Il sole si alzò come tutte le mattine, e illuminò la città
svuotata. I panettieri non giravano in bicicletta, i postini non suonavano i
campanelli, i vecchi insonni non bevevano il caffè al bar. Soltanto i cani,
c’erano soltanto i cani, senza padroni. Dopo molti anni avevano imparato ad
arrangiarsi, scendevano ogni mattina, si facevano il giro dell’isolato, si
fermavano a qualche angolo, sollevavano la zampa qui o là. S’incontravano fra
loro e si annusavano curiosi, qualche abbaio, ma per lo più indifferenza. I
cani grandi ignoravano quelli piccoli e i cani piccoli s’accontentavano di
qualche rapida corsetta fra loro. In generale vigeva una sorta di tranquilla
apprensione, non volevano perdere troppo tempo, e non se la sentivano di
divertirsi spensierati mentre i loro umani se ne stavano rintanati in casa
attanagliati dalla paura. Così, con molto senso della responsabilità, i cani
ogni mattina uscivano dal portone, e gironzolavano quanto necessario a
espletare i propri bisogni, e prendere quella salutare boccata d’aria di cui
avevano bisogno, e poi se ne tornavano, a coda bassa, a occuparsi dei propri
umani, a far loro da medicina degli affetti.
Il momento era difficile, avevano una responsabilità.
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