A cura di Stefano Zampieri - Consulente Filosofico

giovedì 26 gennaio 2017

Pensare globale

Non è colpa di Edgar Morin se alcuni suoi libri sembrano avere uno speciale legame un po' misterioso con il numero sette ("I sette saperi necessari all'educazione del futuro", e ora "Sette lezioni sul pensiero globale"), perchè il titolo è opera dell'editore italiano e nell'originale suona un po' diverso ("Penser global. L'homme et son univers"), e mette piuttosto in evidenza il vero tema dell'opera ovvero quel pensiero globale di cui Morin è sicuramente uno dei massimi esponenti, ma che, nonostante la sua copiosa produzione, appare ancora difficile da digerire per il mondo intellettuale dei nostri giorni, spesso ancorato a punti di vista arcaici e anacronistici.
Certo Morin tende da qualche anno a riscrivere sempre lo stesso libro, ma bisogna  essere onesti: ce n'è davvero bisogno.
Morin infatti è fra i pochi filosofi che prova a pensare il nostro tempo a partire da quello che a mio avviso è ormai il solo punto di partenza dal quale si possa sperare di ottenere qualche illuminazione sull'attuale condizione dell'uomo. E ciò quella che egli chiama trinità bio-socio- antropologica, ovvero il fatto che l'essere umano è insieme un individuo singolare, ma anche un essere sociale e un animale legato biologicamente alla propria specie, e dunque va pensato e rappresentato sempre in una forma complessa. Da un lato come un individuo che cerca di affermare la propria singolarità attraverso le forme della libertà, della creatività, dell'arte, e dall'altro - ma è lo stesso individuo - quello che come essere sociale costruisce società sempre più articolate e complesse. E infine - ma è ancora lo stesso individuo - quello che appartiene al ciclo della vita e non può dunque sottrarsi alle sue caratteristiche e al suo destino, assecondando le dinamiche di ordine - disordine- aggregazione che caratterizzano tutte le forme viventi.
E' proprio da questo legame che l'uomo deve ricavare la propria più autentica condizione di essere intimamente legato alla natura, e quindi di individuo appartenente biologicamente, ma anche socialmente e culturalmente al pianeta.
Morin, si sa, e qui lo ribadisce, ne ricava una sorta di personale utopia che sogna per l'uomo una profonda metamorfosi, etica, culturale e sociale, necessaria per non cadere nelle trappole del disumano che le forze tecnico scientifiche ed economiche stanno da tempo preparando per l'umanità.
Temo che l'utopia come tutte le utopie sia destinata a restare tale, ma essa assolve al compito storico di indicare una via. Ed è per questo che la lettura di Morin, a mio avviso, resta imprescindibile.

Edgar Morin
7 lezioni sul pensiero globale
Milano, Cortina, 2016
pp. 114, €11,00

lunedì 16 gennaio 2017

Dio non esiste

Che un antropologo, uno scienziato sociale, uno studioso accademico come Marc Augé potesse scrivere una favola sovversiva e irriverente come questa, non può che stupire. Eppure l'esito è davvero deliziosamente felice, e ricorda il tipico conte philosophique settecentesco, sapido e intrigante, che ti obbliga a farti delle domande e a tentare delle risposte.
Lo spunto è folgorante: Papa Francesco che annuncia solennemente dall'alto della sua cattedra che Dio non esiste, sono queste le tre parole che fanno cambiare il mondo. Da esse discende tutta la narrazione, attraverso la quale Augé elabora una sorta di utopia, che configura un mondo senza tutte le religioni, o meglio che converte l'istinto religioso facendone emergere il grande segreto, e cioè il fatto di custodire quanto di migliore vi sia negli uomini, ovvero la loro piena consapevolezza della vita.
A partire da tale assunto gli uomini tornano a costruire una nuova forma di solidarietà, a partire dal sapere che la vita dopo la morte esiste, ma è quella dei vivi e non quella dei morti, e che la certezza che tutto abbia una fine è ciò che dà valore agli inizi.  Il progresso dell'umanità in questa favola pare dunque legato al superamento pacifico di tutte le istituzioni religiose, alle quali si contrappone una ripresa illuministica della ragione, ma ancor meglio una prospettiva umanista e un sogno di pacificazione universale, il sogno di una umanità rivolta al sapere, al superamento della povertà e dell'ingiustizia.
Nulla di nuovo in questo, è il sogno che in tante forme l'uomo ha sempre coltivato, il sogno del meglio di fronte alle difficoltà dell'esistenza, un sogno senza il quale ci troveremmo ancora all'età della pietra. Ne abbiamo bisogno, non possiamo farne a meno, è ciò che io chiamo saggezza.
Immagino che i credenti non troveranno molto di cui compiacersi in questo racconto, rispettoso e sereno ma tagliente, invece l'ateo che è in me nel percepire una sintonia profonda con le parole di Augé spera che esse valgano almeno a sollevare qualche ragionevole dubbio su ciò che oggi pare tornato ad essere un luogo comune diffuso e pervasivo: la nostra è infatti una società che sta tornando ad una cultura pre-illuministica e pre-scientifica, che sta rivalutando atteggiamenti che in altri tempi avremmo definito superstiziosi, che sta riabilitando il pensiero magico.
In questo quadro le religioni tornano ad essere un punto di riferimento che prende il posto delle vecchie ideologie ormai tramontate. Senza che i più si facciano la domanda chiave, quella a cui risponde il Papa all'inizio di questa storia.

Marc Augé
Le tre parole che cambiarono il mondo
Milano, Cortina, 2016
pp. 94  €8,00

martedì 10 gennaio 2017

Camus libertario

Alla prima apparenza questo testo è una biografia di Albert Camus, nella quale Onfray legge con accanimento degno di una missione, tutta l'opera del grande filosofo e scrittore francese, comprese le lettere e molta documentazione diretta poco nota tratta dai materiali d'archivio di Camus che Onfray ha potuto lungamente studiare.
Ma Onfray non si limita a questo, il suo obiettivo più profondo è infatti duplice: da un lato riabilitare lo scrittore duramente  attaccato in vita, ma anche dopo la morte prematura nel 1960; e dall'altro esaltare la proposta che egli ricava dall'esperienza di Camus, di un progetto politico libertario, anticomunista ma da sinistra, anticapitalista e antioppressivo.
Sul primo versante Onfray non risparmia critiche feroci alla schiera intellettuale capeggiata da Jean Paul Sartre e Simone de Beauvoir, che ha guidato la cultura francese - e non solo - del Novecento, tra grandi obiettivi, svolte e giravolte, e prese di posizione, spesso contraddittorie, quasi sempre smentite dalla storia, e non esenti da ipocrisie e meschinità personali.
Ne esce, di converso, esaltata la figura di Camus, figlio di una famiglia povera, intimamente legato alla propria terra natale, l'Algeria, artefice del proprio destino ad onta di tutte le difficoltà, l'emigrazione, la guerra, la resistenza, la malattia...
Dall'altro lato, invece, Onfray sembra usare la figura di Camus per elaborare una sorta di manifesto politico che riprende i riferimenti classici della tradizione anarchica, Stirner,  Proudhon, per ricollocarli in uno schema adatto al Terzo Millennio. Evocando quindi un anarchismo non violento, e non integralista, che chiude i conti con il marxismo leninismo, ma anche con il pensiero giudaico cristiano, niciano ma di sinistra, che punta a una democrazia pratica, e promuove una politica che non sia solo commercio di concetti ma attività pratica, nella quale si contemoeri l'etica della convinzione con l'etica della responsabilità, nessun sole dell'avvenire, nessuna rivoluzione priovvidenziale, ma un niciano sì alla vita e un no a tutto quello che la ostacola.
Non so se davvero ci sia Camus in tutto questo, e ho il sospetto che ci sia prevalentemente Onfray, ma soprattutto non posso negare la spiacevole sensazione di trovarsi di fronte ad un progetto che non pare poi tanto diverso da quello della quadratura del cerchio. Probabilmente la figura di Camus merita un percorso di rilettura più rispettoso e più umile, che sappia far riemergere quel che la distanza storica oggi rende più chiaro e più interessante, cioè l'esperienza di una vita filosofica autenticamente vissuta.

Michel Onfray
L'ordine libertario. Vita filosofica di Albert Camus
Milano, Ponte alle Grazie, 2016
pp. 573  € 28

lunedì 9 gennaio 2017

Stare nel quotidiano

Perché, naturalmente, c'è modo e modo di stare al mondo, ci sono mille modi diversi di affrontare l'esistenza, ci sono mille modi diversi di leggere, comprendere, interpretare, trasformare, descrivere, "un presente che è spazio, ambiente, circostanze, che coincide in generale con il quotidiano ed è fatto di reti sociali, relazioni, impegni, emergenze" (S. Natoli, Stare al mondo. Escursioni nel tempo presente, Milano, Feltrinelli, 2002, p. 8).

Filosofia nel quotidiano: chi ci sta?


mercoledì 4 gennaio 2017

La bellezza e il destino dell'uomo

Riuniti a discutere del ruolo della bellezza nel destino umano, due fra i massimi interpreti del nostro tempo, Agnes Heller e Zygmunt Bauman, offrono le loro risposte in questo libro piccolo ma prezioso. La grande filosofa ungherese, allieva di György Lukács, fa notare il legame originario greco tra bellezza e amore e poi ripercorre le mutevoli accezioni del bello nel pensiero occidentale per ricavarne la conclusione che pur nelle diverse interpretazioni ciò che è in gioco è sempre la stessa questione: quali sono gli effetti della bellezza in noi? E la risposta che Heller propone è la stessa di Adorno, secondo il quale il bello è una promessa di felicità, e forse è destino della felicità di restare sempre una promessa.
E' per questo che la bellezza può salvarci dalla disperazione. Perchè, aggiungo io, la bellezza ci mette in condizione di pensare che un altro mondo è possibile, migliore di questo.
Da parte sua invece il sociologo polacco padre della "modernità liquida", sottolinea come la missione dell'arte contemporanea sia quella di rompere il velo della falsa armonia, della banalità, del conformismo, del consenso e della fede nell'ordine costituito.
Potrebbero sembrare due letture diverse, ma a ben guardare appaiono invece del tutto coerenti: da qualsiasi parte si osservi la bellezza, dal lato pacificato e armonico o da quello dissonante e problematico, ciò che emerge è che essa non è una formula, ma è piuttosto una variabile, essa può assumere forme differenti nel tempo, nel contesto, nelle aspettative, nelle aspirazioni, ma in tutti i casi la bellezza è un agire rivolto al meglio possibile, che sia una promessaa di felicità o comunque qualcosa che si riveli utile per rendere il mondo "un posto più ospitale per la vita degli esseri umani".

Agnes Heller - Zygmunt Bauman
La bellezza (non) ci salverà
Trento, Il Margine, 2016
€ 5,00

sabato 31 dicembre 2016

Buoni propositi

Il mio 2017 sarà l'anno in cui inaugurare l'esperienza della Filosofia nel Quotidiano. Iniziative e progetti a seguire.

giovedì 29 dicembre 2016

Filosofia nel quotidiano



Qual è dunque il compito della filosofia oggi? A mio avviso non può che essere una filosofia nella vita quotidiana, ove ciò che è decisivo è proprio la preposizione, non si tratta infatti di cogliere il quotidiano solo come un oggetto di studio, di fare una teoria del quotidiano, ovvero in parte è anche questo, ma al contempo, nello stesso tempo, la filosofia che torna alla vita  trova il suo luogo naturale proprio nel quotidiano, essa non è solo filosofia del quotidiano, ma ancor prima e più profondamente filosofia nel quotidiano. È questo che s’intende quando si allude a una pratica della filosofia. 

Nel suo essere pratica la filosofia mostra il suo essere dentro la realtà, profondamente implicata, piuttosto che fuori con l'intento di descrivere o comprendere un oggetto esterno. Significa una filosofia vissuta quotidianamente, agita nella quotidianità, uno stile di vita prima che un sapere.
 

giovedì 22 dicembre 2016

Qualche limite da rispettare

Il tema del limite sta diventando forse uno dei temi più appassionanti della riflessione filosofica contemporanea più sensibile alla dimensione dell'esistenza, perchè è proprio nella concreta esistenza degli uomini e delle donne del nostro tempo che diviene necessario fare i conti con i limiti che la storia, la natura e la vita ci impongono, ma anche con la prometeica volontà umana di superare ogni limite e di lasciar scatenare un desiderio e una volontà illimitati.
Bodei mette mano con la consueta ricchezza di riferimenti e di connessioni, a questa materia e fa emergere la complessità dei fenomeni che noi tutti abbiamo sotto gli occhi: l'abolizione del limiti generazionali che un tempo distinguevano e identificavano per ruoli e responsabilità giovani, adulti ed anziani e oggi si confondono nel giovanilismo estremo, nella mancanza di riti di passaggio, nella faticosa rincorsa ad un corpo eternamente bello e giovane, ecc.; la rottura del limite tra pubblico e privato, con una biopolitica che entra massicciamente nella vita privata e un privato che viene spettacolarizzato ossessivamente; l'indebolimento dei limiti territoriali e nazionali, resi privi di senso da vaste correnti migratorie, ma anche da una nuova concezione del lavoro flessibile, e delocalizzato; una generale perdita di senso della misura, rispetto alla dissipazione delle risorse, o rispetto alla devastazione del territorio e dei beni naturali e artistici che ci circondano; in generale tutte le pulsioni autodistruttive, che l'atteggiamento predatorio e dissipatorio dell'uomo sta attuando sistematicamente, e che la storia dell'ultimo secolo ci ha mostrato impietosamente - si pensi solo ad Auschwitz o a Hiroshima.
Bodei rifiuta tanto l'esaltazione della trasgressione dei limiti quanto la loro silenziosa accettazione. La morte di Dio ci ha lasciato nella mancanza di punti di riferimento fissi e sottratti a valutazione. Tuttavia limiti da rispettare ne esistono ancora, e l'uomo ha bisogno comunque di una morale anche se provvisoria. Non esiste, infatti, uno spazio di valori e verità morali omogeneo e stabile "ma uno spazio complesso caratterizzato da una pluralità di valori specifici a rete, entro i quali muoversi 'sinapticamente' per collegarli a contesti più ampi".
Biosogna saper scegliere i rischi della libertà rispetto ai vantaggi della sicurezza, ma sopratutto, cogliendo l'antico suggerimento di Marco Aurelio, non bisogna attendere la realizzazione della città perfetta, meglio
puntare a un po' di miglioramento, anche minimo, ma subito.

Remo Bodei
Limite
Bologna, Il Mulino, 2016
p. 124, € 12,00

lunedì 19 dicembre 2016

Felicità reale?

Ci sono libri dei quali non condividi praticamente nulla, eppure sono libri bellissimi che vale sicuramente la pena leggere con attenzione, proprio perchè ci costringono a pensare, e ci insegnano a farlo. E' sicuramente così per questo "Metafisica della felicità reale" di Alain Badiou, uno degli ultimi maître à penser francesi, approdato dalla militanza nell'estrema sinistra maoista alla prospettiva filosofica di una riedizione del "sistema", che attraverso un percorso abbastanza contorto riabilita insieme il platonismo, la dialettica, la soggettività, la verità.  Al di là di questo però, Badiou coglie molto bene l'esigenza di dare vita ad una noziione di felicità che non sia la pedissequa riedizione delle modeste soddisfazioni quotiodiane del piccolo borghese e della sua bella famigliola sazia e soddisfatta, ma sia piuttosto un sentimento di dilatazione dell'individuo che può realizzarsi solo dall'evento di una rivolta logica rispetto alle opinioni prefissate, ed insieme da una esigenza di giustizia rispetto alle miserie del mondo e della vita umana. Ma, nota giustamente Badiou, la nostra società si presenta invece come il mondo migliore piossibile e dunque ben poco migliorabile, ed è dominato dal vuoto della comunicazione spettacolo, da un concetto di universalità ridotta alla dimensione del denaro e delle merci, da una rigida  e sterile specializzazione dei saperi e da una ossessione per la sicurezza personale, per cui nessuno davvero si sente pronto ad affrontare il rischio dell'evento che rompe il quadro, dell'azione che spacca la banalità e quotidianità, nessuno se la sente più di lasciare la propria esistenza al caso, l’intero assetto vitale è programmato e pianificato (studi, educazione, lavoro, sicurezza personale ecc.). 
La stessa filosofia nelle sue tre grandi correnti contemporanee, quella ermeneutica, quella analitica, quella post moderna, appaiono a Badiou del tutto inadeguate ad affrontare quello che gli appare come il problema centrale dell'uomo cioè il suo rapporto con la verità.
Ma la mutabilità della comunicazione spettacolo e l’universalità delle merci e della moneta si possono interrompere secondo Badiou solo a partire da un punto fermo incondizionato, un’idea strategica e quindi da una VERITA’. Ciò esige sistema, esige un superamento della frammentarietà del discorso filosofico, cioè una filosofia della singolarità, della decisione e della scommessa (e dunque un ritorno al soggetto).
Che proprio questo sia il presuspposto dell "felicità reale" è la tesi dell'autore, una tesi complessa e argomentata con profondità, ma inesorabilmente fondata su un presupposto franoso, perchè ciò che Badiou chiama “verità” è, esplicitamente, quel che Deleuze chiama “senso”, ma in altre filosofia si sarebbe chiamato bene, spirito, noumeno, e prima ancora Dio, e  di ciò conserva intera la volatilità, l'ineffabilità, l'inconsistenza.

ALAIN BADIOU
Metafisica della felicità reale
Roma,
Derive Approdi, 2015
  

giovedì 15 dicembre 2016

Filosofia dell'esistenza, vecchia e nuova.

Diciamolo subito: non si tratta nè di una raccolta di aneddoti, nè di un saggio teorico. Direi piuttosto un quadro, la descrizione di un'intera epoca culturale, dagli anni Trenta in poi, il racconto di una serie di personalità di grande valore, ma anche la ricostruzione di alcuni eventi storici decisivi nel XX secolo e la scansione di fenomeni culturali travolgenti allora, ma importanti ancor oggi. Insomma, Sarah Bakewell riesce nel difficile intento di ricostruire i grandi dibattiti del '900, dalla scopertta della fenomenologia, alla svolta heideggeriana, alle questioni relative ai rapporti con il comunismo sovietitco, con i fermenti post coloniali, e con la stagione delle rivolte e dei diritti.
Senza mai annoiare o diventare pedante, l'autrice ricostruisce caratteri, riassume testi, segue vicende biografiche con grande competenza, servendosi di una ricchissima bibliografia, e riuscendo nella diffficile impresa di essere chiara senza scadere nel superficiale.
Ciò che ne esce non è nè un quadro agiografico nè una anacronistica demolizione, è piuttosto la complessità di una straordinaria stagione culturale, dominata da personalità di primissimo livello, Sartre, De Beauvoir, Camus, Merleau-Ponty, ma anche Vian, Genet, Jaspers, Lévinas, Marcel, Lanzamann, Murdoch, Nizan, Patocka, Wright e innumerevoli altri, tutti coinvolti nel gioco della filosofia e dell'arte che provano a rimettere in questione l'esistenza stessa liberandosi della zavorra della tradizione e tentando di scrollarsi di dosso le incrostazioni di un mondo che stava finendo e che attraverso i disastri della guerra, della rivoluzione, delle lotte perr l'emancipazione, comincivava a sperimentare, ora timidamente ora grosssolanamente, i nuovi abiti di un mondo che allora si affacciava e che ora è il nostro.
Di sicuro alla fine della lettura di questo libro restra la consapevolezza che quelle esperienze stanno alle nostre spalle, non solo perchè noi le abbiamo superate, ma anche perchè è in esse che troviamo la radice, il fondamento, l'impulso del nostro stesso modo di approcciarci alla realtà, senza più Autorità, nè Obbedienze, senza Verità Assolute, ma ansiosi di fare luce sulla nostra vita nella convinzione che essa possa essere migli
ore. Per tutti.

Sarah Bekewell
Al caffé degi esistenzialisti. Libertà, Essere e cocktail
Fazi Editore 2016
€20,00