A cura di Stefano Zampieri - Consulente Filosofico

lunedì 19 dicembre 2016

Felicità reale?

Ci sono libri dei quali non condividi praticamente nulla, eppure sono libri bellissimi che vale sicuramente la pena leggere con attenzione, proprio perchè ci costringono a pensare, e ci insegnano a farlo. E' sicuramente così per questo "Metafisica della felicità reale" di Alain Badiou, uno degli ultimi maître à penser francesi, approdato dalla militanza nell'estrema sinistra maoista alla prospettiva filosofica di una riedizione del "sistema", che attraverso un percorso abbastanza contorto riabilita insieme il platonismo, la dialettica, la soggettività, la verità.  Al di là di questo però, Badiou coglie molto bene l'esigenza di dare vita ad una noziione di felicità che non sia la pedissequa riedizione delle modeste soddisfazioni quotiodiane del piccolo borghese e della sua bella famigliola sazia e soddisfatta, ma sia piuttosto un sentimento di dilatazione dell'individuo che può realizzarsi solo dall'evento di una rivolta logica rispetto alle opinioni prefissate, ed insieme da una esigenza di giustizia rispetto alle miserie del mondo e della vita umana. Ma, nota giustamente Badiou, la nostra società si presenta invece come il mondo migliore piossibile e dunque ben poco migliorabile, ed è dominato dal vuoto della comunicazione spettacolo, da un concetto di universalità ridotta alla dimensione del denaro e delle merci, da una rigida  e sterile specializzazione dei saperi e da una ossessione per la sicurezza personale, per cui nessuno davvero si sente pronto ad affrontare il rischio dell'evento che rompe il quadro, dell'azione che spacca la banalità e quotidianità, nessuno se la sente più di lasciare la propria esistenza al caso, l’intero assetto vitale è programmato e pianificato (studi, educazione, lavoro, sicurezza personale ecc.). 
La stessa filosofia nelle sue tre grandi correnti contemporanee, quella ermeneutica, quella analitica, quella post moderna, appaiono a Badiou del tutto inadeguate ad affrontare quello che gli appare come il problema centrale dell'uomo cioè il suo rapporto con la verità.
Ma la mutabilità della comunicazione spettacolo e l’universalità delle merci e della moneta si possono interrompere secondo Badiou solo a partire da un punto fermo incondizionato, un’idea strategica e quindi da una VERITA’. Ciò esige sistema, esige un superamento della frammentarietà del discorso filosofico, cioè una filosofia della singolarità, della decisione e della scommessa (e dunque un ritorno al soggetto).
Che proprio questo sia il presuspposto dell "felicità reale" è la tesi dell'autore, una tesi complessa e argomentata con profondità, ma inesorabilmente fondata su un presupposto franoso, perchè ciò che Badiou chiama “verità” è, esplicitamente, quel che Deleuze chiama “senso”, ma in altre filosofia si sarebbe chiamato bene, spirito, noumeno, e prima ancora Dio, e  di ciò conserva intera la volatilità, l'ineffabilità, l'inconsistenza.

ALAIN BADIOU
Metafisica della felicità reale
Roma,
Derive Approdi, 2015
  

giovedì 15 dicembre 2016

Filosofia dell'esistenza, vecchia e nuova.

Diciamolo subito: non si tratta nè di una raccolta di aneddoti, nè di un saggio teorico. Direi piuttosto un quadro, la descrizione di un'intera epoca culturale, dagli anni Trenta in poi, il racconto di una serie di personalità di grande valore, ma anche la ricostruzione di alcuni eventi storici decisivi nel XX secolo e la scansione di fenomeni culturali travolgenti allora, ma importanti ancor oggi. Insomma, Sarah Bakewell riesce nel difficile intento di ricostruire i grandi dibattiti del '900, dalla scopertta della fenomenologia, alla svolta heideggeriana, alle questioni relative ai rapporti con il comunismo sovietitco, con i fermenti post coloniali, e con la stagione delle rivolte e dei diritti.
Senza mai annoiare o diventare pedante, l'autrice ricostruisce caratteri, riassume testi, segue vicende biografiche con grande competenza, servendosi di una ricchissima bibliografia, e riuscendo nella diffficile impresa di essere chiara senza scadere nel superficiale.
Ciò che ne esce non è nè un quadro agiografico nè una anacronistica demolizione, è piuttosto la complessità di una straordinaria stagione culturale, dominata da personalità di primissimo livello, Sartre, De Beauvoir, Camus, Merleau-Ponty, ma anche Vian, Genet, Jaspers, Lévinas, Marcel, Lanzamann, Murdoch, Nizan, Patocka, Wright e innumerevoli altri, tutti coinvolti nel gioco della filosofia e dell'arte che provano a rimettere in questione l'esistenza stessa liberandosi della zavorra della tradizione e tentando di scrollarsi di dosso le incrostazioni di un mondo che stava finendo e che attraverso i disastri della guerra, della rivoluzione, delle lotte perr l'emancipazione, comincivava a sperimentare, ora timidamente ora grosssolanamente, i nuovi abiti di un mondo che allora si affacciava e che ora è il nostro.
Di sicuro alla fine della lettura di questo libro restra la consapevolezza che quelle esperienze stanno alle nostre spalle, non solo perchè noi le abbiamo superate, ma anche perchè è in esse che troviamo la radice, il fondamento, l'impulso del nostro stesso modo di approcciarci alla realtà, senza più Autorità, nè Obbedienze, senza Verità Assolute, ma ansiosi di fare luce sulla nostra vita nella convinzione che essa possa essere migli
ore. Per tutti.

Sarah Bekewell
Al caffé degi esistenzialisti. Libertà, Essere e cocktail
Fazi Editore 2016
€20,00

lunedì 28 novembre 2016

Il quotidiano: filosofia e spiritualità

Che ruolo ha la spiritualità nella vita quotidiana? Oppure: ha senso parlare di spiritualità da una prospettiva laica e non confessionale? Le due domande si intrecciano e le possibili risposte costituiscono un passaggio ineludibile per chi voglia ripensare il quotidiano. Ci aiuta nella riflessione Augusto Cavadi con questo suo massiccio volume: oltre 300 pagine di grande formato, quasi un migliaio di note, una ventina di pagine di biliografia, a testimonianza non solo di una ricerca di vasta portata ma anche della complessità della problematica.
Dal mio punto di vista Cavadi coglie perfettamente la prospettiva più feconda, quella che mette al centro dell'analisi proprio la filosofia, intesa non tanto come una "ginnastica mentale", o un ricerca storica, ma come 'amore per la sapienza, e insieme sapienza dell'amore, cioè come quella attitudine interrogativa che nasce oltre la spiegazione scientifica, proprio perchè risponde a domande che scaturiscono non dalla ricerca dello scienziato, ma dalla quotidianità dell'esistenza. Laddove ha senso anche porre domande irrazionali o ingenue, o istintive. Ma che pur tuttavia costituiscono un doveroso passaggio, una percorso di formazione per tutti noi.
In questo senso il termine stesso "spiritualità" deve essere riletto, nella sua costitutiva vaghezza, come un termine non necessariamente confessionale, anche se il suo significato religioso non può essere escluso, ma al contempo anche non necessariamente idealistico o soggettivistico, il termine deve essere inteso piuttosto come un "patrimonio di tutti, monopolio di nessuno". Spiritualità, dunque prima di tutto come apertura verso l'infinito da parte di esseri finiti, apertura e dunque non chiusura nel foro interiore, nell'isolamento, ma anzi  squadernamento di un mondo attraverso tutte le forme della creazione umana, non escluse quelle dell'arte, della letteratura, della musica. Ma Cavadi non esita a mettere inaspetattamente nel discorso anche la dimensione spirituale delle scienze, o della gastronomia o dello sport.
E' dunque nella filosofia che la spiritualità riprende vita al di là dei recinti nei quali oggi si trova spesso confinata. Una filosofia che non si trastulla con il gioco dei concetti o l'invenzione di formule astratte, ma si concretizza come forma di vita improntata alla saggezza.
Così tutta la seconda parte del libro diviene proprio un ampio e articolato manuale di "spiritualità filosofica", nel quale assumono dignità di riflessione la presenza di sè, l'accettazione della propria finitudine, il superamento del complesso di colpa, ma anche il saper pensare, o il saper rischiare,  il misurarsi con il lavoro, il saper mangiare quanto il saper digiunare, il saper invecchiare, il saper ascoltare il silenzio, il saper conversare, il saper darsi tempo, ecc... insomma tutte le virtù della vita vissuta al suo meglio. Come la filosofia ci insegna. 

Augusto Cavadi
Mosaici di saggezze. Filosofia come nuova antichissima spiritualità
Diogene Multimedia, 2016
pp. 357  € 25

mercoledì 23 novembre 2016

Un'alternativa romantica

Non bastano certo cinque lezioni per imparare a stare al mondo, ma si sa che titoli e sottotitoli devono promettere per catturare. E questo libro non fa eccezione. Nonostante il tono leggero e il titolo accattivante, però il contenuto non è affatto scontato. Leonardo Caffo giovanissimo allievo di Maurizio Ferraris, già piuttosto noto per le sue frequentazioni vegane, sembra infatti avere le idee molto chiare.
La sua proposta emerge da una prospettiva e un linguaggio tipici della filosofia analitica, e mette in scena, anche se in modo piuttosto affrettato e non sempre adeguatamente argomentatao, alcune riflessioni stimolanti, soprattutto nel capitolo dedicato all'etica, laddove si tenta di sostenere la tesi di una umanità naturalmente etica prima di ogni teoria vera e propria, in base all'osservazione del fatto che l'umanità non è costituita di individui isolati e irrelati ma ha la stessa natura dello stormo, e dunque agirebbe in base a comportamenti comuni e collettivi, come se si trattasse di un unico immenso organismo.
Etica dunque come teoria dello stormo, come puro movimento nella direzione del progresso. In questo senso, e in modo decisamente controintuitivo, Caffo pensa che il singolo sa già ciò che è giusto fare, prima di ogni teorizzazione, che dunque va valutata non in base allo stato di eccezione, ma a partire dall'ordinario, dalla vita di tutti i giorni.
L'inaspettata apertura verso il progresso - che non è certo termine molto alla moda - trova ulteriore conferma nell'ultima lezione dedicata al futuro. Qui si conferma quella sorta di ingenuo romanticismo che è la nota dominante di tutto il libro, e in base al quale dovremmo pensare ed esperire nuovi stili di vita. In questo progetto, la filosofia ha un ruolo ben preciso che va oltre l'esortazione marxiana di passare dalla filosofia come contemplazione alla filosofia come trasformazione, ciò che ha in mente Caffo è piuttosto la filosofia della differenza di cui parlava Deleuze, cioè una alternativa filosofica che si realizza come apertura, atto, movimento di anticipazione i cui primi segn
i sarebbero già sotto i nostri occhi, perchè assumono le forme della disobbedienza civile, del vegetarianesimo, della non violenza, del pacifismo, di una sessualità al di là dei generi. Ora, non c'è dubbio che tale progetto contenga motivi per cui ci si possa sentire attratti e coinvolti, ma purtroppo la realtà quotidiana, la vita di tutti i giorni, è assai più complessa e più contraddittoria di quanto uno sguardo felicemente romantico possa vedere.

Leonardo Caffo
La vita di ogni giorno. Cinque lezioni per imparare a stare al mondo
Torino, Einaudi, 2016
pp. 125, €12,50

domenica 20 novembre 2016

L'eredità greca

In questo delizioso libretto Mauro Bonazzi, noto studioso di filosofia greca, raccoglie e rielabora una serie di articoli pubblicati su vari giornali e riviste. Il tono resta quello giornalistico, ma la riflessione non è mai superficiale. La tesi di fondo è che il mondo greco abbia ancora molto da offrirci e da insegnarci, ed è sicuramente vero. Anche se non riesco ad essere d'accordo su quella presunzione, spesso ripetuta, che tutto sia stato già detto dai greci, perchè a mio modo di vedere non è affatto così.  Vi sono temi  che nessun greco potrebbe comprendere semplicemente perchè appartengono ad una fase diversa della civiltà e della società, a partire dal rapporto con il lavoro e con la tecnica, ma anche aspetti di carattere, come ad esempio il tema della solitudine o quello dell'alienazione, estranei al mondo greco, e decisivi in quello moderno. D'altra parte proprio per la nostra formazione, per il modo in cui noi tutti, noi "filosofi continentali", siamo entrati nella disciplina filosofica, tendiamo a ricadere continuamente in questa tentazione di risolvere i problemi filosofici in Platone e Aristotele, cancellando con un colpo di bacchetta magica due millenni di storia dell'umanità.
Al di là di questo resta sicuramente il problema ben affontato da Bonazzi, dell'eredità  della cultura greca, spesso riassunta nella cifra del razionalismo, e nell'esaltazione del logos, ma solo perchè risolta nelle figure di Platone e Aristotele. In realtà la tradizione greca è assai più articolata e più complessa, e l'eredità più significativa è piuttosto l'attitudine filosofica stessa, ovvero il desiderio di mettere in questione ciò che si vive, ciò che che ci circonda, da una prospettiva laica, estranea cioè al mito, al culto, alla religione. I greci ci hanno affidato questo punto di vista, noi moderni l'abbiamo perseguito talvolta, altre volte tradito. Oggi la società occidentale sembra avviata ad una fase di arretramento, abbagliata da tendenze animiste, da miti e superstizioni, da un atteggiamento anti scientifico e anti razionale. Mai come ora la nostra sola difesa è nella filosofia. Da qusto punto di vista vale sempre la pena di tornare ai greci, magari senza dimenticare che fra noi e loro c'è di mezzo l'Illuminismo.

Mauro Bonazzi
Con gli occhi dei greci
Carocci 2016
p. 134   €12

giovedì 17 novembre 2016

La vecchia domanda sul senso della vita.

Eugenio Lecaldano, professore emerito della Sapienza, è autorità riconosciuta nel campo dell''Etica pratica e della bioetica, e da sempre un punto di riferimento per chi, soprattutto da una prospettiva di filosofia analitica, cerca di riflettere intorno alla possibilità di un'etica laica. Anche in questo libretto, sostenuto dai suoi riferimenti classici, Hume e Smith in modo particolare, prova a rispondere alla più abusata delle domande filosofiche, quella intorno al senso della vita.
In realtà però il libro si articola ampiamente molto più sulla opportunità e sul modo di porre tale domanda che sulla concreta possibile risposta. Una domanda che appare nella sua importanza reale solo a partire da una ricerca personale, che tuttavia si colloca sempre in una dimensione pubblica perchè si confonde con l'esigenza di trovare un modo per abitare conspevolmente il mondo.
Lecaldano cerca di porsi oltre ogni nichilismo, ma anche oltre ogni soluzione facile, come i miti della ricchezza, e del benessere, e al contempo al di là di ogni possibile risposta religiosa. E mette da parte anche la riduzione del problema alla dimensione della moralità. Perchè il problema del senso della vita non si risolve sul piano della moralità del comportamernto. C'è qualcos'altro, c'è qualcosa di più personale. Che non è però nemmeno la fissazione di una identità forte, nozione che ormai la nostra civiltà liquida ha reso inconsistente.
In una dimensione contingente nulla garantisce la vita umana, ma è proprio dal sentimento di realizzazione, di perfezionamento del proprio progetto di vita, che secondo Lecaldano è possibile rispondere alla domanda intorno al senso della vita. E sarà inevitabilmente una risposta personale, l'esito di un percorso necessario, profondamente umano. Perchè la vecchia domanda ha ancora n senso.

Eugenio Lecaldano,
Sul senso della vita
Bologna, Il Mulino, 2016
pp. 147  € 13


mercoledì 9 novembre 2016

I nodi della vita

Da diversi anni ormai Salvatore Natoli ha affiancato alla sua produzione scientifica di tipo più strettamente accademico, una produzione di tipo divulgativo a sfondo prettamente morale. Il filone è stato inaugurato da "La felicità di questa vita " del 2000, e poi perseguito con la "Guida alla formazione del carattere" del 2006, e ancora "L'edificazione di sè" del 2010,  "Perseveranza" del 2014, e si arrichisce ora di un altro testo sintetico ma ricco e stimolante, "I nodi della vita", edito dall'editrice La Scuola. Anche qui come in tutte queste sue operette, Natoli mette alla prova la tenuta di quella che chiama "un'etica del finito", cioè una prospettiva attraverso la quale egli si propone di offrire all'uomo contemporaneo una prospettiva filosofica per rileggere i momenti salienti della nostra eistenza quotidiana a partire dalla consapevolezza della nostra finitezza di singoli in relazione, dalla necessità di sapere adottare secondo un modello aristotelico una prospettiva di virtù che ci consentano di dominare il desiderio, senza esserne dominati, e di realizzare una giusta misura nelle cose.
Qui i nodi della vita sono prima di tutto quelli che tengono insieme corporeità, soggettività e relazione. Tre termini che stanno in un rapporto circolare e non possono essere separati l'uno dall'altro senza cadere in un abisso di equivoci. Essere corpo significa essere spazialità, cioè spazio entro altri spazi, relazione nel sistema delle cose del mondo. Ma al contempo ancher essere coscienza del proprio corpo distinto dagli altri corpi, cioè soggetto, ovvero inizio, apertura del mondo.
La soggetività è il corpo vivo, è il corpo in azione. Quando il corpo è in salute non sente tanto se stesso, ma sente il mondo, perchè è aperto al mondo. Se invece siamo feriti sentiamo piuttosto il dolore della ferita che il mondo. In quanto corpo e soggettivtà, corpo e mente, siampo sistemi viventi: la caratteristica dei sistemi viventi è quella di nascere e morire, di essere in continua relazione  con l'ambiente e di avere una costituzione omeostatica, cioè di tendere ad un certo equilibrio di fronte alle variazioni ambientali.
Rispetto agli altri animali l'uomo ha più alta capacità di autorappresentazione e quindi di rappresentarsi se stesso distinto dall'ambiente circostante. Ciò significa che per l'uomo lo spazio si apre indefinitamente come un immenso campo di possibilità. Lo spazio aperto è sempre lo spazio dell'agire, quanto l'agire è a sua volta costituzione spaziale, apertura. E il medium di questo processo è il gesto: corporeità nello spazio tempo, soggettività nell'intenzione e nella possibilità, relazionalità con il mondo. Ciò che appunto si stringe nei nodi della nostra vita cui allude il titolo. I nodi della nostra esistenza.
Molte altre sono le argomentazioni di questo aureo libretto, ma tanto basti per comprenderne il punto di vista da cui esso muove. Una prospettiva utilissima per il filosofo che si interroghi sulla quotidianità dell'esistenza.

SALVATORE NATOLI
I nodi della vita
Editrice La Scuola 2015
€11,50

domenica 6 novembre 2016

Un bel libro (ma ben nascosto)

Per chi avessse ancora dei dubbi ecco un esempio della decadenza culturale del nostro paese, questa volta la responsabilità è di una editoria che insegue mode, che inventa occasioni di business, e che per farlo non esita a violentare anche opere di grande valore. E' il caso di questo libro che la redazione del Il Saggiatore presenta con un titolo degno di un'operetta new age da libreria della stazione, "L'arte di essere felici", un titolo buono per catturare appunto un viaggiatore frettoloso, o un curioso che ha poco tempo e vuole andare rapidamente al sodo, e che resterà drammaticamente deluso dal contenuto del libro. Non basterà certo a consolarlo l'immagine di copertina che potrebbe essere riciclata anche per un'opera sul caffè o sull'arte di disegnare faccette con la schiuma.
Solo un lettore molto tenace avrà la forza di affontare un'opera che è sicuramente di lettura complessa (i suoi riferimento tanto per dire sono Deleuze, Spinoza, Nietzsche, Blanchot), ed il titolo originario è "La traversée des catastrophes", portremmo tradure "Superare le catastrofi". L'autore è un filosofo molto noto in Francia Pierre Zaoui, che in un libro di grande spessore affronta con straordinaria sapienza ma anche con lucida trasparenza, il tema della morte e l'incontro con la catastrofe esistenziale. Una lucidità e una onestà legate anche al fatto che l'autore ha vissuto sulla sua pelle l'esperienza della malattia incurabile.
Ne esce un libro denso e articolato, mai banale, che cerca di aprirsi faticosamernte la strada verso la costituzione di un'etica naturalistica che non abbia più necessità di nascondersi dietro l'alibi del nome di Dio, ma che non si ritragga di fronte alle grandi sfide dell'esistenza, cadere, ammalarsi, rialzarsi, vivere la mancanza, vivere la presenza dopo la morte, introdursi nell'evento amoroso, indirizzarsi verso un meglio che non potrà cancellare il peggio. Un libro tutto da leggere e poi soprattutto da meditare.

PIERRE ZAOUI
L'ARTE DI ESSERE FELICI
il Saggiatore, 2016, pp. 374, €17,00

domenica 2 ottobre 2016

Una funzione sociale, non un mestiere

Che anche la filosofia possa diventare un mestiere, è ovvio, è già così, sotto le spoglie dell'insegnamento, ma anche sotto quelle della ricerca universitaria, o dell'editoria, in qualche caso persino dietro la maschera della divulgazione negli ormai innumerevoli festival e simili. Sempre di attività remunerate si tratta, niente di più, niente di meno. Quindi che la filosofia possa diventare mestiere è cosa ovvia. Ciò che è meno ovvio è se la filosofia pratica, che nasce proprio come "libera professione", abbia in questa pretesa originaria la sua realizzazione.
E' vero che il "consulente filosofico" ha interperetato se stesso come un libero professionista e come un fornitore di servizi (d'aiuto o di riflesione), ma è davvero questo il nucleo della sua identità? Io non lo credo affatto. E propongo piuttosto di pensare il filosfo praticante non come un professionista di una pratica d'aiuto, ma come l'esecutore di una funzione sociale: credo che per altro questa sia proprio la formula socratica, nel suo essere antisofista; i sofisti fornivano legittimi e utilissimi servizi a pagamento, il socratismo per quel che ne sappiamo sembra essere piuttosto l'esecuzione di una funzione sociale di messa in questione da parte di un filosofo, dell'èlite culturale e politica della polis.
Ora, nel terzo millennio il nostro riferimento non può più essere una, per altro inesistente, èlite culturale, ma è la società nel suo complesso, certo, questa socieltà, occidentale, borghese, dominata dal benessere e dalla logica del consumo.
Rispetto a questo mondo il filosofo praticante costituisce appunto un'anima critica, un pungolo, un tafano, che costruisce luoghi del pensiero, cioè spazi ove si mettono in questione  le assunzioni comuni del nostro vivere, ma anche le tensiooni, le difficoltà, le asperità che tutti percepiamo nella nostra esistenza.
Il filosofo praticante, dunque svolge una funzione sociale ben precisa, ed è proprio questa la sua natura, non tanto il professionismo, che non è nè assurdo nè disdicevole, perchè è ciò che ci aspettiamo, è ciò che appare scontato in una società retta dallo scambio economico, ma lo confina, lo limita, lo costringe, dentro la dimensione del mercato dal quale invece dovrebbe in qualche modo emanciparsi per poter rappresentare una credibile voce critica. Per poter svolgere cioè credibilmente la funzione sociale di  creatore di spazi del pensiero nei quali delineare le cornici di senso del nostro quotidiano.


mercoledì 21 settembre 2016

Serve la filosofia

Qual è la funzione sociale della filosofia pratica? In generale la filosofia può avere uno straordinario impatto sulla nostra vita emotiva, non solo fornendoci principi operativi e credenze ma anche riuscendo a dirigere la nostra attenzione  in modo selettivo verso ciò che è positivo anche nel negativo. E' ciò che si nomina quando diciamo frasi tipo "Prendila con filosofia!", espressione con la quale si tende a spingere qualcuno - o se stessi - a prestare attenzione più agli aspetti postivi delle circostanze che a quelli negativi, è la formula del bicchiere mezzo pieno. Ed è soprattutto l'eterna funzione consolatoria della filosofia. In fondo anche l'antico precetto platonico della filosofia come un "esercizio di morte", è un modo di prenderla con filosofia: osserviamo ed esercitiamoci a morire presumendo che questo ci aiuti a vivere meglio.
Ma la filosofia pratica non ha più o comunque non ha solo una simile funzione consolatoria. La filosofia pratica è prima di tutto una messa in questione, è una operazione di sottrazione dall'indifferenza, è il gesto di esaminare le conseguenze, e quindi di assumere responsabilità.  
La funzione sociale della  filosofia pratica è quella di tornare a pensare gli eventi, le situazioni, le scelte, le occasioni, le prospettive aperte dalla vita quotidiana. Un piccolo elenco di eventi che dovrebbero essere ri-pensati per evitare le tante distorsioni della nostra civiltà attuale: votare, sposarsi, convivere, avere una famiglia, amare, scegliere un percorso di studi, scegliere un percorso professionale, lavorare, essere amici, fare politica, mangiare, divertirsi, fare sport, e mille e mille altri. Scusate ma l'elenco sarebbe infinito.
Ma in pratica cosa significa? Significa per esempio che non possiamo più andare a votare senza aver prima messo in questione ciò che è in gioco, aver prima riflettuto sulle conseguenze del nostro voto, senza esserci assunti la responsabilità della scelta, senza aver compreso la reale natura delle parti in gioco, ecc. ecc. E per far questo serve proprio la filosofia.

venerdì 5 agosto 2016

Tre livelli di discussione

Ringrazio davvero Neri e Giorgio che a partire dal post precedente hanno avviato una interessante e utile discussione. Intervengo lateralmente con questo post per chiarire la mia posizione rispetto ad alcune questioni sollevate che mi paiono centrali. Senza alcuna pretesa di fermare la discussione ma anzi con la speranza di contribuire ad una soluzione.
Allora, anche qui schematicamente, per cercare la massima chiarezza.
Io sono persuaso che la cosiddetta Consulenza Filosofica sia una delle possibili Pratiche Filosofiche, ovvero di quella forma della filosofia che è rinata negli anni '80 del secolo scorso come
     - pratica dialogica, ovvero con-filosofare
     - finalizzata al mettere in questione le ragioni dell'esistenza (questa seconda qualità può apparire forse meno evidente, ma altrimenti non si comprenderebbe perché il non filosofo dovrebbe sentirsene attratto. L'alternativa è una sola, quella di pensarla come un puro gioco, cosa legittima ma che mi pare non sia stata sostenuta da nessuno).
Su questa base il Filosofo Praticante può benissimo essere anche un Consulente Filosofico - se decide di dedicarsi a quella particolare Pratica. E viceversa.
Non vedo alcun ostacolo di principio. 
A parte andrebbe analizzata la questione della "professionalizzazione". Che io non discuto in termini di principio (la ritengo cioè cosa del tutto legittima), ma in termini di fatto (la ritengo cioè una cosa eticamente non neutrale e quindi soggetta a valutazione personale in base ai propri valori e alla propria visione del mondo).
Ancora a parte, per chi fosse interessato, andrebbe discussa la questione associativa, cioè in che modo e in che misura un'Associazione può rappresentare il Filosofo Praticante o Consulente, o entrambi. E qui la questione è politica prima che teorica.
Tre piani o tre livelli di discussione. Secondo me.