Per la costruzione di una pratica filosofica.
“La parola è una
delle forme fondamentali della vita umana; l'altra forma è il silenzio, ed è un
mistero altrettanto grande. Silenzio vuol dire non soltanto che non si dice una
parola o non si estrinseca un suono. Questo soltanto non è silenzio; anche
l'animale è capace di tanto, e più ancora lo è un sasso. Silenzio è invece ciò
che si verifica quando l'uomo, dopo aver parlato, ritorna in se stesso e tace.
Oppure quando egli, potendo parlare, rimane zitto. Tacere può soltanto chi può
parlare. Nel fatto che colui che parlando sarebbe «uscito fuori», resta nel
proprio riserbo interiore, in ciò consiste il silenzio: un silenzio che sa,
che sente, che vibra di vita in se stesso.
Le due cose ne
fanno una sola. Parlare significativamente può soltanto colui che può anche
tacere, altrimenti sono chiacchiere; tacere significativamente può soltanto
colui che può anche parlare, altrimenti è un muto. In tutti e due questi
misteri vive l'uomo; la loro unità esprime la sua essenza.
Ora, essere
padroni del proprio silenzio è una virtù; su di essa vogliamo riflettere.”
(Romano Guardini)
Il silenzio dunque nasce dentro il linguaggio
è una forma d’espressione di un essere parlante, e gli esseri parlanti sono
sempre esseri plurali, perché non esistono linguaggi privati. Il senso è
plurale o non è.
Una questione su cui costruire un evento di pratica filosofica: che rapporto c’è tra solitudine e silenzio?
http://stefano-zampieri.blogspot.com/
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