Recensione a :
Salvatore Natoli, Guida alla formazione
del carattere, Brescia, Morcelliana, 2006
di Stefano Zampieri,
SPOSTAMENTI PERICOLOSI Che cosa significa rileggere
un’opera dalla prospettiva della Consulenza Filosofica? Si tratta in primo
luogo di operare uno spostamento radicale, perché ci troviamo all’interno di
una pratica diversa rispetto a quella
che ha generato il testo. Siamo cioè in una situazione che ha altre
caratteristiche e altri punti di riferimento rispetto alla filosofia intesa come
sapere costituito, accademico, e ciò rende l’operazione ermeneutica in sé rischiosa,
in quanto sottrae l’opera al contesto di significati in cui essa acquista senso
e in cui può offrirsi all’interpretazione conservando la capacità di difendersi
attraverso gli snodi e le densità di un linguaggio di cui è padrona. Sottrarre
l’opera al suo ambiente naturale
spostandola in un’altra pratica, significa allora metterla a nudo senza
che essa possa realmente agire in propria difesa, perché l’operazione di spostamento
determina uno scarto incolmabile tra le sue parole e quelle del critico.
Tuttavia non si tratta affatto di un’operazione assurda. Nella misura in cui
l’opera viene così assegnata ad una pratica vicina, e strettamente imparentata,
nella quale ha la possibilità di assumere un senso nuovo, diverso,
probabilmente alieno alle originali intenzioni dell’autore ma non incompatibile
con esse.
Ad una simile lettura, l’opera
filosofica di natura “teoretica” si rianima mostrando qualità inaspettate. E
facendoci comprendere come il rapporto tra la teoria e la pratica sia molto più
intimo e complesso di quanto (sia da un versante che dall’altro) saremmo
disposti ad ammettere.
È chiaro che, in questa
prospettiva, non avrebbe alcuna rilevanza una eventuale valutazione dell’opera,
perché l’unico giudizio possibile sorge spontaneo in funzione di quanto risulta
trasferibile nel nuovo contesto.
I DUE FONDAMENTI “Nessuno
può dare senso alla sua vita se non interrogandosi sul proprio stare al mondo.”[1]
È questa la tesi essenziale da cui parte Natoli per mettere in luce i due
fondamenti della sua antropologia.[2]
L’esame di sé, il conosci te
stesso, ha senso soltanto se posto nella prospettiva dell’abitare il mondo, perchè
la natura dell’esistenza è quella di costituirsi come una relazione tra sé e
mondo. L’uomo è questo suo essere in
relazione e non può comprendersi se non facendosi carico di tale
condizione, che comporta la necessità di ripensare l’essere umano come un
intrico inscindibile di mente e di corpo.
Il secondo principio fondante
della riflessione di Natoli è quello secondo cui l’uomo è potenza ad esistere, intendendo con ciò quanto è stato variamente
nominato nel corso della storia come energheia
da Aristotele, come conatus da
Spinoza, come volontà di potenza da Nietzsche,
come libido da Freud.
In quanto soggetto desiderante,
dunque, l’uomo crede di essere onnipotente, mentre invece si scopre essere una
potenza finita scontrandosi con il mondo.
Dunque l’uomo in quanto potenza
ad esistere e in quanto relazione. Bene, io credo che accogliere queste
premesse fondamentali significhi per la Consulenza Filosofica porsi sul terreno
più fertile e più gravido di promesse. Io l’ho fatto.
Se, a questo punto, si ponesse
l’obiezione che la Consulenza Filosofica non può, in quanto pratica, assumere
verità universali e definitive senza violare la sua stessa natura (obiezione
che io stesso porrò più avanti nel testo), si sarebbe nel giusto. Dunque
l’apparente contraddizione va chiarita.
Innanzi tutto non si tratta, per
me, di assumere astrattamente una teoria forte, di consegnarmi ad essa, quanto
piuttosto di far tesoro dell’esperienza, perché è l’esperienza che mi ha
portato a queste stesse conclusioni, ciò significa che ora non sto proponendo
nessuna verità universale, ma sto fissando i parametri entro cui si svolge la
mia attività di Consulente Filosofico. Perché questo sono io, perché io sono
intimamente convinto che l’uomo sia così determinato, e questa convinzione è
parte di me, e dunque entrerà in ogni mia consulenza, senza che ciò significhi
voler convincere qualcuno. Sulla base della mia personale convinzione condurrò
il colloquio, non per imporre all’altro questo mio convincimento, ma con la
sicurezza di chi, attraverso l’esperienza e la riflessione ha fissato alcuni
punti di riferimento nel proprio mondo, ed ora può muoversi lungo la fitta e
intricata rete delle relazioni senza rischiare di perdersi.
RIENTRARE IN SE STESSI “Oggi
le grandi narrazioni sono svanite. Il loro tramonto ha riportato al centro i
soggetti, questa volta concreti, locali, singolari ed insieme precari: le molte
vite che costituiscono l’enigmatica trama del mondo.”[3]
Non c’è dubbio che la Consulenza
Filosofica agisce sulla scena di questo declinare delle grandi narrazioni e
delle figure universali del soggetto assoluto o trascendentale, cioè del
soggetto in quanto astrazione senza corpo, pura idea[4].
Siamo in un’epoca che vive il ritorno al soggetto concreto, con tutte le sue
debolezze e tutta la sua precarietà. È questa la scena su cui ci troviamo a recitare
la nostra parte. Per questo motivo diventa così urgente e così necessario
attrezzare la strada perché il soggetto possa ritrovarsi, divenire padrone di
sé, capace di esercitare la propria libertà ma anche di assumersi le proprie
responsabilità.
Di qui, dunque, la necessità, per
il singolo, dell’autovalutazione che non significa elevare il sé ad unico
problema, ma bensì sottrarsi al fluire della vita per comprenderla.
Il rientrare in se stessi,
dunque, corrisponde ad un distacco da sé, un prendere distanza che è
interrogazione, messa in questione di sé, attraverso quella forma di
duplicazione che è il dialogo interiore.
Questo vedersi “come da fuori”,
cioè utilizzando un punto di vista
superiore, più largo, più esterno è, secondo Natoli, lo sguardo della teoria[5].
La questione, allora, è proprio
questa: non perdersi nel fluire indistinto dell’esistenza, e non concentrarsi
ossessivamente su di sé, ma reduplicarsi attraverso il dialogo interiore,
assumendo uno sguardo teorico capace di leggere il sé nella sua relazione con
il mondo. Questa operazione è per natura filosofica, in quanto la filosofia è
proprio ciò che crea “scenari di senso”[6]
in cui i fenomeni divengono comprensibili.[7]
In questo contesto, allora, il
rientrare in se stessi è operazione teorica e Natoli può affermare che “è
impossibile una pratica della filosofia che non sia anche teoria, assunzione di
un punto di vista che permetta ad ognuno di determinare la propria collocazione
nel mondo per orientarsi in esso, per un buon uso delle cose, per un retto governo di sé.”[8]
La definizione è perfetta , ciò
che Natoli evita di chiarire è che una simile visione non produce “teoria” nel
senso tradizionale del termine, cioè forme di verità che tentano di imporsi
universalmente, ma bensì verità locali.
La differenza non è marginale. Si tratta dello scarto tra lo sguardo della
Filosofia Accademica e quello della Pratica Filosofica, due dimensioni
fortemente connesse e strutturate, eppur tuttavia distinte proprio nel diverso
atteggiamento nei confronti della verità. In prima battuta, quindi, Natoli ha
ragione quando afferma che “Non può darsi pratica della filosofia che non sia
impegno per la verità: sul mondo, su di sé, sugli altri”[9].
Ma ha torto nella sostanza perché allude ad una verità che tenta di imporsi con
valore generale e pretesa universalistica. Mentre nella Pratica Filosofica noi
facciamo esperienza di una verità non privata ma collocata nel tempo, nello
spazio, nella situazione, nel tessuto di relazioni che sostiene la nostra
esistenza, e in questo senso, appunto locale.
D’altra parte, che il rapporto
tra teoria e pratica resti fluido e sostanzialmente ambiguo questo è evidente a
tutti. E da questo punto di vista il titolo stesso dell’opera appare assai
fuorviante, il lettore ignaro potrebbe pensare di trovarsi fra le mani un testo
carico di suggerimenti pratici e indicazioni concrete (una guida appunto), e invece ha a che fare con un libro di riflessione
teorica assai denso pur nella sua brevità.
GOVERNO DI SÉ Se è
vero che l’uomo è una potenza finita che attraverso il desiderio tende ad una
continua espansione, si pone il problema della misura, per evitare la follia di chi si crede onnipotente e finisce
per dissipare tutta la sua potenza.
Siamo così alla riabilitazione
della virtù classica dell’enkrateia
(la temperanza), intesa come “governo di sé”[10]:
si tratta cioè di avere nozione di sé come corpo e mente inseparabili, di
comprendere il proprio valore, di sperimentare il mondo senza essere preda ingenua del desiderio.
E di seguito: il punto d’arrivo
della temperanza è saggezza (sophrosyne).
In questo senso Natoli può concludere: “L’ars
vivendi – l’arte di vivere –
rappresenta perciò la modalità più alta per dare vita ai corpi e corpo alla vita. Per godersi davvero il proprio
corpo bisogna dunque divenire in qualche modo filosofi. È infatti difficile una
pratica della virtù che non sia anche esercizio di filosofia: disciplina del desiderio,
autocostituzione di un soggetto morale.”[11]
Allora, il governo di sé si
realizza attraverso l’esercizio filosofico, cioè attraverso uno sguardo capace
di mettere in discussione l’interiorità e l’esteriorità, l’io non solo nella
sua individualità, ma altrettanto nella sua costitutiva relazionalità.
L’esercizio della temperanza è da
intendersi, dunque, come l’esito di questo percorso che porta al governo della
potenza che è in noi. Non è difficile leggere in questa riflessione una
possibile metafora per la Consulenza Filosofica: essa, in quanto esercizio filosofico realizza appunto un
processo di questa natura, ed anche se il termine suona forse troppo greco alle
nostre orecchie, certamente attraverso la Consulenza Filosofica si tenta di
dare misura alle nostre azioni, alle nostre scelte, ci nostri desideri, ai
nostri progetti, di renderli possibili facendo i conti con le nostre forze
reali e con le situazioni nelle quali ci troviamo ad agire. Che tutto questo si
realizzi alla fine in una qualche forma di saggezza, termine di per sé ambiguo,
resta discutibile per molte ragioni, ma provvisoriamente può essere accolto
come possibile.[12]
COSTRUIRSI COME SOGGETTO Il
presupposto di Natoli è che tra la coscienza come autoriferimento e la potenza
vi sia sempre uno scarto essenziale: la coscienza non sa di quanta potenza
dispone. Deve scoprirlo facendo esperienza
e così mettersi in condizione di governarla. Questo è il processo della
costruzione di sé come soggetto.
Anche se, va detto, Natoli sembra
leggere solo in termini di Desiderio la natura della potenza ad essere e non
sembra disposto a mettere in campo per essa quell’altra modalità che invece
sperimentiamo costantemente nel corso della Consulenza Filosofica, ovvero il
Progetto. La tensione dell’esistenza si presenta infatti in questa duplice
veste, di Desiderio in quanto appropriazione
del mondo e di Progetto in quanto costruzione
del proprio mondo. È la medesima tensione che si articola su due fronti,
dunque, quello della mancanza, del completamento, dell’assimilazione del mondo,
da un lato, e quello della creazione, dello sviluppo, della trasformazione, del
cambiamento, dall’altro.
Nella Consulenza Filosofica
sperimentiamo continuamente questo delicato passaggio, dal disagio determinato
da una cattivo governo del desiderio, dalle illusioni di un volere pensato
senza limite, dalle frustrazioni di un Desiderio schiacciato e mortificato
dalla realtà della vita e della storia alla modesta progettazione di un
presente che prova a sporgersi sul futuro senza restare inchiodato al proprio
passato. Nella Consulenza Filosofica abbiamo toccato con mano quanto il
progettare sia capace di incanalare la tensione dell’esistenza ricollocandola
in un quadro nuovo, più realistico, in cui il soggetto riesca ad esprimere una
padronanza misurata delle sue relazioni e quindi della sua vita.
L’idea, dunque che il governo di
sé e quindi la propria costruzione come soggetto, si esplichi essenzialmente
nella temperanza intesa come dominio del Desiderio, è parziale, e
insufficiente. E forse risente di una tradizione religiosa che ancora pare
larvatamente presente nel percorso di Natoli[13].
IL FILOSOFO E L’ILLUMINATO È
possibile apprendere il modo ottimale per costituirsi come soggetti? È
possibile apprendere il modo migliore per governare se stessi, tenendo testa
alle spinte disordinate della potenza ad essere?
È un interrogativo centrale,
naturalmente per la Consulenza Filosofica, la quale non è una pratica
formativa, ma nasce proprio dalla convinzione che il processo di costituzione
di sé possa in qualche modo essere sollecitato, indotto, o almeno arricchito,
attraverso un esercizio filosofico,
il dialogo. Che non è formazione anche se, come la formazione, determina un
cambiamento, che va interpretato intermini di padronanza di sé.
Secondo Natoli, l’uomo può
imparare a padroneggiare la potenza in due modi: attraverso la delusione, cioè
attraverso l’esperienza negativa vissuta dei propri limiti; oppure attraverso
l’insegnamento del Maestro, che è colui che sa perché ha fatto esperienza, ed è il modello del Guru, quanto quello del
direttore spirituale nelle scuole filosofiche ellenistiche e nella tradizione
monastica. Natoli insiste su questa necessità di qualcuno che ci aiuti a non
perdere l’orientamento e fa più volte l’esempio della guida spirituale[14].
Non è chiaro se questo è il nuovo (antico) ruolo che egli immagina per il
filosofo del terzo millennio. Ma qui
bisogna chiarire.
Deve essere chiaro, infatti, che
il ruolo del Consulente Filosofico non è quello dell’illuminato, del guru, del
maestro. Non è il ruolo di chi ha fatto le esperienze che contano e ora può
mostrarle ai propri discepoli. È probabile (è auspicabile) che il Consulente
Filosofico sia persona capace di vivere filosoficamente, cioè di fare
esperienza quotidiana della realtà e dell’esistenza, sottoponendole
all’interrogativo, ma purtroppo questo non corrisponde né ad un sapere definito,
né ad un modo d’essere esemplare che possa valere da modello in sé di vita
buona.
Il Consulente Filosofico mette in
gioco soltanto la propria consapevolezza del cammino da percorrere e si offre
per fare un tratto di strada insieme al suo ospite. Indicando il modo in cui è
possibile fare esperienza della vita e del mondo, delle delusioni, delle
pretese, delle illusioni, ma anche delle conquiste, delle vittorie, delle
realizzazioni.
LA RELAZIONE ERMENEUTICA Secondo
Natoli la relazione con l’altro è di natura prettamente ermeneutica, nel senso
che essa è mediata dal linguaggio (verbale e non verbale). Si tratta infatti di
interpretare per comprendere, rispettando l’alterità dell’altro (testo o
persona) e la sua autonomia. E il pensiero dell’altro si manifesta come una apertura
del senso che diventa rete di significati.[15]
La comprensione dell’altro muove
da uno sfondo di precomprensione, cioè si colloca in una situazione reale
storico culturale e affettiva cui tutti si appartiene. Natoli fa giustamente notare
come l’atteggiamento ermeneutico nei confronti dell’altro vada temperato per
non cadere nella trappola dell’assimilazione. Cioè nell’atteggiamento dell’io
che cerca di conoscere l’altro riducendolo a sé, assorbendolo e divorandolo.
In questo senso egli fa reagire
l’ermeneutica con il pensiero dell’alterità di Levinas: l’altro che ci si rapporta
è l’altro uomo, nello sguardo del
quale si mostra un’apertura di senso su cui l’io non ha presa, che non può
ridurre a sé. L’apparizione dell’altro, allora, mette fine all’egoismo dell’io.
Non bisogna però cadere nella
trappola di una metafisica dell’altro,
cioè di una sua celebrazione incondizionata. In realtà l’altro è sempre,
insieme, io-altro-altri, nel senso che ogni altro è insieme un impulso alla
soggettività quanto una appartenenza alla comunità.
In questo senso Natoli preferisce
parlare di prossimità: l’altro è
colui che ci sta accanto, e la relazione è quella di un “nostro reciproco star
da presso”[16], con tutti i limiti dei rispettivi
preconcetti, dei bisogni, dei conflitti, dei desideri ecc.
Non è difficile vedere come
questa esperienza ermeneutica della relazione si proietti in modo del tutto
particolare all’interno della Consulenza Filosofica. Intendiamoci, quanto detto
si riferisce alla relazione umana in generale, ma nella specifica situazione
della Consulenza acquisisce necessariamente una condizione di consapevolezza
che nella vita di tutti i giorni non si realizza.
Non ci si può avvicinare
all’altro nella situazione di consulenza se non a partire da un atteggiamento ermeneutico nel senso che
entrambi i membri della relazione si pongono come reciproca apertura di senso,
entro la quale bisogna entrare per costituire la rete di significati
esistenziali.
Al contempo questa relazione
richiede un atteggiamento di prossimità,
cioè di rispetto dell’alterità, privo però di ogni forma di culto dell’altro;
un atteggiamento vissuto piuttosto come una realtà di scambio reciproco dei
bisogni, degli affetti, dei sentimenti, delle emozioni. C’è chi nomina questa
condizione col termine empatia, ma
ancora una volta siamo di fronte ad una parola carica di tradizione e
sostanzialmente equivoca. Probabilmente la Pratica Filosofica ha bisogno anche
di parola nuove per dare pienamente ragione della sua natura[17].
LA SCENA ETICA Se
l’uomo è relazione, allora è chiaro che il suo appartenersi, l’esperienza di sé, è immediatamente anche un appartenere, cioè una prossimità
all’altro, una comunanza, l’appartenenza a una comunità. Si configura cioè in
senso etico. Anche se si tratta pur sempre di due dimensioni distinte, che
determinano “una tensione costante tra il ‘singolo’ e la ‘comunità’”[18].
Non seguirò Natoli
nell’articolazione dell’ultimo capitolo del libro dedicato appunto al rapporto
tra individualità e stato attraverso le riflessioni di Spinoza, Weber e
Foucault[19]. Ma mi
limiterò a far osservare che una simile tensione è forza decisiva anche nel
contesto della Consulenza Filosofica, la quale dunque si inserisce all’interno
di una scena etica che resta totalmente
da chiarire.
In questo senso ha ragione Natoli
quando osserva che l’uomo d’oggi non si pone più il problema della sua origine
né, tanto meno, quello della sua mèta. Oggi più che in ogni altro tempo è viva
nell’uomo la sensazione di essere in
transito; ciò significa “saper aderire al presente”[20],
non più obbedienti ad una legge divina o umana, ma legislatori di noi stessi.
Ecco allora l’urgenza etica di “partire da sé: unilateralmente”[21],
costruendo il proprio carattere, cioè il proprio destino (“carattere dell’uomo è
il suo destino” afferma appunto Eraclito[22]),
ponendosi nello stesso tempo come punto di resistenza e come punto di apertura
rispetto al mondo. Tutto questo è in gioco nella Consulenza Filosofica.
[1] S.
Natoli, Guida alla formazione del
carattere, Brescia, Morcelliana, 2006, p. 8. Presso l’editrice Morcelliana,
Natoli che è ordinario di filosofia teoretica all’Università di Milano-Bicocca,
ha già pubblicato altre due opere, Dio e
il divino. Confronto con il Cristianesimo (1999) e il bellissimo Libertà e destino nella tragedia greca (2002).
[2]
Fondamenti già ampiamente discussi in numerose altre opere. Si vedano ad
esempio La felicità di questa vita,
Milano, Mondadori, 2000 e Parole della
filosofia, Milano Feltrinelli, 2004.
[3] S.
Natoli, Guida alla formazione del
carattere, cit, p. 82
[4] Al
tema del soggetto Natoli ha dedicato, in tempi ormai lontani, uno studio assai
complesso ma ancora di estrema rilevanza teorica, Soggetto e fondamento. Il sapere dell’origine e la scientificità della
filosofia, Milano, Bruno Mondadori, 1996 (1° ed. Padova, Antenore, 1979)
[5] Cfr.
Natoli, Guida alla formazione del
carattere, cit., p. 16
[6] Op.
cit., p. 17
[7] A
questo interessante tema Natoli ha dedicato il saggio dal titolo Teatro filosofico. Gli scenari del sapere
tra linguaggio e storia, Milano, Feltrinelli, 1991
[8]
Natoli, Guida alla formazione del
carattere, cit., p. 18
[9] Op.
cit., p. 19
[10] Op.
cit., p. 29
[11]
Ibidem. La prospettiva etica è affrontata da Natoli in questi termini in Dizionario dei vizi e delle virtù, Milano,
Feltrinelli, 2005 (1° ed. 1996), un testo che per l’immediatezza e la finezza
delle analisi può risultare estremamente utile al Consulente Filosofico.
[12] Per
una riflessione introduttiva alla questione della “saggezza” nella Pratica
Filosofica rimando a Neri Pollastri, Il
pensiero e la vita, Milano, Apogeo, 2004, pp. 216-220
[13] In
realtà il rapporto di Natoli con la tradizione religiosa è piuttosto complesso,
più di ammirazione che di fede. Ne sono testimonianza numerose opere, Delle cose ultime e penultime. Un
dialogo con Bruno Forte, Milano, Mondadori, 1997; Il cristianesimo di un non credente, Magnano (Biella), Edizioni
Quiqajon, 2002; I nuovi pagani,
Milano, Il Saggiatore, 1995 oltre al già citato Dio e il divino. Confronto con il Cristianesimo, Morcelliana, 1999.
[14] Cfr.
Natoli, Guida alla formazione del
carattere, cit., p.p. 37 e 42-43
[15] L’interesse
teorico di Natoli per l’ermeneutica è testimoniato in modo particolare da un
testo centrale nella sua produzione, Ermeneutica
e genealogia. Filosofia e metodo in Nietzsche, Heidegger, Foucault, Milano,
Feltrinelli, 1981.
[16]
Natoli, Guida alla formazione del
carattere, cit., p. 64
[17]
Intorno alla questione dell’empatia la bibliografia è vasta, qui mi limito a
segnalare un testo recente, per molti versi discutibile, ma sicuramente
stimolante, quello di Laura Boella, Sentire
l’altro. Conoscere e praticare l’empatia, Milano, Cortina, 2006
[18]
Natoli, Guida alla formazione del
carattere, cit., p.68
[19] Per
chi volesse approfondire la riflessione intorno alla dimensione etica segnalo
in particolare le opere di Natoli Vita
buona, vita felice. Scritti di etica e politica, Milano, Feltrinelli,
1990; Stare al mondo. Escursioni nel tempo presente, Milano, Feltrinelli,
2002; e due testi da leggere insieme: L’esperienza
del dolore. Le forme del patire nella cultura occidentale, Milano,
Feltrinelli, 1986 e La felicità. Saggio
di teoria degli affetti, Milano, Feltrinelli, 1994.
[20]
Natoli, Guida alla formazione del
carattere, cit., p.83
[21]
Ibidem
[22] Cfr.
fr. DK 119
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