A cura di Stefano Zampieri - Consulente Filosofico

giovedì 11 maggio 2023

Letture: Chronos di Francois Hartog (2020)

 


Il tema del tempo è uno dei riferimenti fondamentali per la Filosofia del Quotidiano, ma per mettere in questione il nostro rapporto esistenziale con il tempo è necessario avere le idee chiare sul significato del tempo che, come accade a tutti i concetti essenziali della nostra vita, è esso stesso soggetto al tempo, cioè muta storicamente. Lo sguardo genealogico, come ci ha insegnato Nietzsche, è decisivo per non cadere  nella trappopla di dare valore metafisico ai concetti con i quali condividiamo l'esistenza quotidiana. 

Opportuno giunge allora questo ricchissimo e stimolante saggio di Francois Hartog (dell'Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi), unio dei testi più interessanti usciti recentemente (la prima edizione è del 2020, tradotta da Einaudi nel 2022) sul tema del tempo nella società occidentale. 

Hartog compie una profonda ricognizione stortica partendo ovviamente dai precedenti greci e passando per la tradizione cristiana che viene scandagliata con grande analiticità. Riesce così nell'intento di delineare quello che chiama il Regime Cristiano di storicità,  fondamentalmente un presentismo ao calittico: l'anno liturgico infatti rende costantemente presente  il passato attraverso la vicenda di Crtisto, e al contempo prospetta un futuro come annunciata fine dei tempi. In esso le categorie greche di Chronos (il tempo continuo), Kairos (il momento opportuno, l'evento) e di Krisis (il cambiamento radicale, il giudizio ecc.) si intrecciano variamente. 

Ad esso fa seguito, secondo la ricostruzione di Hartog,  un Regime moderno di storicità,  nel quale il futuro si apre nell'idea del Progresso e il tempo stesso diventa Processo infinito e neutrale (Newton). Craratteristica del Regime moderno di storicità è l'elemento della accelerazione, s'impone così la potenza della Storia (nell'800) sorta di religione universale.

Anche il Regime moderno di storicità tuttavia è destinato ad entrare in crisi, con Einstein, con Nietzsche e con il venir meno delle illusioni del Progresso. Torna allora a far capolino l'idea apocalittica questa volta legata alle vicende storiche come quelle indicate da Auschwitz e Hiroshima.

Chiude il saggio una stimolante riflessione sull'idea del tempo nell'Antropocene, la nostra età, nella quale non possiamo fare a meno di rivedere le nostre concezioni tradizionali del tempo  e della storia, e non possiamo evitare di porci domande decisive intorno al senso del nostro futuro e del nostro presente. 

lunedì 8 maggio 2023

Introduzione alla Consulenza Filosofica 18 : condividere

 

CONDIVIDERE

 

 



Ormai so di essere un tessuto di relazioni, so che la mia identità nasce dall’intreccio di tutte le relazioni che la compongono. Per questo non posso fare a meno di essere con gli altri, nel bene e nel male, nell’amicizia e nel conflitto, nel destino e nella casualità.

Non ho altra scelta, devo dividere uno spazio, disponendomi alla convivenza con quanti mi sono cari, ma anche accettando la vicinanza degli estranei. E faccio in modo che la vicinanza non generi conflitto, per saturazione, per incomprensione, per intolleranza.

Allo stesso modo devo dividere il mio tempo, che non è dunque solo mio, perchè appartiene ugualmente anche a coloro che vivono la loro vita insieme a me. È per questo che non posso disporne interamente come vorrei, che sono costretto a dividerlo in parti, a frazionarlo, a distribuirlo tra i miei desideri, i miei impegni, i miei affetti. Devo inoltre fare i conti con coloro che acquistano il mio tempo tramite il lavoro. E anche questa è una necessità cui non posso venir meno.

Ovunque io sia, ovunque io vada, mi trovo a condividere una situazione anche semplicemente attraverso il contatto di una stretta di mano che mi toglie dall’estraneità. E naturalmente attraverso il colloquio che mi strappa dal silenzio e mi mette in uno spazio di comprensione o di incomprensione, di significati condivisi o fraintesi, di verità o di menzogna.

E poi, ovviamente, condivido la vita attraverso le emozioni trasportate dall’amore (che mi porta verso l’altra persona) o  dalla morte, attraverso il lutto.

È difficile, per me, pensare un’esistenza che non sia condivisa. E la solitudine mi appare sempre di più come un falso problema.

 

sabato 6 maggio 2023

PRECISAZIONI SULLA CONSULENZA FILOSOFICA

PRECISAZIONI SULLA CONSULENZA FILOSOFICA

> La consulenza filosofica NON è il counseling filosofico. Chiunque conosca il nostro ambiente e alcuni decenni di ricerca sul tema, sa che è invalsa una netta distinzione tra counseling filosofico e consulenza filosofica, il primo termine indica un’attività di natura psicologica, vicina alle forme della psicologia umanistica, il secondo indica un’attività prettamente filosofica. Chi esercita la prima non esercita la seconda e viceversa.

> La consulenza filosofica NON è una filosofia accademica. La consulenza filosofica nasce, infatti, fuori dell’accademia e anche per una netta reazione alla filosofia insegnata ( è infatti filosofia “praticata”), un modo non accademico di “fare filosofia”.

> La consulenza filosofica NON  è psicoterapia, infatti non elabora diagnosi o terapie. E se l’interazione è possibile essa però non può risolversi in ambiguità. La filosofia è abbastanza complessa, ricca e articolata, da non aver bisogno di vie brevi, escamotage o sotterfugi.

> La consulenza filosofica HA un metodo, cioè un percorso operativo ben chiaro a chi sia stato adeguatamente formato, ma NON ha una strategia: accompagna non indirizza.

> La consulenza filosofica HA una definizione ben chiara:

Consulenza filosofica: attività che si propone di fornire a chi lo richieda (individui, gruppi, organizzazioni), sulla base di un approccio filosofico, supporto, aiuto e orientamento nell’ambito dei processi intellettuali, esistenziali, decisionali o relazionali, senza avere finalità terapeutiche.

È la definizione dello statuto di Phronesis-associazione italiana per la consulenza filosofica, l’associazione professionale che dal 2003 raccoglie e tutela i consulenti filosofici.

STEFANO ZAMPIERI

 

giovedì 4 maggio 2023

Letture: La ripetizione di Soren Kirkegaard (1843)

 


La ripetizione
di Soren Kierkegaard è un esempio molto evidente di come sia difficile operare una distinzione rigida tra il testo narrativo e il testo o filosofico perché in realtà si tratta di un racconto e allo stesso tempo di una riflessione di carattere strettamente filosofico.

Il protagonista, che in questo caso ha il nome di Costantin Costantius, il solito alter ego dello scrittore, racconta un viaggio a Berlino l'incontro con un amico senza nome e le travagliate vicende di un amore sfortunato ma l'intera narrazione serve a riflettere intorno ad un concetto per nulla semplice che è quello della ripetizione, concetto che Kierkegaard contrappone a quello del ricordo: “Ripetizione e ricordo sono lo stesso movimento, tranne che in senso opposto (…) la ripetizione, qualora sia possibile, rende felici, mentre il ricordo rende infelici (…) l’unico amore felice è quello della ripetizione (…) la ripetizione è il pane quotidiano che nutre in abbondanza".

 

 Che cosa può ricavare un lettore del Terzo Millennio dal confronto con un'opera come questa? Sicuramente la prima osservazione che mi nasce spontanea dalla lettura di queste pagine è che la filosofia, e qui ne abbiamo una prova, nasce dalla quotidianità e la scrittura di seguito. Si tratta cioè di un costante meta discorso filosofico di una messa in questione nella quale eventi della vita reale, l'innamoramento, l'abbandono, i dubbi sull'amore e tutto questo insieme di tematiche di pura, evidente, derivazione  romantica, vengono messi alla prova in un costante dialogo tra il protagonista, se stesso, l'amico senza nome e infatti qui l'esperienza è prima di tutto quella che nasce dall'incontro con l'amico, si tratta cioè quasi di una consulenza filosofica ante litteram.

L'autore mette alla prova l'idea della ripetizione ripetendo un periodo trascorso a Berlino cioè facendo esperienza, la quotidianità come messa alla prova della teoria. Siamo nel pieno della dissoluzione dell'amore romantico, una dissoluzione che viene nel campo della riflessione razionale. 

L'amore è la complessità irrisolvibile dei rapporti umani, ma allo stesso tempo è esperienza che dobbiamo sapere indagare, che dobbiamo sapere interrogare. Non è detto che da questa interrogazione scaturisca una risposta netta e definitiva Ma certamente l'interrogazione è in sé il fine di tutta la narrazione.

Probabilmente le ansie, le difficoltà, i tremori e i timori che Kierkegaard mette in scena in questa narrazione sono arcaici, sono ottocenteschi, sono assai distanti dalla nostra reale e attuale sensibilità. Ma certamente l'atteggiamento generale di messa in questione è proprio un esempio di quanto la consulenza filosofica sta cercando di proporre all'uomo del Terzo Millennio. Questo testo allora è una lettura che può essere recuperata in maniera utile e interessante anche per noi oggi.

 

martedì 2 maggio 2023

Introduzione alla Consulenza Filosofica 17 : aver cura di sé

 

AVER CURA DI SÈ


 

Guardo negli occhi la realtà: so che il tempo mi pone un limite insuperabile. Ma proprio per questo capisco che non posso far altro che amministrare al meglio il tempo che ho a disposizione.

Allora, quello che tutti oggi chiamano l’aver cura di sé, per me è prima di tutto un buon governo delle mie energie interiori e delle mie possibilità di fronte a mondo. Agisco sapendo che devo fare i conti con i miei limiti, dunque, ma so che posso anche rischiare, per andare oltre, per fare qualcosa di più ogni giorno, per migliorare, per quanto sempre con consapevolezza, con misura. Nelle scelte, nell’imprimere le svolte alla mia vita, sono disposto anche a sperimentare, nella speranza di trovare il meglio, di scoprire cose nuove, ma sempre col senso dei miei limiti.

Per governare me stesso allora, devo trovare una giusta combinazione di forza, perché vivere richiede azione, lavoro, invenzione, passione… ma anche di consapevolezza, cioè di capacità di prevedere e misurare gli effetti delle mie scelte, e di fare tesoro delle mie esperienze, perché esse mi aiutano a crescere, a migliorare, ad essere non solo umanamente più ricco, ma soprattutto più forte di fronte alle difficoltà.

In ogni caso so che devo vigilare,  perché un po’ mi conosco, so come sono fatto, so dove mi è più facile cadere in errore, esagerare, pretendendo troppo… E soprattutto so che per un buon governo di me non posso fare a meno degli altri, non sono autosufficiente: mi spiace ammetterlo, ma ho bisogno degli altri. Non riuscirei mai a governare me stesso pensando di essere un vascello solitario in mezzo all’oceano, mi perderei, perderei la direzione, non avrei più un punto di riferimento.

 

 

giovedì 27 aprile 2023

Letture: Maurice Blanchot, Thomas l'oscuro (1950)

 


Confesso la mia passione sconfinata per Maurice Blanchot, scrittore e filosofo francese (1907-2003) che purtroppo non gode di particolare fama in Italia, mentre in Francia viene considerato uno dei punti di riferimento della cultura del ‘900.

Per me in realtà è qualcosa di diverso, è un maestro prima di tutto, colui che mi ha ispirato e spronato silenziosamente per tutta la vita, dalla mia tesi universitaria in poi, che mi ha dato un modello, che non ho saputo nemmeno sfiorare, di coerenza intellettuale, ma anche di trasparenza nel linguaggio e lucidità nell’espressione. Un esempio di rigore intellettuale.

 

Thomas l'Oscuro è il primo romanzo di Maurice Blanchot. Pubblicato dapprima nel 1941 e poi in una versione rivista nel 1950, viene ora tradotto in italiano -  per la prima volta!-  da  Francesco Fogliotti per il Saggiatore.

 

Il protagonista della storia è Thomas, alter ego dell’autore stesso, un personaggio che sfugge a ogni precisa descrizione, in base al principio secondo cui nella scrittura si realizza un diverso modo di “vedere”.  All'inizio del romanzo nuota in mezzo a un mare d'improvviso mutato in tempesta. Nelle scene successive lo ritroviamo in un cimitero, intento a scavare con le mani una tomba in cui sdraiarsi e fare esperienza della fine. E poi lo ritroviamo in un albergo, dove conosce Anne. La giovane donna che Thomas ha incontrato casualmente e con la quale inizia una relazione che si tramuta in un vincolo misterioso e inscindibile, si ammala e dopo una penosa agonia muore.

I capitoli della morte e l’incontro del cadavere sono probabilmente quelli più forti e inquietanti di tutto il libro.

 

Volessimo anche solo provare a indicare le tematiche più rilevanti di questo testo potremmo indicare certamente il tema della morte, che  la protagonista vorrebbe esperire da viva, superando così l’impossibilità costitutiva dell’esistenza umana, oppure quelli del rapporto tra personaggio e persona: nel testo infatti assistiamo continuamente a uno sdoppiamento per cui  i protagonisti si vedono come dall’esterno e così duplicano il rapporto tra le persone viventi e le loro rappresentazioni, grande e irrisolto mistero della letteratura. Ma vi è anche il tema della distanza che separa gli esseri e che ognuno di noi vorrebbe superare nel disperato tentativo di incontrare l’altro non come un estraneo incomprensibile. 

 

C’è chi ha collocato la narrativa di Blanchot all’interno del genere surrealistico, e certamente la sua è una scrittura assai lontana da ogni forma di realismo, tuttavia bisogna evitare di cadere nella trappola della collocazione in un genere: l’opera di Blanchot è prima di tutto una messa in questione delle potenzialità della letteratura stessa come tale, al di là dei generi e delle forme, è la messa in questione delle trappole, dei misteri, delle contraddizioni, dei paradossi contenuti nel gesto di scrivere.

 

martedì 25 aprile 2023

Introduzione alla Consulenza Filosofica 16 : essere felici

 

ESSERE FELICI

 

 


Felicità e dolore: la mia esperienza mi dice che l’una chiama l’altro e viceversa. Tanto più ho conosciuto il dolore tanto più ho saputo apprezzare la felicità. Ogni momento di felicità mi ha reso più penoso il dolore dell’esistenza.

Ma al principio è la felicità. Io infatti rifuggo il dolore e perseguo la felicità. Perché essa dà senso al mio presente spostandolo verso l’attesa della felicità futura, verso la speranza o l’immaginazione di una condizione di vita felice o almeno più felice di quella attuale.

La felicità è quel che cerco, ciò cui voglio avvicinarmi, e tutti gli ostacoli che incontro sono ostacoli alla mia felicità.

Ma posso raggiungere uno stato definitivo di felicità, dal quale non sia più possibile tornare indietro? È chiaro che no, non in questa vita almeno. Perché sarebbe il Paradiso, l’Eden o l’Età dell’Oro: tutti luoghi e condizioni fuori del tempo e della vita.

Io voglio invece perseguire la mia felicità in ogni attimo, e nell’attimo raccoglierla, come ciò che può illuminare la mia esistenza. Come ciò che dà un senso alla mia vita perché ne mostra il legame con il mondo e con gli altri. Perché se il dolore è ciò che separa, la felicità è ciò che unisce. E unendo dà valore alla vita perché la rende larga, aperta, inesauribile, carica di possibilità.

Anche se so bene che non esiste una felicità, che sia la stessa per tutti, riconoscibile, perseguibile, rappresentabile. Esistono piuttosto molti modi di essere felici. Diversi nel tempo e nello spazio, diversi persino dentro di me. Mano a mano che cambio io stesso cambia il mio modo di perseguire e di pensare alla mia felicità. Cambia il mio modo di essere felice.