A cura di Stefano Zampieri - Consulente Filosofico
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domenica 15 gennaio 2023

Immaginare il futuro: Zigmunt Bauman, Scrivere il futuro

Zigmunt Bauman, Scrivere il futuro, (2016)


 Nel 1814 Laplace sosteneva che una conoscenza puntuale di tutte le strutture dell’Universo ci avrebbe messo in condizione di conoscere anche il futuro: è il sogno positivista che domina il XIX sec. e parte del XX. Ma al contempo è la precisa affermazione per cui le persone comuni (che non avranno mai la sufficiente conoscenza) non potranno nemmeno conoscere il futuro, con tutto il carico di angoscia che questa consapevolezza comporta.

Queste le parole di Laplace:

«Possiamo considerare lo stato attuale dell'universo come l'effetto del suo passato e la causa del suo futuro. Un intelletto che ad un determinato istante dovesse conoscere tutte le forze che mettono in moto la natura, e tutte le posizioni di tutti gli oggetti di cui la natura è composta, se questo intelletto fosse inoltre sufficientemente ampio da sottoporre questi dati ad analisi, esso racchiuderebbe in un'unica formula i movimenti dei corpi più grandi dell'universo e quelli degli atomi più piccoli; per un tale intelletto nulla sarebbe incerto ed il futuro proprio come il passato sarebbe evidente davanti ai suoi occhi»

(Essai philosophique sur les probabilités, Laplace)

Questa situazione mutò più o meno alla metà del ‘900. A partire da Ilya Prigogine e quindi dall’affermazione della incertezza come condizione ontologica insuperabile del mondo. Prigogine fa notare come sia finita l’epoca della fede positivista ma anche quella successiva che potremmo chiamare del divenire: cioè l’idea di un mondo dominato dalla probabilità.

Allora non possiamo più descrivere il mondo in termini di certezza positivistica né in quelli probabilistici. Perché la maggior parte dei sistemi sono instabili (cfr. Prigogine) e quindi la maggior parte dei cambiamenti che avvengono non possono tornare allo stato precedente, sono irreversibili. Il nostro mondo è dunque imbevuto dalla turbolenza: tutto può accadere, ma nulla può essere fatto con certezza assoluta. In un mondo complesso ogni evento può accadere ma anche no, e non vi è modo di prevederlo con certezza.

Per via della complessità, dunque, non siamo mai in grado di liberarci dal mistero del futuro. Anche se sappiamo che la più piccola azione individuale può avere effetti enormi, ma al contempo nessuna azione può avere effetti prevedibili  con certezza.

In questo senso la complessità ci esalta e ci umilia.

Un esempio di turbolenza è il fenomeno migratorio moderno, che provoca tendenze opposte come la mixofilia e la mixofobia (mixo per mescolanza).

Mixofilia: considera la diversità come occasione di incontro e di sperimentazione. Facilita la comprensione e riduce la Paura, e stimola la collaborazione e la solidarietà.

Mixofobia: sentimento di disagio e di paura di fronte allo straniero. Può sfociare nell’aggressività. Spinge alla formazione di comunità chiuse.

 Non possiamo sapere se prevarrà l’una o l’altra. Questi fenomeni, queste turbolenze, ci fanno comprendere che il futuro non è dato. Cioè che “la storia deve essere fatta. Siamo noi a doverla realizzare. Dobbiamo cercare i modi per scriverla in conformità ai nostri desideri.” (19) Ma non c’è una ricetta per questo. Bauman chiude parafrasando una affermazione di Antonio Gramsci: “Per prevedere la storia dobbiamo unirci, organizzarci. Dobbiamo farla, la storia” (20)

 

lunedì 7 ottobre 2019

Una vera comunità


Materiale per un laboratorio di pratica filosofica.

Vi sono ancora dei luoghi ove il dominio incontrastato della società mercantile, non si è  interamente realizzato, Bauman le chiama zone grigie, per indicare situazioni in cui la società del consumo illimitato non ha ancora totalmente asservito le persone. Zone di confine, zone marginali, zone che sopravvivono, che producono resistenza alla società dei consumi. Ma quali caratteristiche può avere una simile area?
“quella che nell’ottica della conquista del mercato – già acquisita o ancora soltanto progettata – è rappresentata come un’«area grigia», per i suoi abitanti conquistati, parzialmente conquistati o obiettivo di conquista, è una comunità, un quartiere, una cerchia di amici, compagni di vita e compagni per la vita: un mondo in cui solidarietà, compassione, partecipazione, aiuto reciproco e reciproca simpatia (tutte nozioni sconosciute alla teoria economica e aborrite dalla pratica economica) sospendono o rifiutano la scelta razionale e il perseguimento dell’auto-interesse. Un mondo i cui abitanti non sono né competitori né oggetti di uso e consumo, ma compagni (che aiutano e sono aiutati) nel costante, incessante, comune sforzo di costruire una vita partecipativa e di renderla vivibile. (Z. Bauman).
La sfida è cominciare a pensare questo mondo: è possibile? è reale? è auspicabile?  è già iniziato? Quanti di noi sarebbero seriamente in grado di pensare alla propria esistenza al di fuori del mondo del consumo? Perchè Bauman parla di una zona grigia, ovvero di una zona di confine, una terra di mezzo e non invece di un mondo realizzato?

lunedì 30 settembre 2019

Lavoro della pluralità


Per un laboratorio di pratica filosofica

Il desiderio sessuale è una attitudine naturale dell’uomo, ed è una propensione tipicamente “sociale”.
“Esso si protende verso un altro essere umano; esige la presenza di un altro essere umano e si sforza di riforgiare tale presenza in un’unione. Anela l’aggregazione; rende ogni essere umano, per quanto completo e per altri aspetti autosufficiente, incompiuto e monco – a meno che non sia unito a un altro essere umano.” (Bauman, Amore liquido).
Il desiderio sessuale è un lavoro della pluralità. E'  movimento del singolo che agisce in funzione del proprio essere plurale. E' il lavoro della pluralità che dentro ognuno di noi, singoli individui, lavora per la realizzazione della comunità.

mercoledì 4 gennaio 2017

La bellezza e il destino dell'uomo

Riuniti a discutere del ruolo della bellezza nel destino umano, due fra i massimi interpreti del nostro tempo, Agnes Heller e Zygmunt Bauman, offrono le loro risposte in questo libro piccolo ma prezioso. La grande filosofa ungherese, allieva di György Lukács, fa notare il legame originario greco tra bellezza e amore e poi ripercorre le mutevoli accezioni del bello nel pensiero occidentale per ricavarne la conclusione che pur nelle diverse interpretazioni ciò che è in gioco è sempre la stessa questione: quali sono gli effetti della bellezza in noi? E la risposta che Heller propone è la stessa di Adorno, secondo il quale il bello è una promessa di felicità, e forse è destino della felicità di restare sempre una promessa.
E' per questo che la bellezza può salvarci dalla disperazione. Perchè, aggiungo io, la bellezza ci mette in condizione di pensare che un altro mondo è possibile, migliore di questo.
Da parte sua invece il sociologo polacco padre della "modernità liquida", sottolinea come la missione dell'arte contemporanea sia quella di rompere il velo della falsa armonia, della banalità, del conformismo, del consenso e della fede nell'ordine costituito.
Potrebbero sembrare due letture diverse, ma a ben guardare appaiono invece del tutto coerenti: da qualsiasi parte si osservi la bellezza, dal lato pacificato e armonico o da quello dissonante e problematico, ciò che emerge è che essa non è una formula, ma è piuttosto una variabile, essa può assumere forme differenti nel tempo, nel contesto, nelle aspettative, nelle aspirazioni, ma in tutti i casi la bellezza è un agire rivolto al meglio possibile, che sia una promessaa di felicità o comunque qualcosa che si riveli utile per rendere il mondo "un posto più ospitale per la vita degli esseri umani".

Agnes Heller - Zygmunt Bauman
La bellezza (non) ci salverà
Trento, Il Margine, 2016
€ 5,00