A cura di Stefano Zampieri - Consulente Filosofico
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lunedì 3 aprile 2023

Introduzione alla Consulenza Filosofica 13: DIVENTA CIÒ CHE SEI (Essere in relazione 3)

La vita è una continua tensione verso qualcosa. È uno sforzo continuo di  realizzazione. L’esperienza mi dice che non posso fare a meno di sentire, ogni giorno, ogni momento, anche se confusamente, quante possibilità inespresse giacciono dentro di me: penso a tutte le scelte che non ho fatto nella mia vita (ma che permangono ancora come possibilità, almeno in parte), a tutte le parole che non ho detto, o ai sentimenti che non ho mai compiutamente espresso, e ancora penso ai sogni della mia adolescenza, e a quelli che ancora mi capita di fare in certi momenti, ad occhi aperti. Penso a tutte le situazioni che non ho reso possibili e al futuro aperto di fronte a me per effetto di una complicata serie di scelte e di decisioni, ognuna delle quali ha chiuso altri scenari, ha escluso altre situazioni,  altre possibilità future.

È come se dentro di me, vi fosse una riserva solo in parte esplorata, e comunque non vissuta, tutto ciò che posso essere di cui ora realizzo solo una parte. Ma tutto questo non è morto, è sempre lì a disposizione, è quanto conservo in me per il futuro che ancora mi aspetta se accetto di essere fino in fondo questo inarrestabile movimento verso qualcosa. Se mi dispongo a realizzare di volta in volta almeno una parte delle possibilità che mi appartengono.

Diventa ciò che sei, dunque, è la formula della mia realizzazione. Ma non penso che si tratti di qualcosa di strettamente privato. Certo, posso diventare solo ciò che sono già, almeno potenzialmente e non altro. Ma non posso diventare nulla se non dentro un sistema di relazioni, se non dentro una situazione nella quale non sono affatto solo, ma anzi devo dividere con gli altri un sistema di significati, e un’intera realtà.

Diventare ciò che si è, pensando di separarsi dalla rete dei rapporti, dalla situazione concreta in cui si è collocati, significa correre il rischio di una solitudine tragica. Tragica perché autodistruttiva.  Perché se penso di realizzare me stesso in assenza d’altri finisco per cancellare le mie possibilità di comunicazione, di scambio e di condivisione, e quindi finisco per cancellare me stesso.

Diventa ciò che sei, allora, può essere soltanto un principio comunitario: soltanto in mezzo ad altri, che a loro volta si realizzano per ciò che sono, io stesso posso realizzarmi.  

 

lunedì 27 marzo 2023

Introduzione alla Consulenza Filosofica 12: LA VITA IN TENSIONE



La vita è uno strano gioco: essa rincorre perennemente se stessa, essa si rincorre. Cosa significa? Innanzi tutto significa che non posso mai pensarla come qualcosa di fermo, di immobile. La vita non si trova mai in una simile condizione, o meglio, nel momento in cui dovessi sentire di avere raggiunto l’immobilità assoluta allora credo che non mi troverei già più nel regno della vita quanto piuttosto in quello della morte. Non c’è infatti un solo istante in cui io non applichi una qualche forza a me stesso, nel gesto, nel pensiero, nell’azione, nell’intenzione, nel desiderio, nella ricerca. Sempre qualcosa manca, sempre qualcosa deve essere raggiunto (fosse pure il vuoto assoluto di pensiero, l’immobilità, la pace interiore….). Sempre percorro la strada della mia esistenza, nella gioia, nel dolore, nella letizia, nella tristezza, in ogni momento sono in cammino verso me stesso, attaccato al tempo che mi sospinge senza lasciarmi un solo istante di tregua, nemmeno nel sonno popolato di sogni, nemmeno nel buio della notte, quando la mia coscienza non è più vigile eppure l’organismo continua a battere, a respirare, a combattere contro le aggressioni della natura, a spostarsi sulla linea del tempo, a crescere, ad invecchiare. Senza un attimo di sosta.

La sosta, la tregua, la quiete, non appartengono veramente alla vita. La tensione appartiene alla vita, come una corrente che ora più ora meno può scaricarsi sulle cose, sulle relazioni, sugli atti, sulle decisioni. Una bassa tensione quando la vita è debole, quando prevale la noia, l’indifferenza, l’incertezza. Un’alta tensione nei momenti di entusiasmo, quando serve coraggio, quando devo trovare l’energia necessaria per saltare un ostacolo, quando devo trovare in me tutte le forze per reagire ad un evento luttuoso, o per mobilitare le risorse estreme del mio corpo di fronte al dolore e alla malattia.

 

 


lunedì 13 marzo 2023

Introduzione alla Consulenza Filosofica 10: CONOSCI TE STESSO (Essere in relazione 1)

 


Distogliere lo sguardo dal mondo e rivolgerlo verso di me. Mi dico: è questo il primo gesto della Pratica Filosofica. Ma se pensi che in tal modo io voglia rinchiudermi nella mia solitudine per cercarvi una specie di oscura profondità senza fondo, sei in errore. Ammesso che si trovasse un simile luogo interiore, nulla distingueremmo in quel buio senza una luce, ma anche la fiammella più debole annienterebbe l’oscurità. Soltanto un silenzio mortale potremmo forse ascoltare.

Ma io non sono lì dentro, non sono prigioniero in me stesso. Io non esisto prima di essere annodato in una grande rete di relazioni che mi sostiene e mi rende possibile. La rete dice chi sono io, chi sei tu. Così come le singole carte da gioco non significano niente perché il loro valore dipende soltanto dall’insieme a cui appartengono e dalle regole del gioco in cui sono giocate.

Qualcun altro decide dunque per noi? Non dico questo. Dico piuttosto che tante cose non le ho decise io. Guardo me stesso, infatti,  e scopro di appartenere ad un tessuto fitto fitto di relazioni. Prima fra tutte quella che mi lega a mia madre e a mio padre e a quella famiglia in cui sono nato. E poi appartengo ad una comunità, ad un popolo, ad un paese. E sono parte di questo tempo e non di un altro, e di questo mondo, dove si parla una certa lingua e si discute sulla base di una certa cultura. Tutto questo non l’ho scelto io. Non l’hai scelto tu.

E poi c’è tutto quel sistema degli affetti (amore, odio, amicizia, indifferenza, solidarietà, pietà, compassione ecc.) che mi lega, mi coinvolge, e fa di me una persona viva. Insomma, che strano, rivolgo lo sguardo verso di me e vedo tutte queste presenze, questi legami, queste relazioni. Cerco me stesso e trovo gli altri? Rischio di non sapere più chi sono, rischio di perdermi.

Eppure so che sono sempre io, quello di ieri e quello di oggi, quello con la cartella in mano che va alla scuola elementare, quello che un giorno si laurea e poi si sposa e diventa padre. Ero io allora, sono io adesso. Certo, molto è cambiato, il fisico innanzi tutto, prima perché cresceva ora perché invecchia. C’è soltanto una somiglianza, sempre più vaga quanto più si risale nel tempo. E il carattere? No, quello è davvero cambiato, posso dirlo con certezza. Ma allora, in base a cosa mi ostino a pensare di essere sempre io, sempre lo stesso? Certo, ora come allora, resto figlio di mia madre e di mio padre, membro di questa famiglia e di questo tempo. Insomma ancora una volta, cerco me stesso e trovo la trama delle relazioni che mi compongono. Devo forse rassegnarmi e rinunciare ad una identità tutta mia, personale, intima, privata?

 

lunedì 6 marzo 2023

Introduzione alla Consulenza Filosofica 9: FARE PRATICA FILOSOFICA


 C’è una filosofia come oggetto di studio, cioè una materia strutturata rigidamente da un complesso di regole, che provengono dalla sua storia e che garantiscono la sua identità. Una materia che si può facilmente rappresentare attraverso un insieme di  opere e un elenco di nomi, tutti i bei nomi di cui essa può vantarsi: Platone, Aristotele, Agostino, Cartesio ecc. Potremmo chiamarla la filosofia dell’Accademia perché oggi essa sopravvive, un po’ stancamente, quasi soltanto nelle Università. Ma c’è anche un’altra filosofia che va intesa piuttosto come un’attività di natura personale, esistenziale, il fare pratica filosofica. Attraverso questa attività scopro la via che mi appartiene, la direzione verso me stesso  lungo la quale posso divenire ciò che sono.

Nel primo caso la filosofia si pone dunque come oggetto di studio, come un sapere al quale io posso avvicinarmi ma che resta inesorabilmente altro da me. Nel secondo caso invece, essa diviene una pratica, che si presenta innanzi tutto come il progetto in base al quale mi propongo di vivere filosoficamente e quindi di assumere l’atteggiamento filosofico come il filtro attraverso il quale mi getto nel mondo alla ricerca di me stesso. La Pratica Filosofica è un modo di vita, dunque, ben prima di essere una materia di studio .

In questo senso la Pratica Filosofica non può essere intesa come un mezzo, essa infatti, non serve a nulla perché non è serva di nulla, e quando dà l’impressione di servire vuol dire che essa è già caduta in rovina. Quando, dunque, ti domandi quale sia l’utilità della filosofia, sei già lontano da essa. Il semplice fatto di aver posto una simile domanda dimostra una profonda incomprensione della sua natura più autentica.

In questo senso, ancora, la filosofia è origine. Ed io posso accoglierla come quel modo di vita che mi impone di interrogare la mia stessa esistenza nei suoi rapporti con il mondo e con gli altri. La Pratica Filosofica è questa scelta  originaria, a partire dalla quale mi avvio sul cammino della conoscenza di me stesso. Ma la conoscenza di me stesso non è un fine, come potrebbe esserlo la contemplazione di una immagine in un quadro perfetto (o in uno specchio lucidissimo). La conoscenza di sé è un processo, un cammino, lungo il quale ci si avvia all’insegna del motto: diventa ciò che sei.

martedì 1 settembre 2020

Conversazioni sulla prassi filosofica

 


Da lunedì 7 settembre2020 ogni settimana un video di approfondimento della prassi filosofica. Un vero e proprio percorso conoscitivo e di riflessione. Da non perdere!

lunedì 14 ottobre 2019

Il futuro della filosofia?


"Ma non è un caso che, nella società mercificata, dominata dal capitale finanziario e dalla logica di mercato nella quale viviamo, proprio la pratica filosofica venga sempre più emarginata e mortificata, cioè tenuta lontana dai grandi luoghi «di massa» della presunta «formazione». Qui essa non ha quasi più spazio o possibilità di esistenza, a meno che non si riduca a piccolo storiografismo erudito, a chiacchiera culturale, a uso meramente formale dei numeri al posto delle parole (quasi un bel lavoretto a maglia), a estetica minimale, a gioco accademico (quasi un «Monopoli» delle carriere), a quasi invisibile prodotto di nicchia dell'industria editoriale." (C. Sini)
Puro pessimismo o puro realismo? Osservazione cupa o previsione fondata?  Le parole di un grande filosofo dovrebbero farci riflettere.

lunedì 7 ottobre 2019

Una vera comunità


Materiale per un laboratorio di pratica filosofica.

Vi sono ancora dei luoghi ove il dominio incontrastato della società mercantile, non si è  interamente realizzato, Bauman le chiama zone grigie, per indicare situazioni in cui la società del consumo illimitato non ha ancora totalmente asservito le persone. Zone di confine, zone marginali, zone che sopravvivono, che producono resistenza alla società dei consumi. Ma quali caratteristiche può avere una simile area?
“quella che nell’ottica della conquista del mercato – già acquisita o ancora soltanto progettata – è rappresentata come un’«area grigia», per i suoi abitanti conquistati, parzialmente conquistati o obiettivo di conquista, è una comunità, un quartiere, una cerchia di amici, compagni di vita e compagni per la vita: un mondo in cui solidarietà, compassione, partecipazione, aiuto reciproco e reciproca simpatia (tutte nozioni sconosciute alla teoria economica e aborrite dalla pratica economica) sospendono o rifiutano la scelta razionale e il perseguimento dell’auto-interesse. Un mondo i cui abitanti non sono né competitori né oggetti di uso e consumo, ma compagni (che aiutano e sono aiutati) nel costante, incessante, comune sforzo di costruire una vita partecipativa e di renderla vivibile. (Z. Bauman).
La sfida è cominciare a pensare questo mondo: è possibile? è reale? è auspicabile?  è già iniziato? Quanti di noi sarebbero seriamente in grado di pensare alla propria esistenza al di fuori del mondo del consumo? Perchè Bauman parla di una zona grigia, ovvero di una zona di confine, una terra di mezzo e non invece di un mondo realizzato?

martedì 24 settembre 2019

La saggezza contro il dolore


Per un laboratorio di pratica filosofica

Il dolore fa parte dell’umano, possiamo conviverci non possiamo certo pensare di annullarlo definitivamente, se non nei nostri sogni, o in una condizione di non-vita (il Nirvana, o la morte vera e propria).  Tuttavia c’è un’altra facoltà umana che può aiutarci di fronte al dolore, è la saggezza.
“Il più profondo e il più facile mezzo di addolcimento di tutti i dolori è il pensiero, che si può bene ammettere in ogni uomo ragionevole, cioè che la vita in genere, per quanto riguarda il godimento, che dipende dalle circostanze, non ha un proprio valore, e che soltanto ha un valore per rispetto all’uso che se ne fa in rapporto agli scopi cui è diretta: valore che non la sorte, ma soltanto la saggezza può procurare all’uomo, il quale dunque l’ha in suo potere.” (Kant, Antropologia pragmatica, p. 128).
È questa consapevolezza che aiuta l’uomo ad affrontare il dolore che è parte costitutiva della sua esistenza: perché la vita in sé non ha un valore se non in base agli scopi che ci prefiggiamo, non è dunque un caso che stabilisce il valore della nostra esistenza, ma le concrete decisioni, le valutazioni, i valori attraverso i quali la rendiamo viva. Cioè la saggezza che è sovrana di tutto questo ambito di decisioni.

lunedì 2 settembre 2019

Tace chi può parlare



Per la costruzione di una pratica filosofica.
“La parola è una delle forme fondamentali della vita umana; l'altra forma è il silenzio, ed è un mistero altrettanto grande. Silenzio vuol dire non soltanto che non si dice una parola o non si estrinseca un suo­no. Questo soltanto non è silenzio; anche l'animale è capace di tanto, e più ancora lo è un sasso. Silenzio è invece ciò che si verifica quando l'uomo, dopo aver parlato, ritorna in se stesso e tace. Oppure quando egli, potendo parlare, rimane zitto. Tacere può sol­tanto chi può parlare. Nel fatto che colui che parlan­do sarebbe «uscito fuori», resta nel proprio riserbo in­teriore, in ciò consiste il silenzio: un silenzio che sa, che sente, che vibra di vita in se stesso.
Le due cose ne fanno una sola. Parlare significati­vamente può soltanto colui che può anche tacere, al­trimenti sono chiacchiere; tacere significativamente può soltanto colui che può anche parlare, altrimenti è un muto. In tutti e due questi misteri vive l'uomo; la loro unità esprime la sua essenza.
Ora, essere padroni del proprio silenzio è una vir­tù; su di essa vogliamo riflettere.” (Romano Guardini)
Il silenzio dunque nasce dentro il linguaggio è una forma d’espressione di un essere parlante, e gli esseri parlanti sono sempre esseri plurali, perché non esistono linguaggi privati. Il senso è plurale o non è.
Una questione su cui costruire un evento di pratica filosofica:  che rapporto c’è tra solitudine e silenzio?