A cura di Stefano Zampieri - Consulente Filosofico

giovedì 20 aprile 2023

Letture: Il piccolo libro dell'ikigai di Ken Mogi (2018)

 


Nell'ambiente filosofico circola l'idea che esista una misteriosa cultura filosofica giapponese, ricca di fascino e di suggestioni. Così vi sono alcune parole quasi intraducibili intorno alle quali si sviluppa un'aura sapienziale. Una di queste parole è ikigai, termine che potrebbe essere tradotto con ragione di vivere, ragion d'essere. Diciamo, semplicemrnte il motivo per cui ci si alza la matina, ciò che ci spinge a fare, a impegnarci, a insistere.  Qualsiasi sia il motivo concreto ognuno può avere il proprio ikigai. Naturalmente come tipico in questo tipo di argomentazione retorica, ci sono 5 pilastri:  1. cominciare in piccolo 2. dimenticarsi di sè 3. armonia e sostenibilità 4. la gioia delle piccole cose  5. stare nel qui e ora. 

Se poi vogliamo seguire le argomentazioni dettagliate di Mogi scopriremo che si tratta di adottare certi comportamenti, alzarsi presto la mattina per riconoscere lo spirito del sole nascente, fare la ginnastica del mattino sulla musica  (radio tasio), giocare agli scacchi giapponesi (shogi) ecc. L'autore esalta vistosamente lo stile di vita giapponese più tradizionale e più stereotipato, assai lontano in realtà dalla frenetica vita delle metropoli giapponesi di oggi, ed esalta di conseguenza il concetto del kodawari: impegno, dedizione, l'orgoglio per ciò che si fa, il sentirsi insoddisfatti e perciò sempre impegnati a migliorarsi, il culto della perfezione e del sacrificio. 

Il dimenticarsi di sè è precetto acquisito dalla pratica zen e poi esportato alla mindfulness. Lo stare nel qui e ora implica attenzione alla sensibilità, ai piaceri sensoriali, l'essere nel "flusso" delle attività, del lavoro, senza interessi estranei, la dedizione totale senza aspettative di riconoscimento. Ma comporta anche il rispetto della natura effimera di ogni incontro, con gli esseri umani e con gli eventi. 

Insomma l'autore ci seppellisce sotto una retorica piacevole e ricca di esempi curiosi (la cerimonia del tè, il sumo, il balletto), ma al di là delle formulazioni molto prevedibili, e del tono a metà strada tra il mistico e il poetico, non sembra esserci proprio nessuna riflessione originale e interessante. Dubito che esistano molti giapponesi come quelli descritti da Mogi, ma dubito ancor più fortemente che questo modello possa valere per noi occidentali. Resto invece convinto che il nostro nodello culturale esiga riflessioni e argomentazioni che solo la filosofia può offrire in modo soddisfacente.  

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