Riflessione sulla nascita – in tre paradossi
La nascita di un figlio, benché attesa e preparata, corrisponde a un momento di rottura del tessuto, apparentemente continuo, del tempo quotidiano.
Il totalmente nuovo appare sulla scena.
Il figlio origina biologicamente dal corpo dei genitori e, spiritualmente, dal loro desiderio creativo.
Il prodotto di questo slancio, tuttavia, è qualcuno d’altro che, in quanto tale, non è conosciuto. (Primo paradosso)
I genitori lo accolgono, pronti ad averne cura e, nel contempo, a conoscerlo: l’altro si rivela e, allo stesso tempo, prende forma nelle cure che riceve. (Secondo paradosso)
Dopo la nascita, chi si prende cura del neonato esprime sé
stesso nella cura, ma il “sé stesso” si trova sempre e comunque in una
relazione con l’altro da sé che sussiste prima della sua stessa nascita. Il
genitore, da sempre, si fa ponte tra il nascituro e il resto del mondo, perché
attraverso di lui possa giungere al figlio il nutrimento, materiale e
spirituale, necessario alla crescita. Al momento giusto, il bambino
attraverserà quel ponte in direzione opposta, per raggiungere il mondo al di là
della figura di accudimento. (Terzo paradosso)
MARINA DA CANAL
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