A cura di Stefano Zampieri - Consulente Filosofico

mercoledì 30 ottobre 2024

Letture: Marvin Harris, Cannibali e Re. Le origini delle culture (1977)

 



In questo saggio brillante e leggibilissimo, il grande antropologo Marvin Harris ricostruisce lo sviluppo delle civiltà da una prospettiva materialistica e partendo dall’osservazione che l’uomo nel paleolitico, per migliaia di anni ha vissuto in equilibrio con la natura e, smentendo molti luoghi comuni, afferma  che il cacciatore raccoglitore delle origini viveva una vita più sana dell’uomo che gli succedette.

La fine della glaciazione determinò poi la riduzione delle grandi pianure erbose e quindi la riduzione delle grandi prede. L’uomo dovette accontentarsi di prede più piccole. È il fenomeno  della Estinzione della megafauna nel pleistocene. Con conseguente aumento del consumo delle proteine vegetali.

La nascita dell’agricoltura e dell’allevamento avvengono infatti negli stessi periodi e negli stessi luoghi. Sono forme estreme di INTENSIFICAZIONE.

Facendo notare i limiti della teoria del surplus, Harris propone una legge fondamentale di trasformazione delle società: la pressione demografica produce intensificazione della produzione che determina però un esaurimento delle risorse che spinge verso un cambiamento dell’organizzazione produttiva.

Certo c’è il rischio di introdurre una forma di determinismo storico, Harris ne è consapevole, ma fa anche notare che “libero arbitrio  e scelta morale non hanno avuto praticamente alcun effetto sulle linee di sviluppo dei sistemi sociali” (13).

Motore del cambiamento è dunque l’intensificazione della produzione.

Lo sviluppo del villaggio fu l’effetto dell’esaurimento delle risorse in seguito all’intensificazione del sistema di caccia raccolta. Non l’effetto della “scoperta” dell’agricoltura.

La guerra nelle società pre-statali ha il compito di ridurre i tassi di crescita demografica perché le tribù privilegiano l’allevamento di maschi (ma la crescita demografica dipende dalle donne) => femminicidio, infanticidio ecc.

Gli istituti della supremazia maschile sono il portato della guerra, della prerogativa nell’uso delle armi, nell’uso del sesso come stimolo di personalità aggressive. La guerra dunque non è espressione della natura umana ma una risposta a pressioni demografiche ed ecologiche.

In opposizione alle teorie freudiane, Harris fa notare che il complesso di Edipo non è la causa della guerra (spostare all’esterno l’istinto omicida versi il padre) ma il contrario: è la guerra (=> prevalenza del maschile) la causa del complesso di Edipo (=> competizione fra maschi).

Illustra poi il passaggio dal Grande Distributore tipico delle popolazioni primitive al Re delle società statuali.

Si sofferma ad analizzare il cannibalismo azteco come modo di far fronte alla ridotta disponibilità di proteine animali. Il sacrificio rituale religioso come momento di condivisione delle carni animali, sublimato poi nell’ostia.

E quindi di seguito analizza una serie di tabù alimentari spiegandone l’origine dal rapporto costi/benefici nell’allevamento di certi animali (p. es. il maiale in oriente o la vacca in India).

Anche l’origine del capitalismo può essere spiegata dall’intensificazione della produzione agricola che ha raggiunto i propri limiti ecologici spingendo così verso un cambiamento tecnologico e l’accentramento delle fonti energetiche.

Quanto all’oggi, la previsione non è felice: “L’intensificazione della produzione industriale e la vittoria tecnologica sulle pressioni maltusiane preannunciano indubbiamente un’evoluzione di nuove forme culturali. Non so dire con certezza quali saranno, né sa dirlo chiunque altro.” (208)

Ma poi conclude con una parola di speranza: “Nella vita, come in ogni gioco il cui risultato dipende sia dall’abilità che dalla fortuna, la risposta razionale alle cattive probabilità è di riprovare mettendocela tutta.” (209).

 

 

 

 

 

lunedì 16 settembre 2024

Letture: Pierre Hadot, Il velo di Iside

 


Pierre Hadot, Il velo di Iside. Storia dell’idea di natura

 

Il bellissimo libro di Pierre Hadot, Il velo di Iside. Sstoria dell'idea di natura del 2004, parte da un frammento di Eraclito, il celebre frammento 123 che dice: la natura ama nascondersi, ed esamina dettagliatamente il meccanismo che parte dal senso eracliteo della physis come processo che fa nascere e morire le cose a quello moderno di essere ideale,  significato modello che deve molto alla ideologia del Cristianesimo.

In questo contesto, dunque, inizialmente emerge il tema del segreto della natura. I segreti della natura sono soprattutto i segreti degli Dei. Il segreto degli Dei, quindi il rapporto con la natura, è prima di tutto un rapporto con gli Dei, il discorso naturale è innanzitutto un discorso mitico.

Con il cristianesimo questo modello si trasforma completamente perché la natura in quanto è opera di Dio non è più divina ma è appunto su di un livello inferiore in quanto è creato da Dio. La fisica diventa un po' alla volta la parte della filosofia che si occupa di capire e di scoprire i segreti della natura, si pensi a Bacone o a Kant.

Secondo Hadot tre sono le tecniche di costrizione della natura:

1) la sperimentazione scientifica

2) la meccanica

3) la magia

è questa nel suo complesso quella che possiamo chiamare la fisica prometeica, basato su una ideologia di violenza, di audacia, di curiosità, ad essa si contrappone piuttosto,  secondo Hadot,  una fisica orfica basata piuttosto sull'armonia, sul rispetto per il mistero. L'atteggiamento prometeico è quello dello svelamento dei segreti tramite la tecnica, in questo senso la rivoluzione meccanicistica del Seicento e la connessa matematizzazione della natura (si pensi a Galileo), fa sì che la natura diventi una macchina e Dio in questo senso diventa grande ingegnere o meglio come si usa nelle metafore moderne il grande orologiaio

Versus questo atteggiamento prometeico si muove la critica del mondo della tecnica di Heidegger. Sull'altro versante l'atteggiamento orfico è quello dello svelamento dei segreti della natura tramite il discorso, la poesia, l'arte; in questo senso si inserisce il carattere congetturale della fisica che secondo Hadot era già pienamente presente nel Timeo di Platone, l'autore infatti sostiene che per gli antichi la ricerca scientifica era prima di tutto un esercizio spirituale sostanzialmente fine a se stesso: scienza disinteressata oppure interessata solo allo sviluppo morale dell'individuo.

In questo senso le teorie fisiche tendevano a liberare l'uomo dall'angoscia dell'esistenza (si pensi a caso ad esempio alla paura della morte secondo Epicuro). Il modello poetico estetico pensa le opere della natura come al grande poema di Dio, metafora che poi si trasformerà nella cosiddetta metafora del libro: la natura come un libro scritto in termini matematici (Galileo).

Osservare l'universo con gli occhi dello scienziato si contrappone allora all'idea di osservare l'universo con gli occhi del poeta, dell'artista, e qui pensiamo a Lucrezio, a  Seneca e all'idea del Sublime in kant: la veritas estetica si contrappone alla veritas logica, il mistero della natura diviene dal ‘700 in poi, il mistero dell'essere (Heidegger).

 

 

 

lunedì 9 settembre 2024

Letture: Zerocalcare, Quando muori resta a me, 2024

 

 

                           

Potrà sembrare strano che in questo blog dedicato prevalentemente a testi di natura filosofica oggi presento un testo molto diverso, si tratta addirittura di un fumetto, l'ultimo pubblicato da Zerocalcare. Il titolo è “Quando muori resta a me”.

Ma c'è un motivo abbastanza forte: mentre negli altri testi Zerocalcare si è dedicato soprattutto a una critica di natura politica e sociale, in questo direi lo sguardo è di tipo esistenziale: parla di sé, di suo padre, di sua madre dei rapporti tra di loro, delle incertezze, delle difficoltà tipiche del quarantenne che si sente ancora adolescente e ha difficoltà a sentirsi uomo adulto.

 Il testo di Zerocalcare è profondo, non è mai banale e, dal mio punto di vista. è certamente un testo che ha una schietta impostazione filosofica, per quanto l'autore non sia un filosofo non cita filosofi, non ha pretese filosofiche. Ma certamente lo sguardo di cui si serve per raccontare, a suo modo, cioè attraverso quelli che chiama i disegnini, una realtà profonda della vita di noi tutti. Il protagonista, infatti, è un uomo in crisi, è un uomo pieno di dubbi, è un uomo che si pone continuamente delle interrogazioni e in questo senso è certamente persona che ha atteggiamento schiettamente filosofico

 Ma, attenzione, non ci sono le risposte, non ci sono, i luoghi comuni del buon senso, delle opportunità, della vox populi, e proprio questo è ciò che lo rende interessante, perché sono domande poste in maniera corretta, profonda, autentica, e spesso  non serve rispondere, serve porre bene la domanda a testimoniare un'attitudine riflessiva che è la caratteristica tipica della filosofia. Credo che tutti coloro che oggi si occupano di filosofia in senso pratico operativo dovrebbero leggere un testo come questo per capire in che misura anche il non filosofo possa adottare uno stile di vita filosofico cioè uno stile di vita interrogativo.