C’è una filosofia come oggetto di studio, cioè una materia strutturata rigidamente da un complesso di regole, che provengono dalla sua storia e che garantiscono la sua identità. Una materia che si può facilmente rappresentare attraverso un insieme di opere e un elenco di nomi, tutti i bei nomi di cui essa può vantarsi: Platone, Aristotele, Agostino, Cartesio ecc. Potremmo chiamarla la filosofia dell’Accademia perché oggi essa sopravvive, un po’ stancamente, quasi soltanto nelle Università. Ma c’è anche un’altra filosofia che va intesa piuttosto come un’attività di natura personale, esistenziale, il fare pratica filosofica. Attraverso questa attività scopro la via che mi appartiene, la direzione verso me stesso lungo la quale posso divenire ciò che sono.
Nel primo caso la filosofia si pone dunque come oggetto di studio, come un sapere al quale io posso avvicinarmi ma che resta inesorabilmente altro da me. Nel secondo caso invece, essa diviene una pratica, che si presenta innanzi tutto come il progetto in base al quale mi propongo di vivere filosoficamente e quindi di assumere l’atteggiamento filosofico come il filtro attraverso il quale mi getto nel mondo alla ricerca di me stesso. La Pratica Filosofica è un modo di vita, dunque, ben prima di essere una materia di studio .
In questo senso la Pratica Filosofica non può essere intesa come un mezzo, essa infatti, non serve a nulla perché non è serva di nulla, e quando dà l’impressione di servire vuol dire che essa è già caduta in rovina. Quando, dunque, ti domandi quale sia l’utilità della filosofia, sei già lontano da essa. Il semplice fatto di aver posto una simile domanda dimostra una profonda incomprensione della sua natura più autentica.
In questo senso, ancora, la filosofia è origine. Ed io posso accoglierla come quel modo di vita che mi impone di interrogare la mia stessa esistenza nei suoi rapporti con il mondo e con gli altri. La Pratica Filosofica è questa scelta originaria, a partire dalla quale mi avvio sul cammino della conoscenza di me stesso. Ma la conoscenza di me stesso non è un fine, come potrebbe esserlo la contemplazione di una immagine in un quadro perfetto (o in uno specchio lucidissimo). La conoscenza di sé è un processo, un cammino, lungo il quale ci si avvia all’insegna del motto: diventa ciò che sei.
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