A cura di Stefano Zampieri - Consulente Filosofico

lunedì 2 settembre 2019

Tace chi può parlare



Per la costruzione di una pratica filosofica.
“La parola è una delle forme fondamentali della vita umana; l'altra forma è il silenzio, ed è un mistero altrettanto grande. Silenzio vuol dire non soltanto che non si dice una parola o non si estrinseca un suo­no. Questo soltanto non è silenzio; anche l'animale è capace di tanto, e più ancora lo è un sasso. Silenzio è invece ciò che si verifica quando l'uomo, dopo aver parlato, ritorna in se stesso e tace. Oppure quando egli, potendo parlare, rimane zitto. Tacere può sol­tanto chi può parlare. Nel fatto che colui che parlan­do sarebbe «uscito fuori», resta nel proprio riserbo in­teriore, in ciò consiste il silenzio: un silenzio che sa, che sente, che vibra di vita in se stesso.
Le due cose ne fanno una sola. Parlare significati­vamente può soltanto colui che può anche tacere, al­trimenti sono chiacchiere; tacere significativamente può soltanto colui che può anche parlare, altrimenti è un muto. In tutti e due questi misteri vive l'uomo; la loro unità esprime la sua essenza.
Ora, essere padroni del proprio silenzio è una vir­tù; su di essa vogliamo riflettere.” (Romano Guardini)
Il silenzio dunque nasce dentro il linguaggio è una forma d’espressione di un essere parlante, e gli esseri parlanti sono sempre esseri plurali, perché non esistono linguaggi privati. Il senso è plurale o non è.
Una questione su cui costruire un evento di pratica filosofica:  che rapporto c’è tra solitudine e silenzio?

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