A cura di Stefano Zampieri - Consulente Filosofico
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mercoledì 11 dicembre 2024

Marc Augé L’antropologo e il mondo globale (2013)

 


La nozione di “cultura” è difficile da definire perché “inseparabile dalle regole sociali che produce”, può comunque essere considerata “come un insieme di proposizioni e di rappresentazioni paragonabili ad altre” (16).

Superando l’etnocentrismo, ma anche il relativismo, con un atteggiamento comparatistico. L’etnologo andrà alla ricerca della filosofia sottostante le singole apparenze.

Augé distingue:

- antropologia del soggiorno (studiare una società)

- antropologia del percorso (studiare i cambiamenti di una società)

- antropologia dell’incontro (studiare “Le relazioni sociali in un dato ambiente considerato nel suo contesto” p.18).

L’antropologia dell’incontro si sviluppa nelle quattro dimensioni proprie dell’antropologia:

- la filiazione (iscrizione nel tempo)

- unione (iscrizione nel corpo sociale)

- generazione (solidarietà legata all’età)

- residenza (iscrizione nello spazio).

Il punto di vista dell’analisi applicata al mondo contemporaneo deve tener conto di un fatto decisivo: “Le accelerazioni tecnologiche del mondo contemporaneo modificano quotidianamente e incessantemente la nostra relazione con lo spazio e con il tempo.” (27) che sono la materia prima di ogni costruzione simbolica e di ogni impalcatura sociale.

L’uomo dà senso e ordine alla natura che lo circonda introducendo categorie simboliche (alto/basso, vicino/lontano, limite, incrocio, …oppure, per il tempo, passato/futuro, ritorno, ripetizione, inizio e fine…).

“La nozione di paesaggio dipende strettamente dalle concezioni del tempo e dello spazio che tentano di renderne conto.” (34)

L’evoluzione del mondo attuale quanto allo spazio si riassume in due parole: urbanizzazione e globalizzazione.

Bisogna osservare che le società umane sono sempre state caratterizzate dal movimento (migrazioni, spostamenti campagna/città, sud/nord, turismo, ecc.) di qui  tutti i problemi legati ai processi di adattamento al nuovo spazio planetario in via di costituzione.

Ma siamo in un momento di crisi:

- crisi di coscienza planetaria (qual è il nostro posto nell’universo?)

- crisi di relazione (“nessun individuo può vivere isolato, tanto meno concepirsi isolato poiché la relazione con l’altro è essenziale alla definizione e alla percezione dell’identità individuale.” (71) )

- crisi di finalità (più la scienza progredisce più la gente si allontana da essa)


 

mercoledì 18 gennaio 2023

Immaginare il futuro: Marc Augé, Che fine ha fatto il futuro?

 

Marc Augé, Che fine ha fatto il futuro? (2008)


 I tre paradossi del tempo:

a) tutte le società umane hanno pensato una vita prima e dopo,una continuità;

b) l’uomo non riesce a pensare qualcosa che non abbia un inizio e una fine;

c) il paradosso dell’evento: solo gli eventi rendono possibile percepire lo scorrere del tempo, ma ogni evento sembra introdurre una rottura nella continuità del tempo.

Con questi tre paradossi si sono confrontate tutte le simbolizzazioni del tempo. Non è un caso che il controllo del calendario sia sempre stato una forma del controllo religioso o politico. In questo senso appare chiaro che tempo e spazio non si possono mai separare. Il controllo del tempo diventa controllo dello spazio /sistemi di divisione, urbanistica, pubblico-privato, sacro-profano…)

Oggi domina una ideologia del presente che è  caratteristica della società dei consumi e che ripropone rivisti i tre paradossi storici del tempo.:

a) la storia nel momento in cui riguarda il mondo intero (globalizzazione) sembra terminare;

b) dubitiamo della nostra capacità di influire sul nostro comune destino;

c) la sovrabbondanza dei mezzi ci impedisce di ragionare sui fini.

 Culture dell’immanenza

Le civiltà cosiddette “fredde”, cioè prive di sviluppo, prive della successione degli eventi, sarebbero per l’antropologia le società dell’immanenza. In realtà si tratta di un abbaglio dell’antropologia ossessionata dall’idea di esaltare una cultura dell’avvenire, dello sviluppo, del futuro (la società occidentale).

In tutte le società possiamo trovare culture dell’immanenza, è ciò che Bourdieu chiama habitus: disposizione a essere e a fare, sentirsi a casa nel tempo e nello spazio.

Bisogna ripensare tutto tenendo presente che “oggi il tempo come principio di speranza sembra essere scomparso dalle nostre discussioni, dalle nostre coscienze e dalle nostre prospettive politiche.” (23)

 Cambiamento di scala

Abbiamo tutti ormai la sensazione di vivere una dimensione globale: questo è il cambiamento di scala.

Ma c’è anche un cambiamento di scala temporale: per descrivere i grandi fenomeni del passato dobbiamo fare riferimento ai secoli per l’epoca contemporanea bisogna fare riferimento a unità molto più piccole (decenni – anni).

Ormai da due decenni il presente è diventato egemonico. La sua apparizione fa sparire il passato e satura l’immaginazione del futuro.

D’altra parte ogni idea di futuro oggi è strettamente legata all’avvenire della scienza che però è sfuggita dalla possibilità di comprensione e di controllo del semplice cittadino.

 Globalizzazione

Due aspetti:

a) estensione planetaria del mercato e del mondo delle merci;

b) presa di coscienza planetaria di natura ecologica e sociale.

=> Cambia il nostro rapporto con la storia (che viene decolonizzata, planetarizzata).

“La coscienza planetaria, come coscienza ecologica e sociale, è pertanto una coscienza infelice.” (34)

Un problema nasce dal fatto che a fronte della globalizzazione, non esiste uno spazio pubblico planetario dove possa formarsi e confrontarsi l’opinione pubblica.

Internet non è in grado di agire in questo senso (esso rappresenta lo spazio del pubblico, in senso teatrale, luogo di acquisizione passiva, spettatore).

I media cancellano la realtà perché cancellano la frontiera tra realtà e finzione. “Non ci sono più eventi al di fuori di quelli mediatizzati.” (39)

I media “sono totalitari per essenza” (41) perché spiegano tutto, si rivolgono a tutti, raccontano tutto e di fatto esiste solo ciò che passa per i media.

Altro aspetto della globalizzazione è il processo di urbanizzazione planetaria: “Il mondo è come un’unica immensa città.” (41) I luoghi dove si prendono le decisioni costituiscono una specie di meta-città virtuale (Virilio). Le grandi città però replicano i modello delle frontiere distinguendo lo spazio (quartieri bene e quartieri ghetto, centro/periferia, luoghi dello shopping, quartieri dormitorio…). Sono le contraddizioni della globalizzazione: pretesa apertura, realtà di chiusura.

 Coscienza storica

Pensare il tempo è una necessità oggi ma anche una sfida. Perché viviamo nell’ideologia del presente. La storia dell’arte ci insegna che l’artista tanto più appartiene al proprio tempo tanto più ha la possibilità di sopravvivergli.

Arte, storia e società sono sempre collegate. L’artista “precursore” è sempre colui che più appartiene al proprio tempo.   

 Modernità

Augé ritiene che la modernità debba far tesoro del grande insegnamento dei greci (cfr. Vernant, Castoriadis) e in particolare l’insegnamento che ci viene dalla democrazia ateniese: la società deve continuamente superarsi attraverso una riflessione su se stessa (vs la staticità del modello mitico).

Invece la nostra società attuale, chiusa nel modello immanentista, si limita a giustificare l’esistenza così com’è.

Pensare la cultura come natura è l’errore.  Le culture sono pluralità in mutamento continuo.

Non esiste nemmeno un’unica natura umana, perché dal punto di vista antropologico l’uomo concreto è la composizione di almeno tre uomini: quello singolo nella sua diversità, quello culturale (che ha legami con altri uomini); quello generico (l’umanità).

L’uomo esiste solo nella relazione ad altri e nel suo appartenere al flusso del cambiamento, la storia collocata in uno spazio.

 Passato e memoria

Nel ‘900 l’idea della storia si contamina con gli sviluppi della riflessione psicoanalitica: Freud => il passato è presente nel presente sotto forma di ritorno del rimosso; la memoria come oblio (non panico, né lotta contro il passato), o come  traccia (ritorno del dimenticato. il passato come fantasma amletico.)

Storiografia => stabilisce una cesura tra il passato come oggetto di conoscenza e il presente come luogo di conservazione o di rielaborazione delle rappresentazioni del passato.  La storiografia del ‘900 tende a sfumare la differenza tra i due modelli => l’antropologia storica (Le Goff, Duby) osserva il passato come un presente. La Storia delle idee (Furet) pone al passato interrogativi per i quali trova risposte nel passato. I Luoghi della memoria (Nora) ci interrogano sul nostro rapporto con il passato.

In ogni caso, si nota, la storia non viene più scritta come un tempo in funzione dell’avvenire, del futuro (si pensi ai concetti di restaurazione, progresso, rivoluzione…).

 Utopia

“Come possiamo, più che prefigurare il futuro (essendo il cambiamento tanto inimmaginabile quanto ineluttabile), attrezzarci nella misura del possibile perché sia l’avvenire di tutti?” (86)

Ma oggi regna nel pianeta un’ideologia del presente e dell’evidenza che cancella la possibilità di pensare il presente come storia e quindi il desiderio di immaginare il futuro.

Ideologia del presente => fine  delle grandi narrazioni basate sull’avvenire (cfr, Liotard); => fine della storia (Fukuyama) =>  fine del dibattito; => paura dell’evento (rischio, assicurazioni, pratica medica…)

Mondo di domani

L’estrema utopia oggi riguarda l’educazione, per evitare che il mondo futuro sia diviso tra aristocrazia del sangue e una massa di ignoranti. Distinzione che replica in grande quella delle condizioni economiche. La vera priorità e la vera utopia dunque è l’istruzione.

 


giovedì 26 gennaio 2017

Pensare globale

Non è colpa di Edgar Morin se alcuni suoi libri sembrano avere uno speciale legame un po' misterioso con il numero sette ("I sette saperi necessari all'educazione del futuro", e ora "Sette lezioni sul pensiero globale"), perchè il titolo è opera dell'editore italiano e nell'originale suona un po' diverso ("Penser global. L'homme et son univers"), e mette piuttosto in evidenza il vero tema dell'opera ovvero quel pensiero globale di cui Morin è sicuramente uno dei massimi esponenti, ma che, nonostante la sua copiosa produzione, appare ancora difficile da digerire per il mondo intellettuale dei nostri giorni, spesso ancorato a punti di vista arcaici e anacronistici.
Certo Morin tende da qualche anno a riscrivere sempre lo stesso libro, ma bisogna  essere onesti: ce n'è davvero bisogno.
Morin infatti è fra i pochi filosofi che prova a pensare il nostro tempo a partire da quello che a mio avviso è ormai il solo punto di partenza dal quale si possa sperare di ottenere qualche illuminazione sull'attuale condizione dell'uomo. E ciò quella che egli chiama trinità bio-socio- antropologica, ovvero il fatto che l'essere umano è insieme un individuo singolare, ma anche un essere sociale e un animale legato biologicamente alla propria specie, e dunque va pensato e rappresentato sempre in una forma complessa. Da un lato come un individuo che cerca di affermare la propria singolarità attraverso le forme della libertà, della creatività, dell'arte, e dall'altro - ma è lo stesso individuo - quello che come essere sociale costruisce società sempre più articolate e complesse. E infine - ma è ancora lo stesso individuo - quello che appartiene al ciclo della vita e non può dunque sottrarsi alle sue caratteristiche e al suo destino, assecondando le dinamiche di ordine - disordine- aggregazione che caratterizzano tutte le forme viventi.
E' proprio da questo legame che l'uomo deve ricavare la propria più autentica condizione di essere intimamente legato alla natura, e quindi di individuo appartenente biologicamente, ma anche socialmente e culturalmente al pianeta.
Morin, si sa, e qui lo ribadisce, ne ricava una sorta di personale utopia che sogna per l'uomo una profonda metamorfosi, etica, culturale e sociale, necessaria per non cadere nelle trappole del disumano che le forze tecnico scientifiche ed economiche stanno da tempo preparando per l'umanità.
Temo che l'utopia come tutte le utopie sia destinata a restare tale, ma essa assolve al compito storico di indicare una via. Ed è per questo che la lettura di Morin, a mio avviso, resta imprescindibile.

Edgar Morin
7 lezioni sul pensiero globale
Milano, Cortina, 2016
pp. 114, €11,00