Confesso la mia passione sconfinata per Maurice Blanchot, scrittore e filosofo francese (1907-2003) che purtroppo non gode di particolare fama in Italia, mentre in Francia viene considerato uno dei punti di riferimento della cultura del ‘900.
Per me in realtà è qualcosa di diverso, è un maestro prima di tutto, colui che mi ha ispirato e spronato silenziosamente per tutta la vita, dalla mia tesi universitaria in poi, che mi ha dato un modello, che non ho saputo nemmeno sfiorare, di coerenza intellettuale, ma anche di trasparenza nel linguaggio e lucidità nell’espressione. Un esempio di rigore intellettuale.
Thomas l'Oscuro è il primo romanzo di Maurice Blanchot. Pubblicato dapprima nel 1941 e poi in una versione rivista nel 1950, viene ora tradotto in italiano - per la prima volta!- da Francesco Fogliotti per il Saggiatore.
Il protagonista della storia è Thomas, alter ego dell’autore stesso, un personaggio che sfugge a ogni precisa descrizione, in base al principio secondo cui nella scrittura si realizza un diverso modo di “vedere”. All'inizio del romanzo nuota in mezzo a un mare d'improvviso mutato in tempesta. Nelle scene successive lo ritroviamo in un cimitero, intento a scavare con le mani una tomba in cui sdraiarsi e fare esperienza della fine. E poi lo ritroviamo in un albergo, dove conosce Anne. La giovane donna che Thomas ha incontrato casualmente e con la quale inizia una relazione che si tramuta in un vincolo misterioso e inscindibile, si ammala e dopo una penosa agonia muore.
I capitoli della morte e l’incontro del cadavere sono probabilmente quelli più forti e inquietanti di tutto il libro.
Volessimo anche solo provare a indicare le tematiche più rilevanti di questo testo potremmo indicare certamente il tema della morte, che la protagonista vorrebbe esperire da viva, superando così l’impossibilità costitutiva dell’esistenza umana, oppure quelli del rapporto tra personaggio e persona: nel testo infatti assistiamo continuamente a uno sdoppiamento per cui i protagonisti si vedono come dall’esterno e così duplicano il rapporto tra le persone viventi e le loro rappresentazioni, grande e irrisolto mistero della letteratura. Ma vi è anche il tema della distanza che separa gli esseri e che ognuno di noi vorrebbe superare nel disperato tentativo di incontrare l’altro non come un estraneo incomprensibile.
C’è chi ha collocato la narrativa di Blanchot all’interno del genere surrealistico, e certamente la sua è una scrittura assai lontana da ogni forma di realismo, tuttavia bisogna evitare di cadere nella trappola della collocazione in un genere: l’opera di Blanchot è prima di tutto una messa in questione delle potenzialità della letteratura stessa come tale, al di là dei generi e delle forme, è la messa in questione delle trappole, dei misteri, delle contraddizioni, dei paradossi contenuti nel gesto di scrivere.
Nessun commento:
Posta un commento