CONDIVIDERE
Ormai so di essere un tessuto di relazioni, so che la mia identità nasce dall’intreccio di tutte le relazioni che la compongono. Per questo non posso fare a meno di essere con gli altri, nel bene e nel male, nell’amicizia e nel conflitto, nel destino e nella casualità.
Non ho altra scelta, devo dividere uno spazio, disponendomi alla convivenza con quanti mi sono cari, ma anche accettando la vicinanza degli estranei. E faccio in modo che la vicinanza non generi conflitto, per saturazione, per incomprensione, per intolleranza.
Allo stesso modo devo dividere il mio tempo, che non è dunque solo mio, perchè appartiene ugualmente anche a coloro che vivono la loro vita insieme a me. È per questo che non posso disporne interamente come vorrei, che sono costretto a dividerlo in parti, a frazionarlo, a distribuirlo tra i miei desideri, i miei impegni, i miei affetti. Devo inoltre fare i conti con coloro che acquistano il mio tempo tramite il lavoro. E anche questa è una necessità cui non posso venir meno.
Ovunque io sia, ovunque io vada, mi trovo a condividere una situazione anche semplicemente attraverso il contatto di una stretta di mano che mi toglie dall’estraneità. E naturalmente attraverso il colloquio che mi strappa dal silenzio e mi mette in uno spazio di comprensione o di incomprensione, di significati condivisi o fraintesi, di verità o di menzogna.
E poi, ovviamente, condivido la vita attraverso le emozioni trasportate dall’amore (che mi porta verso l’altra persona) o dalla morte, attraverso il lutto.
È difficile, per me, pensare un’esistenza che non sia condivisa. E la solitudine mi appare sempre di più come un falso problema.
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