Chiara Valerio è una simpatica intrattenitrice, di formazione una matematica ma ormai i suoi libri hanno poco a che fare con quella disciplina e quest’ultimo, La tecnologia è religione, edito da Einaudi, in particolare vaga piuttosto indeciso tra ricordi d’infanzia e considerazioni generali sulla scienza e la tecnica. Una tesi generale, per altro, secondo me, ampiamente condivisibile è facilmente sintetizzabile a partire dal titolo. Valerio distingue nettamente scienza e tecnologia e fa osservare che il nostro atteggiamento nei confronti della tecnologia è propriamente un atteggiamento religioso, di fede. Ci affidiamo ad essa, nella certezza che ci possa aiutare e nella assoluta ignoranza di tutti i meccanismi di funzionamento. Se il verbo della scienza è provare quello della tecnologia è credere, cioè il verbo della fede. Noi tutti diventiamo credenti quando schiacciamo i pulsanti di un telecomando e ci aspettiamo un effetto.
Il cellulare è un esempio supremo di questa tecnologia profondamente inserita nella nostra vita – non lo usiamo solo per scomunicare anche per informarci, per orientarci, per giocare, per lavorare, ecc. sostanzialmente ignari dei meccanismi di funzionamento, ma certi per fede che otterremo gli effetti previsti.
Detto questo però l’autrice si lascia prendere la mano e immette nel testo una massa di altri elementi non sempre collegati logicamente, spesso per analogie e per semplice digressione toccando, per altro, temi delicati e controversi della filosofia contemporanea. Per esempio il cosiddetto teorema del peluche secondo il quale: è vivo ciò che sembra vivo, oppure in altra formulazione: è vivo tutto ciò che suscita in noi sentimenti di amore, consolazione, disapprovazione, odio. Scherzosamente l’autrice tocca così un tema assai complesso, quello della definizione del vivente. Questione certamente molto impegnativa rispetto alla quale però la lettura di queste pagine non sembra aggiungere niente di significativo.
Un appunto che potremmo
fare all’autrice è che la distinzione tra scienza e tecnica, che è alla base
delle sue riflessioni, non è affatto così netta: come fanno osservare molti
studiosi, per esempio Galimberti, la scienza trova la sua ragion d’essere nella
tecnica che ne rappresenta l’elemento finale, ma anche il motore propulsivo.
Distinguere le due dimensioni, valutarne una positivamente e l’altra
negativamente allora risulta improprio. E la pur condivisibile tesi di Chiara
Valerio forse meriterebbe una discussione più ampia e più approfondita. Perché
non c’è dubbio che la nostra vita ormai dipende dal nostro rapporto con la
tecnologia e non possiamo permetterci di lasciare impensata una dimensione così
decisiva della nostra esistenza, ma è vero anche che della tecnologia abbiamo
bisogno per migliorare la qualità della nostra vita, e allora il problema è
complesso, non si risolve con una battuta.
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