A cura di Stefano Zampieri - Consulente Filosofico
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mercoledì 19 febbraio 2025

Telmo Pievani, La fine del mondo. Guida per apocalittici perplessi, 2012

 


 


L'estinzione dei grandi rettili nel Cretaceo, 65 milioni di anni fa, ha lasciato il posto ai mammiferi in una staffetta evoluzionistica dalla quale dipendiamo. Si può dire allora che l'uomo Sapiens è figlio di questa catastrofe.

Le molte catastrofi vissute dall'uomo lo costringono a porsi il problema del male naturale e del male umano (cfr. Voltaire sul terremoto di Lisbona 1755).

Piovani affronta il tema dell'Apocalisse seguendo la traccia di cinque termini chiave.

CATASTROFE

Si pensi agli esempi eminenti di Gilgamesh e della Genesi: il diluvio universale, si pensi a Esiodo: dopo l'età dell'oro il presente e il futuro sono decadenza, si pensi agli stoici con il tema dell'ecpirosi: l'uomo ha sempre pensato il suo destino legato a una catastrofe: "Dal secondo secolo in poi gli adepti del sacerdote Montano e delle sacerdotesse Massimilla e Priscilla attesero a lungo l'arrivo della Nuova Gerusalemme tra i villaggi della Frigia. La fine delle persecuzioni del IV secolo non infuse abbastanza ottimismo e le profezie di sventura  proseguirono: per il massacratore degli eretici ariani, Ilario di Poiters, l'anno giusto sarebbe stato il 365. Per i donatisti di Ticonio il 380. Le invasioni barbariche apparvero ai più come un'attuazione letterale delle profezie bibliche: il flagello di Dio. Per Gregorio di Tours i tempi sarebbero finiti tra il 799 e l'806. Nel 950 il monaco Adsone di Montier-en-Der annuncia l'arrivo dell'ultimo imperatore del mondo nella sua Lettera sull'anticristo. Nell'anno 968 ci fu un eclissi solare, nel 981 apparve la cometa di Halley, nel 970 e nel 992 il venerdì santo coincise con l'annunciazione, si avvicinava la fine del primo millennio cristiano: troppe coincidenze, doveva esserci sotto qualcosa." (16)

Sette millenariste, predicatori, profeti di sventura: le previsioni sono state continue e continuamente smentite i fatti. Ciò però non impedì che  previsioni apocalittiche comparissero continuamente.

Allora "la fine del mondo diventa una metafora inverosimile ma efficace, della battaglia contro le avversità. " (27)

E lo scacco delle previsioni rappresenta la natura non lineare, contingente della realtà. Le previsioni apocalittiche (come l'astrologia) sono un  modo per imporre un ordine al caos e alle profondità del tempo. L'uomo ha bisogno di entrambe le cose:

-  la certezza della continuità del tempo, gradualità delle trasformazioni, quanto è stato costruito nel passato deve servire al presente

-  però ha bisogno anche della catastrofe.

"Abbiamo bisogno anche della catastrofe, del cataclisma imprevedibile che scompagina le carte, riapre i giochi, ridona speranza a chi era ai margini della storia, rovescia rapporti di forza e, spezza la logica precedente che sembrava invincibile." (43)

DISASTRO

La natura vive una condizione di neutralità morale, perché il male è una categoria della conoscenza umana. “È male ciò che noi associamo all’imperfezione.” (49)

Il disastro sempre ha responsabilità umana (costruire…) anche se vi sono eventi naturali come terremoti (3000 l’anno di magnitudo oltre i 6°), tzunami, eruzioni vulcaniche (almeno 50 l’anno), possibili asteroidi, capricci climatici… Dunque siamo esposti costantemente a molti mali interni ed esterni.  E poi c’è l’evidenza del riscaldamento globale che sta accelerando ed ha causa prevalentemente umana.

“Cresce sempre di più il sospetto che, in fin dei conti, la catastrofe siamo noi…” (75).

E poi ci sono i virus…

NEMESI

I disastri derivanti dall’aggressività umana: conquiste,  guerre, bombe atomiche, stragi, tecnologia fuori controllo, incidenti nucleari, disastri ecologici, terrorismo…

Però l’autore riabilita il ruolo della scienza e della tecnica, che hanno i limiti di tutte le imprese umane, ma non sono la causa di tutto. I limiti di scienza e tecnica sono i limiti di ogni attività umana.

La catastrofe si presenta allora come Nemesi, vendetta, punizione, per la ibris dell'uomo, per la mancanza di limiti Ma la scienza e la tecnica, che pure sono parte del problema, possono contribuire alla sua soluzione. L'autore propone allora un “ambientalismo scientifico" (101) cioè un'analisi del futuro che sia basata su rigorosi dati scientifici.

 

ESTINZIONE

Probabilmente il 99% delle specie vissuto sul pianeta sono già estinte. Spesso avviene una coestinzione di specie legate, preda-predatore ospite-parassita eccetera

1) 65 milioni di anni fa: Cretaceo, estinzione dei dinosauri  a causa probabilmente di un asteroide, sopravvivono però i mammiferi implica siamo figli di molte estinzioni

2) 251 milioni di anni fa: Permiano, estinzione del 90% delle specie viventi per effetto di massiccie eruzione vulcaniche

 In totale sono stati cinque estinzioni principali: i Big Five

3)  fine di Ordoviciano

4) Devoniano

5) Triassico

 Anche l'uomo è fra le cause di estinzione di alcune specie per via della caccia, delle modificazioni ambientali, della frammentazione degli habitat, della disseminazione di specie invasive, dell'inquinamento, del riscaldamento globale, della modifica dei fiumi, del disboscamento, dell'urbanizzazione: è l'uomo la causa della sesta estinzione.

Oggi una specie ogni 20 minuti si estingue.

 

APOCALISSE

La terra finirà naturalmente per rallentamento progressivo e per effetto del sole fra 5 miliardi di anni. Ma, al di là di questo, la catastrofe impegna l'immaginario umano da sempre, forse per sublimazione delle sue paure o per recuperare il non senso della nostra fine individuale, forse per il rapporto ansiogeno che abbiamo oggi con il futuro, imprevedibile. Oppure perché è forte il nostro bisogno di giustizia, tanto che speriamo in un nuovo tempo, un nuovo inizio dopo l'apocalisse.

Letteralmente Apocalisse significa visione, apparizione della verità. Implica valore morale dell'Apocalisse.

Oggi vi sono le condizioni per una fine del mondo come lo conosciamo E non facciamo nulla per impedirlo. Ma la terra può vivere senza l'uomo! non siamo indispensabili.

Tuttavia proprio questo sapere dovrebbe spingerci verso le basi del sentimento sociale: simpatia, compassione, solidarietà: "il condividere un percorso accidentato e incerto, consapevoli della nostra finitudine come individui e come specie." (165)


 

mercoledì 26 giugno 2024

Letture: Ernesto De Martino la fine del mondo (1977)

La fine del mondo. Contributo all'analisi delle apocalissi culturali. Nuova ediz. - Ernesto De Martino - copertina

 

Non si tratta di un libro compiuto ma bensì di un insieme di materiali dai quali sarebbe probabilmente nato un grande libro; in questo caso abbiamo la possibilità di condividere il laboratorio di un studioso di chiara fama e di osservare  la genesi di un pensiero.

Negli anni sessanta dunque l'antropologo Ernesto De Martino ragiona sul fatto che il mondo può finire. Addirittura ventila la possibilità che "l'umana civiltà può autoannientarsi" (70). D'altra parte siamo ancora in tempi di guerra fredda e di pericolo nucleare e nel vicino ricordo dei campi di sterminio eventi che De Martino ha ben presenti ed evoca ripetutamente.

Aggiunge però, all'origine di questo sentire, anche altri fenomeni: le trasformazioni rapide nei modi di vita determinate dallo sviluppo tecnico, le correnti migratorie da campagna a città, da regioni sottosviluppate a regioni industriali; il salto di economie arretrate a economie del mondo occidentale.

Tutti questi fenomeni provocano una serie di crisi di molte patrie culturali. Tanto che sembra di andare "verso un'apocalisse senza escaton, verso il naufragio totale dell'umano." (80) . Tutto ciò ricorda drammaticamente la situazione attuale dove cambiano i protagonisti, che oggi sono piuttosto il riscaldamento globale, l'inquinamento, l'antropizzazione, ma non cambia la conclusione, cioè la prospettiva della fine del mondo.

De Martino, dunque, intravede in tempi non sospetti "quella insidiosa apocalittica occidentale che è caratterizzata dalla perdita di senso e di domesticità del mondo, dal naufragio del rapporto intersoggettivo umano, dal minaccioso restringersi di qualsiasi orizzonte di un futuro operabile comunitariamente secondo umana libertà e dignità, e infine dai rischi di alienazione che si avvertono inclusi, se non nel progresso della tecnica, certamente nel tecnicismo e nella feticizzazione del tecnico." (82)

[Qui, aggiungo io, è anche il fondamento della fantascienza del Novecento].

Apocalissi religiose e culturali, soprattutto nel terzo mondo, apocalittica occidentale e della tradizione escatologico giudaico cristiana, apocalissi psicopatologiche, appartengono, dunque, a uno stesso insieme e vanno messe sotto la lente di una indagine comparativa.

"La cultura ha introdotto nella natura quella forza che si chiama ethos primordiale della presenza, in quanto volontà di storia umana che si oppone alla tentazione dell'eterno ritorno."(132). L’eterno ritorno è prevedibile, rassicurante, ma blocca la possibilità di fare storia per l'uomo.

In questo senso De Martino distingue un tempo etico cioè il tempo della presenza dell'uomo che fa la storia: "il tempo etico, il tempo della presenza che sotto lo stimolo di problemi presenti ripercorre scegliendo la storia della civiltà occidentale, confronta questa storia con quella delle altre civiltà, e prospetta una proposta umana di unificazione del nostro pianeta per renderlo degno della conquista degli spazi cosmici e della nuova storia che ne risulterà. "(137)

De Martino introduce la categoria di apocalisse psicopatologica come perdita della presenza annullamento del Dasein, perdita di storicità, che si realizzano nelle manifestazioni psicopatologiche appunto nelle quali viene meno l’ethos del trascendimento della vita, cioè la domesticità dell'ambiente in cui si vive, l'orizzonte di operabilità con cui trasformiamo e diamo vita alla storia, l'emergere della presenza dell'esserci come essere-nel-mondo.

L'uomo è distacco dall'immediatezza del vivere, cioè trascendimento verso il valore.

 

Il cristianesimo è visto da De Martino come un grande rituale funerario. La ripetizione mitico rituale è una forma di destoricizzazione, il mondo perde la sua operabilità così il tempo ciclico dei Greci si oppone al tempo del Nuovo Testamento che è rigorosamente lineare: dalla rivelazione alla salvezza, centrato su un evento decisivo la morte di Cristo.

 "L'uomo è sempre vissuto nella storia ma tutte le culture umane, salvo quella occidentale, hanno speso tesori di energia creativa per trasformare la storicità dell'esistenza." (304)

 Allora emerge l'apocalisse senza escaton dell'occidente moderno a seguito in particolare, degli eventi del XX secolo da Auschwitz a Hiroshima.

Ciò è ben esemplificato nella letteratura moderna che appare variamente dominata dal tema apocalittico: caduta agli inferi senza ritorno, idoleggiamento del privo di senso e del relativo, dell'irrelato, dell'immediato vissuto, dell'incomunicabile e del solipsistico, del naufragio del rapporto intersoggettivo.

L'arte contemporanea deve scendere in basso perché grave è il pericolo della fine del mondo, ma poi deve saper ritornare alla luce: lotta contro il domestico e familiare, così è l'arte astratta contemporanea, percorso verso l’anormale, l’estraneo, il mostruoso, il gratuito.

Due terrori antinomici governano il tempo presente: perdere il mondo; essere perduti nel mondo.

Esempio della guerra nucleare: "la guerra nucleare è la fine del mondo non come rischio o come simbolo mitico rituale di reintegrazione, ma come gesto tecnico della mano, lucidamente preparato dalla mobilitazione di tutte le risorse della scienza nel quadro di una politica che coincide con l'istinto di morte. " (362)

Indica e cita La nausea di Sartre: "la nausea è il rischio della nuda esistenza, spogliata della presentificazione valorizzante umana, di tutte le memorie operative della cultura e di tutti i nomi evocanti queste memorie, di tutti gli abiti che rendono familiare il mondo: è quindi il rischio del nulla, della fine del mondo, dell'annientarsi di qualsiasi margine rispetto al mondo. Infatti l'esistenza non può essere nuda, e non può perché non deve, e non deve perché essa deve essere ethos del trascendimento intersoggettivo. " (388)

Cita la noia di Moravia, Pavese, Thomas Mann, D.H. Lawrence, cita Lo straniero di Camus, e Aspettando Godot di Beckett.

 Un capitolo a parte è dedicato alla cosiddetta apocalisse marxiana: l'avvento di un mondo storico migliore, la fine del capitalismo, la rivoluzione. Anche se questo probabilmente è il capitolo che più risente della sensibilità del tempo, cioè della cultura degli anni ’60. 

 

L’ethos del trascendimento è il valore dei valori ciò che dà senso alla vita. l'andar sempre oltre. La fine del mondo come rischio è il crollo dell’ethos del trascendimento.