A cura di Stefano Zampieri - Consulente Filosofico

giovedì 18 febbraio 2016

Una pratica singolare?

 Concentriamoci, dicono alcuni, sulla qualità del nostro lavoro individuale lavoro. Ecco forse è proprio qui il punto, al di là delle diatribe teoriche, dei capelli spaccati in quattro e delle illusioni epistemologiche (e delle triavilità personali).
Il punto è che la maggioranza dei consulenti filosofici non ha mai realmente promosso se stesso come "filosofo". Ma ha sperato che i consultanti piovessero a mazzi per chissà quale strano miracolo.
Ciò non è accaduto, e allora ecco il disperato grido di aiuto rivolto all'Associazione, e l'Associazione che si sforza di promuovere un oggetto non circoscrivibile, un oggetto inesorabilmente vincolato  alla formazione personale del consulente, alle sue letture, alle sue attitudini, alle sue preferenze, alle sue precomprensioni, alla sua personale conoscenza del mondo, ecc. (ciò che Achenbach riassume con la famigerata espressione "la consulenza è il consulente"). Qualcuno oggi invita a leggere un po' di testi di storia della scienza e di epistemologia della ricerca scientifica. Li abbiamo letti? Forse sì, forse no, ma altri potrebbero chiedergli: hai letto tutte le opere di Plotino? (io no putroppo, mi riprometto...). Hai letto Nancy, Blanchot, Levinas, Bourdieau, Fink, Simondon, Rorty, Arendt, Simmel, ecc. ecc. ecc.? NO?, e come fai a fare una vera consulenza filosofica?, e prima ancora un "dialogo" filosofico??  Insomma per questa via non se ne esce. E non cambia nulla se diciamo che il consulente filosofico non porta la propria filosofia in consulenza, vero, ma solo fino ad un certo punto, perchè se svuotiamo il discorso filosofico della filosofia cosa resta? Puro metodo? Ma perchè il metodo non è appunto una particolare versione della filosofia? L'applicazione della logica al discorso come propongono alcuni non è forse l'applicazione di una particolare filosofia? Non c'è niente da fare, siamo "implicati" nei nostri discorsi, non siamo macchine di Touring, che fingono il colloquio reagendo ad input standardizzati.
E allora che fare? Abbiamo provato in passato a rispondere: troviamo il minimo comun denominatore; la definizione minimale che possa raccogliere tutti sotto lo stesso tetto.
Chi ha partecipato attivamente al lavoro che ha portato alla "Perimetrazione della Consulenza Filosofica di Phronesis" ricorderà bene come  di volta in volta il gruppo abbia dovuto abbassare l'obiettivo, perchè nessuna "definizione" poteva essere condivisa, ma solo era realizzabile una tracciatura di confini vaga e non troppo vincolante, tale da poter ottenere un consenso politico generalizzato. 
Bene, alla fine la "Perimetrazione" è nata. Ottimo lavoro, ha ottenuto l'unanimità dei consensi. Ha salvato l'Associazione. Ma... è davvero servita allo scopo? E' stato possibile promuovere la Consulenza Filosofica sulla base di essa? No. Siamo onesti: no. Perchè?
Proprio perchè essa valendo per tutti non vale per nessuno, perchè poi ognuno deve "declinarla" a modo proprio, e infatti ognuno ha continuato a fare consulenza a modo proprio. Cioè in modi diversi l'uno dall'altro, perché "la consulenza è il consulente". E allora a questo punto?

1 commento:

  1. Bella provocazione. Condivido, come sai, la critica alle pretese di chi ci vorrebbe crocifiggere a seguire questo o quell'approccio rigidamente; meno il tuo apparente pessimismo. In effetti la "perimetrazione" non può aiutare la professione, solo proteggerla da chi la volesse stravolgere (ma dove sono poi tutti questi lettori di tarocchi, improvvisati yogin, direttori spirituali dogmatici?... per la verità uno forse ne conosco...).
    Forse dovremmo lavorare sulla "praxis", come dice Giusy Cavalieri, ma reinterpretandola come testimonianza satura di "theorìa". Questo passaggio non era il centro del mio lungo post nel forum di Phronesis, che hai mostrato di apprezzare, ma, a rifletterci, se condividiamo l'idea che "agire" sia "pensare" e viceversa, forse ci si potrebbe dare una "chance" a partire da qui.
    Un po' come con le lingue straniere: ci si butta a Trafalgar Square e poi si riflette sulla "grammatica" che ci si è trovati costretti a usare. Per noi la lingua è quella della "verità". Se qualcosa del genere esiste, riuscirà in qualche modo a fare giustizia di chi predica bene, ma razzola male, nella nostra professione, come ovunque, senza bisogno di esami preliminari per accedervi.

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