Abbiamo visto come uno dei compiti del filosofo consulente possa essere quello di “guidare” il consultante: ma guidare verso dove? E a che scopo?
Ci potrebbe venire in aiuto il concetto di eudaimonia, che Aristotele definisce una “condizione dell’anima secondo virtù”: una condizione, quindi, di vita buona, prospera, realizzata nel suo senso più pieno. Senza dubbio una condizione di ben-essere, non inteso come mero appagamento fisico: l’essere “bene” di qualcosa significa che ciò apporta valore alla mia vita, la completa, la rende degna di essere vissuta.
È scontato conoscere che cosa vada realmente bene per me e attuare gli sforzi per raggiungerla? Il possesso di ciò che per qualcun altro costituisce una meta irrinunciabile, potrebbe non rendermi felice. Potrei io stessa perseguire con forza qualcosa che, alla fine, potrebbe rivelarsi impossibile da ottenere oppure raggiungibile ma non utile o addirittura dannoso per il mio autentico benessere.
Ogni persona possiede una concezione personale di ciò che rende buona la vita; questa concezione non è stabile nel tempo: è certamente legata ai propri valori, ma anche alla situazione particolare che si sta vivendo e alle difficoltà che si devono fronteggiare in un determinato momento. Oltre a ciò, la propria idea di ciò che è buono potrebbe non essere sufficientemente chiara nemmeno per noi stessi.
In questo senso il filosofo consulente, attraverso la sua intenzionalità particolare e gli strumenti di pensiero a sua disposizione, guida l’ospite, o meglio lo accompagna, a fare chiarezza in merito al proprio percorso, alle proprie convinzioni e ai propri desideri per metterli in questione e aiutarlo così a chiarire cosa si può rivelare veramente buono per la sua vita.
MARINA DA CANAL
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