A cura di Stefano Zampieri - Consulente Filosofico

sabato 8 dicembre 2018

La semplice complessità della vita


Siamo quotidianamente centrati sul presente che viviamo perché viviamo sempre in un qui e adesso irrisolvibile. Ma sappiamo  - ed è un sapere non neutrale né scontato, è il sapere dell'atteggiamento riflessivo, della filosofia - che ogni qui e ogni adesso è insieme un concentrato pesante e complesso di allora e di poi. Il quotidiano ha questo destino di poggiare nella sua immediatezza, sulle macerie e sulle edificazione del passato, tanto quanto sulle immaginazioni, sui desideri, sulle prospettive del futuro.
Distinguere sarebbe pura violenza. Un dato innaturale. Tuttavia non è nemmeno possibile tenere insieme i momenti perché passano, perché sembrano sempre rivoltarsi gli uni contro gli altri, come se il passato si sforzasse di dominare il futuro e il futuro si rivoltasse, come se il presente si trovasse perennemente in una terra di confine, incerto sulla direzione da prendere. Ma non è esattamente così, ciò che resta da pensare - e non è facile - è tutto questo magma insieme, destino e realtà, realtà e possibilità, uniti nella quotidianità della nostra esistenza.

giovedì 29 novembre 2018

Verbi


In principio era il verbo si potrebbe dire, un po' ironicamente, per ricordare che il quotidiano è prima di tutto gesto, azione e quindi appunto si esprime nel verbo: camminare, mangiare, cantare, pensare, lavorare, abbracciare, lottare, ridere, piangere, sognare, eccetera. I verbi sono quelle parte del discorso attraverso cui raccontiamo la nostra esistenza, tanto gli eventi, quanto la quotidianità, ma a differenza dei sostantivi, i verbi dicono sempre un accadere, ed è questo che li rende così interessanti, perché la nostra esistenza è prima di tutto un continuo accadere, un movimento inarrestabile, una cascata di fatti, di movimenti, di avvenimenti.
Viviamo così, facendo, districandoci nel mondo, tirando fili di relazioni, spostandoci, cercando, masticando, respirando, …
Fateci caso, la metafisica ruota sempre intorno ai sostantivi, perché cerca di fissare essenze, di sottrarle al processo dell'esistenza, mentre la filosofia del quotidiano ha a cuore soprattutto i verbi che indicano il fare della vita reale.
Questo ritmo, che inaugura il giorno, questa ritualità, questo transito di gesti, è il tessuto su cui, di volta in volta, si esplica il nostro vivere quotidiano.
Lavarsi, far colazione, vestirsi, prepararsi ad uscire, andare al lavoro eccetera le banalità dell'esistenza, proprio esse sono il terreno solido della vita sono quel campo spazio temporale ove tutto accade.
Tutte le nostre riflessioni sul tempo dovrebbero essere viste a partire dalla natura reale, immediata, vissuta, di questo campo.
Il campo d'esistenza là dove accadono tutti i processi del nostro transito su questo mondo è qui, sotto la superficie leggera di questi gesti banali.

mercoledì 21 novembre 2018

Nostro conflitto quotidiano


Non bisogna pensare al quotidiano come ad una dimensione pacificata, abitudinaria, armonica, perché nel quotidiano c'è anche il conflitto. Viviamo implicati nei rapporti che ci legano al sistema della socialità, e gli intrecci non sono soltanto quelli degli affetti e degli amori, sono anche quelli vincolati alle relazioni di potere, e dunque determinati dalle tonalità dello scontro, dell'interesse, dello sfruttamento, quelli coinvolti dai fenomeni della giustizia e dell'ingiustizia.

Quotidiana è anche la tensione con i poteri altrui e l'esercizio dei poteri propri. La nostra quotidianità è anche un lavoro di assestamento dei ruoli che ci riguardano, e quindi di articolazione del conflitto che ci contrappone ad altri, al datore di lavoro alla gerarchia professionale cui sono legato, agli "altri" in senso generico e vago, quando il legame sociale sia corrotto da tensioni personali irrisolte.

giovedì 15 novembre 2018

Presenza


Qui, proprio ora. Adesso. In questo particolare campo di spazio tempo. In questo frangente in questo evento. Voglio dire: il quotidiano è prima di ogni cosa un qui e ora.
Certo anche nel quotidiano, viviamo gli sbilanciamenti, i movimenti della nostalgia, della colpa, del rimorso, della speranza, dell'attesa, del progetto, viviamo cioè tutto quel che per semplicità definiamo come ambito del passato e del futuro. Ma il punto di partenza, sempre, è un qui e ora. Perché è distintivo che il pensiero del quotidiano appaia collocato, c'è appunto emerso in un particolare spazio tempo, nel quale io che scrivo, io che racconto, io che penso, mi trovo appunto a pensare, o a parlare.
È da qui, da questa precisa prospettiva, da questa parte del mondo e della storia che io posso parlare e pensare così come faccio, così come rappresentato in queste righe. Il quotidiano è sempre situato perché è un gesto non simulato ma è accadimento, evento.

Il filosofico nel quotidiano è, dunque, prima di tutto presenza, cioè determinazione di un campo spazio temporale. Qui e ora.
Bisogna forzare la scrittura, perché essa è per sua natura lavoro di ripetizione, che spezza la linearità dell’hic et nunc e introduce piuttosto la ripetizione: ogni lettura è ripresentazione, momento che si replica. Non possiamo cambiare la natura stessa della scrittura, ma possiamo appunto "forzarla" o forse "provocarla", ad esempio fissando nero su bianco quel momento creativo: sono le 15:36 del 5 gennaio 2018 a Mestre. Questa indicazione, è ovvio, diventa ora che è stata scritta, un momento destinato a ripetersi, tuttavia si sforza provocatoriamente di fermarsi dentro quelle precise coordinate spazio temporali. Assomigliando in questo ad una fotografia, rappresentazione che appunto cerca di aggirare la ripetizione mostrandosi quale traccia di un determinato e irripetibile evento nello spazio e nel tempo.
So, sappiamo tutti benissimo, che al destino della scrittura non si sfugge, ma almeno abbiamo mostrato quel che il quotidiano esige da noi, cioè una presenza consapevole. Perché consapevole? Perché una presenza non consapevole sarebbe un assurdo. Se parliamo di presenza dobbiamo per forza parlare di consapevolezza, perché la consapevolezza della presenza è la presenza stessa. Una presenza inconsapevole non sarebbe diversa da un'assenza. Siamo presenti in un determinato campo dello spazio tempo solo se siamo consapevoli di essere presenti. La presenza è la consapevolezza della presenza.
"Ma lo sai dove ti trovi?" È quel che chiediamo a qualcuno quando vogliamo capire il suo stato di orientamento. E viceversa, "non so nemmeno dove mi trovo", è frase che dice piuttosto uno stato di confusione mentale, di disorientamento, di assenza appunto.

sabato 10 novembre 2018

Minimi sistemi


Il quotidiano è lo spazio dei minimi sistemi, qui le grandi narrazioni non hanno mai avuto luogo, qui le ideologie si sono sempre trasformate in opere, in conflitti, in sofferenze, in poteri, esercitati, subiti.
Nel quotidiano non vige l'utopia, non si realizza il sogno, ma si fa concreta ogni ipotesi, si manifesta ogni possibilità, e la teoria diventa pratica. Vige la regola dei minimi sistemi, le pratiche di vita si coagulano in stili, gesti, decisioni, discorsi, e laddove si vestano della necessaria coerenza, diventano stili di vita.
Il segreto della consulenza filosofica è tutto qui. 

lunedì 8 ottobre 2018

Manuale della consulenza filosofica

E' disponibile la nuova edizione del primo MANUALE DELLA CONSULENZA FILOSOFICA pubblicato in Italia.
https://www.amazon.it/dp/1726821676/ref=sr_1_14?s=books&ie=UTF8&qid=1539005431&sr=1-14&keywords=stefano+zampieriDove si cerca di fare chiarezza nella definizione di una pratica dialogica innovativa e sempre più diffusa, liberandola dalle molte ambiguità e dalle confusioni che spesso l'hanno contrassegnata. Con un linguaggio nitido e misurato, con l'aiuto di schemi e figure, ho cercato di chiarire il ruolo della consulenza filosofica rispetto a tutte le altre forme di colloquio, medico, psicologico, educativo, spirituale, amicale, e ho proposto una articolata analisi di ciò che la rende possibile, dei suoi momenti costitutivi, delle tecniche utilizzate, dei meccanismi di trasformazione a cui dà origine. Nella prospettiva di concorrere all'affermazione di uno strumento utile ad orientarsi nella vita attuale, in una società sempre più frastornata e priva di riferimenti. 

Stefano Zampieri
Manuale della consulenza filosofica,  
kdp, 2018
pp. 186, € 18,72

giovedì 4 ottobre 2018

La comunità postsociale

In questo Blog cerco di non recensire testi di natura prettamente accademica perchè vorrei dare spazio piuttosto ad altre forme di riflessione e di scrittura filosofica. Tuttavia faccio volentieri un'eccezione di fronte a questo splendido libretto di un giovane ricercatore, nonchè caro amico, Francesco Ferrari, che alla luce di una conoscenza stupefacente dell'opera e del pensiero di Martin Buber,  riesce a regalarci una ricostruzione davvero stimolante di un aspetto in Italia poco conosciuto e poco dibattuto dell'opera del grande filosofo del Dialogo. Ferrari infatti ricostruisce sia dal punto di vista del concreto agire politico sia dal punto di vista della riflessione teorica il tentativo di Buber di fare luce su uno dei grandi misteri della nostra cultura politica: la possibilità di una comunità autentica. 
La chiave che Buber ci consegna per entrare nella complessità di questa problematica è quella di una distinzione fondante, in cui abbiamo da un lato un'idea positiva di Comunità, luogo dell'immediatezza delle relazioni, luogo dell'interpersonale, miscela di libera volontà, di reciprocità, di affinità elettive; e dall'altra parte abbiamo invece un'idea negativa di Società, come coacervo di singoli, stretti insieme soltanto da necessità occasionali. In questo senso Ferrari parla di una prospettiva postsociale, rilevando in Buber l'esigenza di un profondo rinnovamento morale che porti ad una nuova comunità, capace di superare l'atomismo individualistico proprio del nostro tempo senza però cadere nelle trappole delle famigerate comunità di sangue del '900, o delle società collettivistiche totalitariste. Buber in questo difficilissimo percorso si serve di molti strumenti diversi, e talvolta almeno in apparenza incomponibili, che vanno dall'anarchismo di Landauer, alla mistica ebraica, ma non è questo il punto, ciò che deve catturarci è l'altezza della domanda non tanto le proposte concrete che egli elabora nelle sue opere, e la profondità della ricerca che egli  ci testimonia e che mette in piazza l'esigenza improrogabile di elaborare un'idea di comunità che sia prima di tutto superamentro della nozione disumana di singolo isolato. Buber nella lettura di Ferrari appare come testimone di un umanesimo che vada al di là delle chiusure, dei confini, delle nazionalità, che si esplichi in quello spazio dove ognuno è anche l'altro, dove siamo plurali prima di essere singolari. E' l'ideale utopico di una comunità postsociale universale su cui si chiude il libro. E da cui dovremmo ripartire noi tutti per il nostro percorso di ricerca.  

Francesco Ferrari
La comunità postsociale. Azione e pensiero politico di Martin Buber
Roma, Castelvecchi, 2018
p. 142, €19,50

martedì 2 ottobre 2018

Il nostro Socrate

Può accadere che un libro nato da un presupposto a mio modo di vedere piuttosto dubbio, possa tuttavia svilupparsi in un modo intelligente e stimolante, e suscitare riflessioni davvero interessanti. E' il caso di questo libro fortunato di Pietro Del Soldà, Non solo di cose d'amore, opera che sta riscuotendo un meritato successo di pubblico e di critica. Il presupposto a mio modo di vedere discutibile è quello di voler leggere la contemporaneità alla luce delle opere di Platone, anche se con un filo d'astuzia Del Soldà si appella piuttosto a Socrate, come se non si trattasse in fondo di un personaggio platonico. Resta il fatto che io continuo a trovare poco plausibile un approccio riattualizzanrte della grecità, soprattutto se si tratta di leggervi in trasparenza la realtà contemporanea: la maggior parte dei conflitti e delle problematiche di oggi apparirebbe infatti inconcepibili ai greci che non hanno mai conosciuto un'economia capitalistica, nè uno stato nazionale, nè una società stratificata, nè un'opinione pubblica, nè la politica dei diritti, nè le dinamiche del consumo illimitato e della produzione... 
A meno che non ci si accontenti di riprendere qualche formulazione morale molto generica e decontestualizzata, la grecità, che pure è la fonte della nostra cultura, non si presta a diventare strumento d'indagine dell'attualità. 
Certo Del Soldà è sempre molto cauto nelle sue affermazioni e attento a non cadere in anacronismo evidenti. Tuttavia il limite di fondo resta.
D'altra parte, ed è il lato davvero bello del libro, la sua lettura delle problematiche attuali è profonda e non superficiale sia quando interroga l'individuo d'oggi, sia quando allarga lo sguardo allo spazio della città e alle contradizoni della democrazia.  Il suo Socrate alla fine appare prima di tutto come l'emblema della ragione dialogica, del domandare autentico, della filosofia come strumento di cittadinanza. In questo senso possiamo facilmente accoglierlo come una figura utile al pensiero, non tanto per quel che forse è stato davvero, quanto per l'immagine che l'autore ne propone, inautentica ma efficace. In questo senso: viva Socrate!

Pietro Del Soldà
Non solo di cose d'amore. Noi, Socrate  e la ricerca della felicità
Venezia, Marsilio, 2018
pp.191 €17,00