Da oltre 2000 anni la cultura occidentale si dibatte tra due estremi: la gerarchia e l’uguaglianza (= la monarchia/la repubblica) come risposte possibili all’anarchia originaria. Cioè a una condizione di “naturale” egoismo dell’uomo. E una convinta contrapposizione tra natura (cattiva) dell’uomo e cultura (buona).
Si tratta ora di sfatare tutti questi pregiudizi.
Il libro intende tracciare la storia di questo “triangolo metafisico” tra anarchia / gerarchia / uguaglianza.
Bisogna risalire a Tucidide (“La guerra del Peloponneso”) e Hobbes (il primo a tradurre Tucidide direttamente dal greco in inglese nel 1628). L’idea hobbesiana dello stato di natura è ripresa da Tucidide (cfr. la rivolta di Corcira, 3.70 – 3.85).
Il racconto hobbesiano dello stato di natura è il mito delle origini della mentalità capitalista. Tucidide riprende a sua volta Esiodo (“Le opere e ei giorni”) quando descrive l’età del ferro.
L’opposizione ideale tra eguaglianza e gerarchia si traduce nella storia greca nel conflitto tra sovranità popolare e monarchia (o oligarchia), e così si perpetua per 2000 anni.
Nel mondo greco si cerca di risolvere il contrasto con il concetto di isonomia (ripreso da Pericle e da Anassimandro), ripreso anche dalla medicina ippocratica (= equilibrio delle forze e degli umori nel corpo).
Ma in Grecia troviamo anche il conflitto physis/nomos (di origine sofista): principio oppositivo tra una natura buona e una cultura cattiva (cfr la Tragedia Antigone…). Per via della invarianza delle “leggi di natura” mentre il nomos registra valore di ”falsità”, contingenza, instabilità. Ciò implica subalternità della cultura rispetto alla natura nel mondo occidentale.
In occidente la riflessione sulla natura umana ha sempre trascurato il ruolo della parentela che è invece il principio universale della socialità umana (69). L'analisi del principio di parentela ci fa comprendere che il principio egoistico è un abbaglio storico, ma per tutto il medioevo e l'età moderna la società è stata considerata come il necessario antidoto a questa, cioè all'insensato egoismo dell'uomo, e il potere del re, o del signore, è stato considerato necessario per mantenere un popolo dalle inclinazioni malvagie (Agostino). Domina sempre la contraddittoria affermazione di Aristotele: l'uomo è un animale sociale ma non è affatto per natura socievole, tesi ripresa da Tommaso. Nel ventesimo secolo si afferma la tesi classica dell'egoismo come insito nel cuore umano e base di ogni società umana così si riprendono Montaigne, Hobbes, Mandeville, Swift come fondamenti del selfish System (sistema egoistico), cui si contrappone il social System, (sistema associativo, cfr. Shaftsbury).
Sostenuto anche dall’affermarsi del capitalismo, si afferma il selfish system: l'egoismo diventa un tratto rispettabile della cultura, e così l’individualismo possessivo diventa sinonimo di libertà. Anche secondo Freud: la civiltà deve fare di tutto per porre limite alle pulsioni aggressive dell'uomo. Ma questo contrasta con la posizione di tutte le società primitive, solo l'occidente fonda se stesso su una presunta natura egoistica.
"Al contrario l'opinione predominante [nelle società primitive] è che la socialità sia la condizione umana normale. Sarei tentato di dire che la socialità è generalmente considerata «innata».” (148)
In effetti, conclude l'autore, l'alternativa tra una natura egoistica e la cultura umana è fasulla. Lo Stato originario dell'esistenza umana è la cultura, la biologia è solo una condizione secondaria.
“La cultura è la natura umana." (155).
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