A cura di Stefano Zampieri - Consulente Filosofico
Visualizzazione post con etichetta Kant. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Kant. Mostra tutti i post

martedì 14 novembre 2023

Letture: Il problema dell’uomo di Martin Buber (1947)

 


 

Questo bellissimo saggio nasce da un corso di “filosofia della società” tenuto da Buber in Israele nel 1938 e viene ora riproposto da Marietti a cura di Irene Kajon. Della finalità didattica conserva traccia nella prima parte che è una sintesi per nulla scontata della posizione di Kant, di Aristotele, di Hegel,  di Marx, di Feuerbach rispetto alla decisiva domanda kantiana “Che cos’è l’uomo?”.

La crisi dell’uomo, secondo Buber, appare evidente a seguito di due fattori:

a) la decomposizione delle tradizionali forme di convivenza tra gli uomini (la famiglia, le associazioni di lavoro, le comunità di villaggio e di città). Ne consegue che “la solitudine umana si manifesta con maggiore e nuova intensità” (58) per quanto si cerchi di assopirla con mille attività e occupazioni. Ma così si perde la possibilità di sperimentare la profondità della problematica umana: “L’aumentata solitudine ora non è che assopita e repressa da occupazioni e attività. Ma, quando l’uomo si immerge nel silenzio, nella vera realtà della sua vita, allora sperimenta la profondità della solitudine e, in essa, messo di fronte al fondamento del suo esistere, sperimenta la profondità della problematica umana.” (58)

b) L’uomo si fa distanziare e signoreggiare dalle sue opere (cioè la Tecnica, l’Economia, la Politica).

Lo stato di isolamento “non è conforme allo natura umana” (62).

L’uomo solitario scopre il dialogo con se stesso. Come dice Arendt, scopre il due-in-uno. Ma soprattutto, fa notare Buber, il dialogo interiore è il primo modo per scoprire la problematicità umana.

Per Heidegger questo significa scoprire il rapporto con il proprio Essere, per Kierkegaard significa scoprire il rapporto con Dio. Per Arendt, aggiungo io, significa scoprire la pluralità. Per Buber l’uomo deve uscire da questa solitudine, da        questo monologo se non vuole perdersi, e uscendo dalla solitudine deve scoprire l’altro.

Allora l’unico modo per rispondere alla domanda kantiana “Che cos’è l’uomo?” è uscire dalla solitudine ma conservandone la forza problematizzante. Bisogna “salvaguardare la tensione della solitudine e il fuoco della sua problematica in una vita rinnovata” (112).

L’individualismo (la chiusura in sé senza uscita verso l’altro) comprende solo una parte dell’uomo, mostra dell’uomo un volto deformato; il collettivismo lo comprende solo come una parte, e ne nasconde il volto. Entrambi mancano l’integrità dell’uomo, l’uomo intero.

Per comprendere l’uomo è necessario l’incontro con l’altro uomo: “Il singolo non avrà spezzato la sua solitudine se non quando egli conoscerà nell’altro, in tutta la sua alterità, se stesso, l’uomo.” (115)

L’alternativa alla contrapposizione tra individualismo e collettivismo è “la sfera dell’interrelazione (das Zwischen)” (116). Da qui bisogna partire. Il concreto TRA in un rapporto ( conversazione, lezione, abbraccio, sguardo…), ciò che solo un Io e un Tu possono cogliere.

“Al di là del soggettivo, al di qua dell’oggettivo, vi è il regno dell’«interrelazione», nella vetta angusta dove Io e Tu si incontrano.” (118)

 

 

 

 

martedì 24 settembre 2019

La saggezza contro il dolore


Per un laboratorio di pratica filosofica

Il dolore fa parte dell’umano, possiamo conviverci non possiamo certo pensare di annullarlo definitivamente, se non nei nostri sogni, o in una condizione di non-vita (il Nirvana, o la morte vera e propria).  Tuttavia c’è un’altra facoltà umana che può aiutarci di fronte al dolore, è la saggezza.
“Il più profondo e il più facile mezzo di addolcimento di tutti i dolori è il pensiero, che si può bene ammettere in ogni uomo ragionevole, cioè che la vita in genere, per quanto riguarda il godimento, che dipende dalle circostanze, non ha un proprio valore, e che soltanto ha un valore per rispetto all’uso che se ne fa in rapporto agli scopi cui è diretta: valore che non la sorte, ma soltanto la saggezza può procurare all’uomo, il quale dunque l’ha in suo potere.” (Kant, Antropologia pragmatica, p. 128).
È questa consapevolezza che aiuta l’uomo ad affrontare il dolore che è parte costitutiva della sua esistenza: perché la vita in sé non ha un valore se non in base agli scopi che ci prefiggiamo, non è dunque un caso che stabilisce il valore della nostra esistenza, ma le concrete decisioni, le valutazioni, i valori attraverso i quali la rendiamo viva. Cioè la saggezza che è sovrana di tutto questo ambito di decisioni.

martedì 17 settembre 2019

Il dolore e la vita


Per una riflessione di pratica filosofica

“La natura ha posto nell’uomo il dolore come pungolo dell’attività, a cui egli non può sottrarsi per progredire sempre verso il meglio” (Kant, Antropologia pragmatica, p. 124), il dolore è dunque una componente essenziale dell’esistenza e per quanto sia ovvio che ognuno di noi cerchi di evitarlo e di cancellarlo, esso resterà sempre parte decisiva della nostra vita, perché ne rappresenta lo stimolo, il pungolo, l’energia che ci spinge verso il meglio. E per questo  “Essere assolutamente contenti nella vita sarebbe una quiete inerte e una cessazione degli impulsi, uno svanire delle sensazioni e dell’attività che vi si connette. Una tal quiete può tanto poco accordarsi con la vita intellettuale dell’uomo quanto l’arresto del cuore in un corpo animale, nel qual caso, se non interviene (col dolore) un nuovo stimolo, inevitabilmente segue la morte.” (ib.) 

Noi e il nostro dolore:  quale storia e quale avventura? Il domani che ci attende, quale memoria e quale speranza? Come vivere il dolore?