Se io sono l’insieme delle relazioni che mi compongono devo rinunciare ad avere una identità tutta mia? Eppure l’esperienza mi dice con ragionevole certezza che io sono sempre quello di ieri e dell’altro ieri. Ci deve essere dunque un punto fermo in cui posso dire di essere lo stesso io di sempre? Allo stesso tempo osservo che posso pormi questi interrogativi perché possiedo in me una memoria che ha sistemato gli eventi della mia vita in un quadro abbastanza ordinato e stabile, dal quale posso richiamarli, ed osservarli, e sottoporli ad interrogazione. Così, nel momento in cui mi chiedo se sono sempre io quello di ieri e quello di oggi, mi servo di quel repertorio di ricordi che la memoria mi mette a disposizione. Forse, allora, potrei accontentarmi di essere proprio quella memoria che mi consente di interrogarmi. Mi chiedo: è lì nascosta la sola mia individualità? Il mio io più intimo e privato, al di là della rete delle relazioni?
Questo mi metterebbe in un paradosso abbastanza evidente: pretendere che la memoria sia ciò che resta fisso nel processo di mutazione continua che io subisco, va contro l’osservazione che la memoria non è mai uguale a sé, essa stessa infatti varia continuamente seguendo il flusso delle mie azioni, delle mie sensazioni, dei miei pensieri.
Devo allora intenderla come un contenitore immobile che si riempie via via di elementi? No, è ovvio, la memoria non è un contenitore (se non nell’uso metaforico con cui ne parliamo), la memoria è l’insieme stesso degli elementi che la compongono. Ma allora non può essere la memoria ciò che resta fermo nel movimento ininterrotto della mia esistenza.. No. Ma davvero è necessario pensare che qualcosa permanga immobile per consentirmi di essere oggi lo stesso di ieri?
Se sono la rete delle relazioni che mi compongono, se sono questo nodo in cui le relazioni acquistano una identità, la mia, allora la continuità, il mio io più proprio, quello che mi distingue da tutti gli altri dov’è? È proprio in quell’insieme di relazioni che mi hanno determinato fino ad oggi, e la sensazione di intimità che ho con me stesso è appunto il gioco di una memoria che sembra stabile solo perché di volta in volta (giorno per giorno, momento per momento) compone un quadro che muta continuamente ma di cui non percepisco il movimento, che sembra fermo ma non lo è. La mia identità non è così stabile come sembra, allora.
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