo vita toccando con le nostre mani le cose del mondo, guardando con i nostri occhi, annusando, gustando le infinite meraviglie del mondo; calcolando i nostri gesti, progettando le nostre azioni, sognando il nostro futuro, raccogliendo di giorno in giorno il nostro passato. Siamo questo tessuto di rapporti, che ci colloca nel mondo, non come automi che una mano sapiente può spostare ovunque senza danno, ma come esseri limitati che hanno bisogno di un sostegno e che lo trovano in una lingua,  in una tradizione, in una geografia, in un tempo che non si sono scelti. 

Ma è proprio questa collocazione fitta di legami che ci tirano da ogni parte che ci rende esistenti e ci costringe ad un continuo andare oltre tutto ciò che ci sta intorno, cose, eventi, persone, immagini. Andare oltre per  non immobilizzarci in una posizione come una statua di sale, come un automa metallico che agisce solo perché un programma gli dice di farlo.

Se volessi fermarmi al mondo come immediatamente mi appare (ammesso che sia possibile) esaurirei ben presto tutta la tensione che anima la mia esistenza, e mi ritroverei incapace di costruire me stesso, di dare corpo alla mia esistenza. Perché in questo movimento verso il mondo, al di là delle cose, delle persone, delle immagini, io mi costituisco, determino la mia identità di persona e colloco il mio progetto di vita.  L’esistenza è una tensione continua, un movimento, e io  sono ciò che sono  nel rapporto che intrattengo con il mondo, attraversando il mondo, dinamicamente, solo così posso davvero dare vita a me stesso.

Ma cosa significa esattamente andare oltre? Significa prima di tutto seguire le tracce delle cose, vedere in esse quel che vi è di possibile oltre la loro immediata presenza, percepire la possibilità che loro appartiene di essere il mio progetto, che non significa solo pensarne l’utilizzo, lo sfruttamento, il consumo. Significa altrettanto vedere in esse il mio desiderio di bellezza e di amore. O semplicemente la mia voglia di creare, di immaginare, di costruire nuovi mondi cui avvicinare questo per un giudizio e una verifica.  

E se tutto questo è possibile, è perché la realtà per sua natura  non è chiusa (a meno che non ci ostiniamo a pensarla così), essa piuttosto è aperta, larga, infinitamente percorribile perché è un realtà allargata. Così dobbiamo vederla se vogliamo trovare in essa la nostra stessa esistenza che si determina, si costruisce e cresce giorno per giorno in un movimento incessante.

 

 

 

 

 

giovedì 13 aprile 2023

Letture: Chandra Candiani, Il silenzio è cosa viva (2018)


È sempre imbarazzante  parlare di qualcosa cui altri attribuiscono significati esistenziali profondi e che invece a me appare come povero di senso. È la situazione in cui mi trovo ora.

Il libretto  di Chandra Candiani Il silenzio è cosa viva, riproposto nella collana "Il senso della vita"e già edito da Einaudi, è scritto innegabilmente molto bene, ma d'altra parte l'autrice è prima di tutto una poetessa, e questo incide sullo stile del suo discorso.

Il libro vorrebbe essere una introduzione all'arte della meditazione e ci costringe a chiederci se l'atto della meditazione abbia un senso oppure no. Personalmente credo che la filosofia sia prima di tutto proprio meditazione, sia solitaria che collettiva, credo che un buon filosofo o anche semplicemente chi voglia, per quanto possibile, vivere filosoficamente, dovrebbe saper ritagliare nella propria quotidianità dei momenti di meditazione. Quindi la risposta alla domanda è:  certamente sì, la meditazione è un momento importante dell'atteggiamento filosofico. 

Detto quersto però escludo, per quanto mi riguarda, che la pratica

 della meditazione spalanchi un mondo invisibile e irraggiungibile in altri modi. Qui va detto con chiarezza: l'autrice dimostra ampiamente le sue qualità poetiche ma un libro come questo, lungi dall'essere un libro di filosofia, è piuttosto da intendere come una raccolta di pensieri poetici. Il meccanismo argomentativo è quello metaforico, si individuano alcuni riferimenti tipici (la stanza vuota, il silenzio, il respiro, l'esser seduti, il camminare, l'immobilità, la consapevolezza, il vuoto, ecc.) e si costruiscono castelli di metafore sopra metafore, lasciando intendere che nell'ambiguità metaforica sia nascosta chissà quale suoprema verità. Ecco un piccolo florilegio: cercare rifugio nelle tre gemme, il luogo dell'altro è il forse, abitare un tremito, rinascere, la carezza come marcia verso l'invisibile, la presenza è riconoscere quello che c'è, la meditazione è seminagione del sacro, il cuore è abitare tutto, il vuoto è conoscitore di mondi...

Formule poetiche, perlopiù metafore efficaci e suggestive. Ma vuote. Non c'è proprio niente dietro questo tipo di discorsi che possono solo essere accettati  o respinti, non realmente discussi. 

Non siamo nel campo della filosofia ma in quello, degno, eminente, della poesia. Ovvero del piacere di far "suonare" le parole.


lunedì 10 aprile 2023

Introduzione alla Consulenza Filosofica 14 : Il mio limite

 

IL MIO LIMITE

 


Il primo obiettivo della mia vita è quello di vivere la mia stessa esistenza padrone (o almeno non servo) di quel movimento inarrestabile che la costituisce. Ma cadrei in un delirio di onnipotenza se mi lasciassi convincere, proprio da quel continuo andare verso qualcosa, che la mia esistenza sia interminabile, infinita. È quel che pensa immediatamente il bambino, nutrito, accudito, signore dei suoi desideri (basta piangere per avere… e in fondo si può ottenere tutto), è quel che ipocritamente (cioè sapendo che non è vero) pensiamo anche noi quando promettiamo eterno amore o progettiamo  la nostra vita per quel che non riusciremo mai ragionevolmente a fare.

La mia esistenza è un movimento inarrestabile sì, ma destinato a interrompersi violentemente. Questo me l’hanno detto, e l’ho osservato intorno a me. È ragionevole pensare, lo si pensa non appena s’arriva all’età della ragione, che quanto è accaduto al nonno, al parente, all’amico, possa accadere anche a me. E forse accadrà. C’è un momento della nostra vita in cui ci convinciamo di essere mortali.  È così che, per la prima volta appare l’ultimo limite.

Ma non è la prima volta che appare il limite come tale, anzi, è proprio perché già abbiamo fatto l’esperienza del limite che ci convinciamo al di là di ogni evidenza, che esista un ultimo limite anche per noi.

Ma dove ho incontrato il limite? In ogni mio desiderio, in ogni mia conquista, in ogni mia scelta: perché soddisfare un desiderio significa lasciare insoddisfatto l’infinito numero delle possibilità alternative. A ogni conquista mi si presenta un altro obiettivo, o un altro ostacolo, e il limite si sposta continuamente. A ogni scelta che compio mi rendo conto del mondo intero di scelte che non posso fare ora e qui, del mondo intero di scelte che la prima mi impone o mi impedisce. O mi rende possibile. Ogni mia scelta è una conferma del limite.

Siamo esseri limitati. Ma lo comprendiamo poco a poco, tanto più ci addentriamo nell’esistenza e le nostre scelte, i nostri desideri, le nostre conquiste ci forgiano facendo di noi ciò che siamo. E quel mondo sterminato di cose che non faremo, di persone che non ameremo, di gesti che non compiremo, di traguardi che non passeremo, è lì come una triste anticipazione del limite ultimo della nostra esistenza, la morte, l’unico evento della nostra vita che non potremo vivere.

 

 

domenica 9 aprile 2023

Immaginare il futuro: Homo pluralis di Luca de Biase

 


L'autore, responsabile dell'inserto "Nova" del Sole 24 Ore, analizza con grande conoscenza e il supporto di una ricca bibliografia, soprattutto straniera, il mondo della rete e del digitale nella sua connessione con la società di oggi.

Fa emergere molto opportunamente il ruolo della rete nei processi di manipolazione delle coscienze, la sua dipendenza dalle forme più sfrenate e ciniche del capitalismo neoliberista contemporaneo.

Tuttavia l'autore non appartiene affatto al genere dei critici della rete, egli, infatti, ne sottolinea i rischi ma al contempo ne valuta le possibilità e ci mette perfettamente di fronte al bivio che oggi ci interroga: essere asserviti alle architetture social oppure rivederle, ripercorrerle e riviverle in base ad altri principi.

E lungo questa seconda ipotesi vediamo emergere dalle pagine di De Biase il sistema di idee più stimolante del libro: la necessità di rivedere l'antropologia umana uscendo dalle sacche dell'individualismo, che è funzionale al sistema di coercizione neoliberista, e cominciare a pensare l'uomo sotto la luce della pluralità: homo pluralis è, appunto, non solo il titolo del saggio ma anche la tesi fondamentale che l'autore vuole proporre ai lettori.

Proprio dalle architetture social è possibile intravedere le forme nascenti di un uomo plurale, di nuove forme di intelligenza collettiva, non omologanti, ma multidimensionali e variegate, che ci consentono di "avere una concezione plurale, complessa ed ecologica della dimensione umana" (p.  219).

Rispetto al futuro, De Biase sostiene con fermezza l’idea che  nella dimensione futura non esistono fatti ma solo narrazioni: “il futuro è costruito dalle narrazioni ch ene diamo” (p. 183), spetta dunque a questo nuovo soggetto plurale elaborare una narrazione nuova rispetto al suo tempo e al tempo che verrà. 


giovedì 6 aprile 2023

Letture: Vittorino Andreoli, La gioia di vivere (2016)


 Vittorino Andreoli è un celebre psichiatra, ben noto al grande pubblico per le sue frequenti partecipazioni televisive. Questo, in generale, non me lo renderebbe molto simpatico, eppure devo riconoscere che questo lungo saggio, "La gioia di vivere. A piccoli passi verso la saggezza", seconda uscita della meritoria collana "Il senso della vita. Per una nuova ecologia dell'anima" in edicola con Repubblica, mi ha colpito e l'ho letto davvero con molto piacere. 

 Andreoli cerca, nel corso delle oltre 300 pagine del libro, di fare luce su un aspetto davvero complesso dell'esistenza umana: la distinzione tra due stili di vita, o meglio tra due visioni del mondo, quella che possiamo indicare come gioia di vivere e quella opposta che possiamo indicare come la fatica del vivere, o il male di vivere, insomma la visione tragica contrapposta a quella gioiosa. 

Ciò che stupisce è che Andreoli testimonia nettamente nella sua analisi a favore di un impianto filosofico. Egli infatti insiste in più punti sulla necessità di un approccio ibrido psicologico-filosofico che rinunci cioè alla rigida distinzione disciplinare che ha origine moderna perchè,  è la sua idea chiave, la filosofia è la sola che può modificare le visioni del mondo. 

 "Un'affermazione che pone la filosofìa entro una con­cezione «terapeutica» acquisendo in questo modo rife­rimenti che non hanno alcun legame con l'analisi del comportamento e con i criteri che ne stabiliscono la pa­tologia. Forse questa apertura potrebbe rivelarsi la chia­ve per entrare nell'area dei «disturbi della normalità», un campo che sta dilatandosi a macchia d'olio senza che il sapere delle psicologie e della psichiatria, e gli strumenti terapeutici da esse usati, riescano a coglierne appieno il significato."(p. 27)

A partire da questa tesi egli percorre con una cerrta sicurezza il terreno classico della psicologia ma anche quello della filosofia, mettendo in discussione concetti come coscienza, inconscio, mondo, salute, tempo fede, speranza, fragilità, paura, dono, pietas, maschile e femminile, regole, e cerca di promuovere una visione del mondo della gioia, intesa come esaltazione di un umanesimo che supera l'impianto individualistico e si nutre di solidarietà, comprensione, dedizione, armonia con la natura, con il mondo, con gli altri. 

Un obiettivo che, egli lo riconosce, non è affatto facile da raggiungere, ma questa ambizione, questa tensione può rappresentare certamente una energia positiva in grado di spingerci verso un mondo migliore.


 

lunedì 3 aprile 2023

Introduzione alla Consulenza Filosofica 13: DIVENTA CIÒ CHE SEI (Essere in relazione 3)

La vita è una continua tensione verso qualcosa. È uno sforzo continuo di  realizzazione. L’esperienza mi dice che non posso fare a meno di sentire, ogni giorno, ogni momento, anche se confusamente, quante possibilità inespresse giacciono dentro di me: penso a tutte le scelte che non ho fatto nella mia vita (ma che permangono ancora come possibilità, almeno in parte), a tutte le parole che non ho detto, o ai sentimenti che non ho mai compiutamente espresso, e ancora penso ai sogni della mia adolescenza, e a quelli che ancora mi capita di fare in certi momenti, ad occhi aperti. Penso a tutte le situazioni che non ho reso possibili e al futuro aperto di fronte a me per effetto di una complicata serie di scelte e di decisioni, ognuna delle quali ha chiuso altri scenari, ha escluso altre situazioni,  altre possibilità future.

È come se dentro di me, vi fosse una riserva solo in parte esplorata, e comunque non vissuta, tutto ciò che posso essere di cui ora realizzo solo una parte. Ma tutto questo non è morto, è sempre lì a disposizione, è quanto conservo in me per il futuro che ancora mi aspetta se accetto di essere fino in fondo questo inarrestabile movimento verso qualcosa. Se mi dispongo a realizzare di volta in volta almeno una parte delle possibilità che mi appartengono.

Diventa ciò che sei, dunque, è la formula della mia realizzazione. Ma non penso che si tratti di qualcosa di strettamente privato. Certo, posso diventare solo ciò che sono già, almeno potenzialmente e non altro. Ma non posso diventare nulla se non dentro un sistema di relazioni, se non dentro una situazione nella quale non sono affatto solo, ma anzi devo dividere con gli altri un sistema di significati, e un’intera realtà.

Diventare ciò che si è, pensando di separarsi dalla rete dei rapporti, dalla situazione concreta in cui si è collocati, significa correre il rischio di una solitudine tragica. Tragica perché autodistruttiva.  Perché se penso di realizzare me stesso in assenza d’altri finisco per cancellare le mie possibilità di comunicazione, di scambio e di condivisione, e quindi finisco per cancellare me stesso.

Diventa ciò che sei, allora, può essere soltanto un principio comunitario: soltanto in mezzo ad altri, che a loro volta si realizzano per ciò che sono, io stesso posso realizzarmi.  

 

domenica 2 aprile 2023

Immaginare il futuro: Alessandro Vespignani, L’algoritmo e l’oracolo. Come la scienza predice il futuro e ci aiuta a cambiarlo (2019)

 


Secondo l’Astronomia antica: dall’osservazione emergono le regolarità di astri, pianeti, eclissi, ecc. (a partire dall’idea che il tempo è circolare e si ripete).

Invece la Scienza moderna: ricava la previsione dal calcolo matematico, per esempio le leggi della gravitazione o del moto dei pianeti ci consentono di prevedere i loro movimenti, le leggi della meccanica ci consentono di prevedere la posizione di un corpo. 

Algoritmo: oggi la prevedibilità dipende dagli algoritmi. Definizione di algoritmo = “una serie di istruzioni precise ed espressioni matematiche che usiamo per trovare associazioni, identificare tendenze, estrarre le leggi e le dinamiche alla base dei fenomeni.” (16)

Presupposto della predicibilità è la teoria della complessità che vede non più individui ma statistiche e Big Data: la capacità di raccogliere ed elaborare una quantità enorme di dati. Ciò che ricava previsioni dalla massa dei dati è l’ALGORITMO.

L’algoritmo moderno prende il posto dell’oracolo per l’antichità.

 

Esempi di oracoli digitali:

- app di previsione del tempo (3B Meteo…)

- app che suggeriscono nuova musica o nuovi libri da acquistare in base ai miei gusti

- app di rassegna stampa secondo i miei interessi

- anticipazioni sulla stagione influenzale

- Previsioni elettorali (dai sondaggi)

- valutazione della affidabilità finanziari da parte della banca

- suggerimento di film da parte di Netflix

- tessera fedeltà del supermercato: prefigura le mie intenzioni d’acquisto

La storia ci insegna che la capacità divinatorie  determinano potere.