A cura di Stefano Zampieri - Consulente Filosofico
venerdì 21 agosto 2020
martedì 18 agosto 2020
Settembre filosofico
Dal prossimo mese di Settembre su questo blog riprenderà la riflessione su Consulenza Filosofica e Pratiche Filosofiche: proposte, analisi, novità, ipotesi di lavoro, polemiche, si riprende alla grande!
domenica 31 maggio 2020
giovedì 28 maggio 2020
venerdì 22 maggio 2020
martedì 19 maggio 2020
martedì 12 maggio 2020
Martedì, faceva un po’ più fresco
del solito, ma era il giorno del silenzio e nessuno ci faceva caso. Marco,
seduto come al solito in terrazza, per studiare l’ultimo esame di filosofia, si
arrotolava una sigaretta pensando a sua madre a suo padre che gli facevano
pressione tutti i giorni perché la finisse di
studiare una buona volta e si trovasse un lavoro. Nel giorno del
silenzio non poteva che rispondere agli sguardi dei suoi con altri sguardi e il
discorso si arenava lì, ed era meglio così. Si accese la sigaretta e guardò
fuori. Nel giorno del silenzio l’impossibilità di parlare ci rendeva tutti più
capaci di ascoltare. Ma, per paradosso, proprio nel momento in cui tutti erano
più sensibili e più ricettivi, accadeva che nell’aria dominava soprattutto un
insolito silenzio. Come non accade mai nella vita comune. Non passavano auto,
non si sollevavano saracinesche, non si urlava da una finestra all’altra, non
si chiacchierava per strada, nessuno trascinava i piedi sull’asfalto, nessun
campanello di bicicletta, nessuno parlava al telefono, nessuna televisione accesa.
Nel giorno del silenzio si sentiva solo il silenzio, il frusciare del vento
sugli angoli delle case, lo sfarfallare d’ali di un colombo, un cinguettio
lontano. Se poi uno era dotato d’un udito particolarmente sottile, come Marco,
avrebbe potuto sentire anche il respiro delle persone e il batter di ciglia e
lo sbadiglio soffocato di chi si svegliava, e il fruscio della doccia dentro le
case. Ma se qualcuno gli avesse chiesto «Cosa senti?», Marco avrebbe risposto
con ragione «Il silenzio», e avrebbe sorriso perché ormai, il silenzio, si può
ascoltare soltanto nel giorno dedicato. Gli altri giorni l’abbiamo cancellato.
domenica 3 maggio 2020
Quel venerdì c’era un bel sole. E
l’aria si era riscaldata, quasi quasi pareva aprile. Ma le strade erano
deserte. Luccicavano i tetti umidi dalla notte, le antenne si stagliavano
sull’azzurro del cielo. I colombi tubavano nelle grondaie.
Ma nell’aria, controluce, si
vedeva benissimo un certo pulviscolo, chissà polveri più o meno sottili, ma
l’aria normalmente non si vede. E ciò che non si vede siamo portati a pensare
che non c’è. Come se non ci fosse niente nell’aria, dunque. Come se l’aria
stessa fosse niente. Ma allora cosa respiriamo?
Quel venerdì Silvano M.,
giovanotto di nessuna speranza, navigatore all’asciutto, video giocatore
accanito, smanettone, troll, odiatore seriale, so era inventato una
giustificazione a prova di controllo, ed era uscito di casa fingendo di portare
un sacchetto di viveri alla nonna malata. In realtà la nonna stava benissimo, e
il sacchetto se lo sarebbe riportato a casa, ma intanto, furbone, lui si
sentiva autorizzato ad andarsene a spasso per la città, non che avesse qualcosa
di preciso da fare, voleva solo verificare se il sospetto che gli albergava in
testa da settimane, era fondato o meno.
Perché davvero non c’è niente di
sicuro se non quello che puoi constatare di persona. E Silvano questo voleva
fare: controllare, verificare, appurare, accertare, di persona, lui stesso, con
i suoi occhi. Perché possono raccontarci quello che vogliono, ma da qualche
parte questo virus deve pur essere. E allora si tratta di scovarlo.
Armato di una bella lente
d’ingrandimento da filatelico, ma soprattutto da investigatore dei fumetti,
Silvano prese a girare la città, osservando i particolari, perché è chiaro che
è proprio nei particolari che s’annida il mistero. Le maniglie dei portoni, i
campanelli, intorno ai tombini, le mattonelle del marciapiedi, il manubrio
della bicicletta, le portiere della macchina.
Incontrò un postino, con la sua
bella mascherina e i guanti. Lo fermò, gli chiese di stare fermo solo un
attimo, osservò le mani, la borsa, la corrispondenza, la bicicletta, lo osservò
perfino sulla faccia, attorno alle labbra. Fin che quello s’irritò e se ne andò
lanciandogli qualche improperio. E poi esaminò i sedili della fermata del tram,
e arrivò il tram, lo prese, non c’era nessuno, scrutò attentamente le sedute, e
i poggia mano, e le macchinette dei biglietti. Scese e proseguì verso il
centro. C’erano da osservare mille particolari, le porte scorrevoli della
banca, la panchina, il bidone della spazzatura, i ferri di un cancello, una
passante con le borse della spesa. Cercò di fermarla, ma quella si rifiutò e
allungò il passo. Si accucciò a esaminare i punti in cui la signora aveva
poggiato i piedi, perché le suole delle scarpe sono infide. Esaminò persino le
sue scarpe, nel dubbio. E poi si rialzò e riprese l’indagine. L’ingresso del
supermercato, i carrelli, lì di sicuro avrebbe trovato qualcosa, provò a
entrare e iniziò una sistematica analisi degli scaffali e delle merci più
esposte, quelle che la gente tocca per esaminarla. Ma dopo un po’ si rese conto
che non ce l’avrebbe mai fatta e che era preferibile un’indagine a campione.
Lasciò perdere il settore cibo per animali, e anche quello della pasta, si
concentrò invece sulla corsia dei detergenti e degli shampoo, perché la gente
li prende in mano per leggere meglio le etichette, e poi sugli sportellini dei
banchi frigoriferi, punti che tutti toccano. Li avrebbe trovato qualcosa.
Eppure, alla fine di tutto quel
lavoro alla conclusione di una giornata intensa di ricerche, di ingrandimenti,
di sguardi indagatori, di dubbi e di incertezze, il risultato fu chiaro,
limpido, inequivoco. Silvano era arrivato a una conclusione assoluta che
avrebbe reso noto quella sera stessa su tutti i social. Il virus era invisibile per il semplice motivo
che non esisteva. Non c’era proprio niente, da nessuna parte. Niente di niente.
L’avrebbe scritto. Tutti dovevano sapere. La verità.
mercoledì 22 aprile 2020
11 CLIO
Il sole sorgeva dietro le case.
Lucido, pulito, abbagliante. La città dava segnali di risveglio. I balconi si
aprivano, le tapparelle si sollevavano, i primi fumatori si affacciavano.
Sconosciuti si scambiavano un cenno di saluto. Era così da un po’. Era così il
risveglio morbido di una città indolente, oziosa, una città in quarantena.
Ma quel giorno, era mercoledì per
la precisione, da occidente avanzò qualcosa. Tutti quelli posti dal lato
sbagliato della strada se ne accorsero osservando le facce dei fortunati posti
dall’altra parte. Perché si videro gli sguardi mutare dalla opacità del sonno
al brillare dell’incredulità. Quelli che avevano finestre dall’altra parte
della casa si precipitarono per non restare tagliati fuori da quel che stava
accadendo alle loro spalle, di qualsiasi cosa si trattasse.
Antonino che poteva muoversi per
via del cane Astra, un labrador di tre anni, scese subito in strada e fece il
giro dell’isolato, spinto dalla curiosità e dai segnali che venivano da quelli
sui balconi che continuavano a indicare qualcosa col dito e a emettere versi di
stupore incredulo. Antonino rallentò un poco, perché il ginocchio gli faceva
male, doveva stare attento non correre
per non forzarlo. Una storia vecchia, un incidente, una lunga ripresa, un ricordo
ormai.
Girò l’angolo, Astra prese ad
abbaiare ma non di spavento, piuttosto di sorpresa, scodinzolando. Antonino si
fermò all’incrocio. Non poteva andare oltre, la strada era occupata. Una donna,
alta come un condominio di quattro piani, con una gonna rosa e una camicetta
bianca vasta come la vela di un brigantino, e un fiocco tra i capelli come
s’usava una volta. Impressionante. Ma non paurosa. Lo sguardo curioso, il volto
sereno come di chi è sicuro di sé e sa quel che fa. Tutti la osservavano, dai
balconi, Antonino era fermo di fronte a lei, Astra smise di abbaiare, e prese
piuttosto a guaire debolmente. Antonino fece ancora un passo. «Chi è lei?»
Chiese. La donna rispose con una voce
profonda che fece tremare i vetri delle finestre. «Clio».
Antonino restò immobile, avrebbe
voluto fare altre domande, da dove vieni?, Che cosa vuoi? Che cosa sei? Sei un
alieno? Sei un mostro? Ma la voce gli si fermò in gola. La donna sorrise,
comprendendo l’imbarazzo.
«Niente paura. Me ne sto andando
Qui non servo più a niente. Ma tornerò quando avrete di nuovo bisogno di me.»
Fu così che Clio con quattro passi
lunghi se ne andò. La gonna sventolò nell’aria come il tendone di un circo
spazzato dal vento di bufera. Antonino restò lì in mezzo alla strada,
stupefatto. Poi si girò intorno, rivolto alla gente sui balconi. «L’avete vista
anche voi?» Quelli risposero di sì. «Ma chi era?» Chiese nuovamente. Tutti
tacquero, solo la signora Bastiani, grande compilatrice di cruciverba, rispose;
«Clio, la Musa della Storia.»
Astra annusò l’aria e abbaiò
contrariata. Antonino fece qualche passo nel luogo ov’era la donna e ora non
c’era più nulla. Il ginocchio stranamente non gli faceva più male.
lunedì 20 aprile 2020
10 BALCONI
Marina si sedette su una
poltroncina di plastica sistemata nel terrazzino, accanto a lei i figlioletto
di tre anni giocava con una cassetta di legno, metteva delle cose, toglieva
delle cose. Sul terrazzino accanto Abidal e Dehel filippini magri magri,
fumavano lentamente, da quando era stato chiuso i locale dove lavavano i piatti
dieci ore al giorno, se ne dovevano stare a casa ma a casa non avevano nulla da
fare, per fortuna c’era il telefono, e ogni tanto una sigaretta sul balcone.
Salutarono con un cenno la signora Jole del primo piano, che stava sempre sul
balcone anche prima, ora poi non se ne staccava mai, ci viveva proprio, sempre
con una pezzetta in mano come chi è indaffarato a pulire, oppure vuol darsi un
alibi e fa soltanto finta. Aveva un ruolo civico di controllo ben preciso,
salutava i rari passanti e senza pudore chiedeva a chiunque «Va a fare la spesa?» Se passava uno con il cane,
chiedeva «Di che razza è?» certi le rispondevano, altri tentava nodi ignorarla,
non conoscendone l’ostinazione. Perché lei insisteva «Va a fare la spesa?» Alla
fine tutti qualcosa dovevano rispondere per poter passare. E non potevano
arrischiarsi di non avere una solida giustificazione, viceversa la signora Jole
li avrebbe inseguiti con le sue domande urlate sempre più forte, che alla fine
tutto il quartiere usciva dalla finestra a vedere cosa stava succedendo, e chi
era l’incauto.
Un martedì, sarà stato ormai dopo
il sessantesimo giorno, passò una coppietta, mano nella mano, lui sigaretta in
bocca, lei masticava, niente mascherina, niente guanti, come fosse un
tranquillo pomeriggio di aprile. Marina si sporse per vedere, i due filippini
si diedero di gomito in attesa della reazione della signora Jole di fronte a
tanta impudenza. E invece quelli
passarono, come niente fosse, conversando tranquilli, senza fretta. Arrivavano
dal fondo della strada. Passarono sotto il balcone della signora Jole, e
niente, silenzio, non una reazione. Ma la signora Jole era lì, la si
intravedeva, appoggiata a un cesto della biancheria, con uno straccetto in
mano. Era lì ma non reagiva. Marina si sporse un po’ di più per vedere meglio,
anche i due filippini buttarono fuori la testa per capire che cosa stesse
succedendo, quale imprevisto potesse aver tacitato quel Cerbero di fronte alla
sfrontatezza di due passanti senza giustificazione.
Ma dall’alto non potevano vedere
chiaramente. Altrimenti avrebbero notato gli occhi fissi spalancati della signora
Jole, e la sua bocca semiaperta, e il colore bianco esangue del suo volto. Ecc,
era il suo turno. Un altro balcone sarebbe rimasto sguarnito. Non era il primo.
sabato 18 aprile 2020
9 SPIRITI
Era domenica e le chiese erano
chiuse, Pochi passanti frettolosi, con il cane al guinzaglio. L’aria tersa.
Gente sui balconi con la sigaretta, gente appoggiata alla ringhiera del
terrazzo che guardava giù annoiata.
La chiesa dei servi di Maria, con
quell’alto cappello proteso verso il cielo, era immobile. Silenziosa.
Abbandonata. Il crocifisso in cima al tetto svettava nitido nel contro
l’azzurro dell’altezza, l’infinito si svolgeva come un pozzo rovesciato da
quella cima fino altre i limiti umani dello spazio. Poi, d’improvviso, tutti
gli abitanti del quartiere videro cadere come sei pezzettini di carta
luccicante, che frullavano nell’aria lanciando piccoli lampi di luce in tutte
le direzioni.
Ira, tutti sappiamo che le cose
pesanti cadono verso terra, sappiamo che salgono quando sono più leggere
dell’aria, ma quella domenica scendevano senza ragione come se una mano
invisibile le lasciasse andare dall’infinito cielo azzurro lì sulla cima della
chiesa, su quel presuntuoso tetto a cono. I fortunati che dai balconi potevano
vedere l’insolito fenomeno restarono a bocca aperta. I pochi incupiti passanti
si bloccarono testa in su a contemplare quello sfarfallio di coriandoli
luccicanti che s’appoggiava lieve sul tetto pendente della chiesa e scivolava
giù verso terra. Qualcuno, curioso, s’avvicinò e raccolse alcuni di quei
frammenti, Nient’altro che pezzetti di carta lucida, blu, rossi, grigi,
rettangolini non più lunghi di un pollice.
A lungo quella pioggia leggera
sovrastò la chiesa provenendo da un punto invisibile là in alto. E poi, com’era
iniziato così tutto si concluse. Nel silenzio irreale di quella domenica di
quarantena. Nessuno seppe spiegare. Solo il Prof Giordano, ateo impenitente,
sguardo lungo, ebbe l’intuizione decisiva. «È lo spirito che viene» disse. Ma
non c’era nessuno ad ascoltarlo.
Iscriviti a:
Post (Atom)