A cura di Stefano Zampieri - Consulente Filosofico

lunedì 30 maggio 2016

Limite e opportunità

Il terreno costitutivo dell'abitare è la quotidianità, il tempo del presente, del paesaggio, della ritualità, della ripetizione, dell'uso reiterato degli stessi strumenti... L'abitare è la forma stessa dell'esistenza sul terreno della quotidianità, ed è proprio su questo piano che l'antropologia si erge di fronte alla filosofia come suo limite e insieme come sua grande opportunità, come elemento di riscontro per ogni trascendenza e come obiettivo palese od occulto di ogni astrazione.
Nn c'è filosofo praticante che non tenga ben fermo questo confine e questo punto di riferimento.

giovedì 26 maggio 2016

Servono gli esempi

Non c'è una definizione di Filosofo Praticante, perché non si tratta di un concetto ma di una condizione esistenziale. Essere un Filosofo Praticante, dunque, significa molte cose: significa per esempio agire in modo riflessivo piuttosto che in modo irriflesso, significa mettere in questione atti, decisioni, ragioni sottraendole all'indifferenza e al luogo comune, ecc. non c'è dunque una definizione c'è piuttosto una descrizione di comportamenti.
Posso riconoscere un Filosofo Praticante, prima di tutto, da come fa quello che fa, molto più che da quello che dice o dall'esito finale della sua azione. Non ho bisogno di definizioni astratte allora per comprendere cosa possa essere un Filosofo Praticante, ho bisogno piuttosto di esempi.
Ma sono sempre un Filosofo Praticante? In linea di principio il Filosofo Praticante è sempre tale, in ogni momento della sua vita proprio perché si tratta non di applicare un qualche valore supremo, ma piuttosto di una attitudine, un modo di fare ciò che si fa, che si tratti di azioni alte - esercitare il diritto di voto - o di azioni basse - lavarsi i denti, il Filosofo Praticante in entrambi i casi esercita il dovere di conoscere e mettere in questione,  valuta conseguenze e responsabilità, si pone il problema del modello di vita individuale e collettivo che la sua scelta, la sua azione, determinano, il Filosofo Praticante è anche colui che cerca di maturare un progetto di mondo in cui vivere.

mercoledì 18 maggio 2016

Nomina sunt omina: il Filosofo Praticante

Spesso nel nome di una cosa è contenuto il suo destino. A maggior ragione quando si tratta di una pratica nuova che non ha precedenti immediati. Ora, senza rifare tutta la storia del Nome che ci troviamo incollato addosso, forse vale semplicemente la pena di immaginarne uno nel quale sia più facile riconoscersi, almeno per me. E in questo senso il suggerimento viene da una accezione straniera, gli americani infatti usano spesso l'espressione "philosophical practitioners", da qui mi è apparso il nome con il quale vorrei indicare me stesso, il mio lavoro, e magari quello degli altri: Filosofo Praticante.
Ma chi è il Filosofo praticante? E' colui che pratica attivamente la filosofia così come un "praticante" è colui che aderisce a una religione facendone un motivo di ispirazione quotidiana della propria esistenza. Sono consapevole del sapore "confessionale" dell'espressione, l'ho messo subito in evidenza io stesso. Ma è chiaro che non intendo con questo suggerire una equazione assurda, la filosofia non è una religione, né i filosofi appartengono ad una setta. Ma il Filosofo Praticante è qualcuno che vive la filosofia nella sua vita quotidiana, nel senso che cerca di vivere filosoficamente, ovvero di agire utilizzando gli strumenti e la saggezza della filosofia. Non è un filosofo che si limiti a studiare e a insegnare la filosofia, magari fa anche questo - non necessariamente - ma prima di tutto fa tutto ciò che costituisce la sua esistenza in base alla attitudine filosofica, ed in base ai propri valori: quelli che la sua ricerca filosofica ha elaborato, e su cui costruisce la propria quotidianità.
Praticante è colui che sta nella dimensione della filosofia come il pesce sta nell'acqua e l'uccello in aria.

martedì 10 maggio 2016

Momenti filosofici

"Il momento filosofico è, come quello musicale, una vibrazione che accorda tutto ciò che tocca. Nel pensiero vero viene pensato qualcosa di pericoloso." (P. Sloterdijk)

giovedì 28 aprile 2016

Non parte di una parte, ma testimone

Io sono il testimone delle mie idee. Non sono parte di una parte, non sono né -ista né -iano, non potrei esserlo, non per un semplice rifiuto istintivo dell'esser servile, ma prima ancora per una impossibilità materiale: non posso essere testimone di una testimonianza altrui. Non avrebbe senso.
Ma faccio tesoro di ogni testimonianza, da quelle più antiche a quelle più recenti, anche se è con queste che mi sento più affine. E propongo la mia, che magari non vale molto, ma qualcosa più di nulla, per il semplice motivo che essa è qui, aperta alla luce della scena, sottoposta all'attenzione degli altri.
Essere parte di una parte è il tipico atteggiamento della filosofia come disciplina accademica. La pratica filosofica nasce fuori dell'Accademia, e se pure un giorno dovese entrarci, non potrebbe comunque essere parte di una parte, perché questo è proprio ciò che non le appartiene.
La pratica filosofica è TESTIMONIANZA: sono appunto il testimone delle mie idee, e le testimonianze si espongono, si inseguono, si confrontano, si osservano, si studiano. La tua testimonianza potrebbe rendere più ricca e più vera la mia. Insieme, ognuna dalla propria prospettiva, possiamo testimoniare che la filosofia c'è, è qui, nella nostra vita quotidiana.

domenica 24 aprile 2016

Lento quotidiano

Un quotidiano dis-alienato non può che essere uno spazio della lentezza.
Rallentare è la prima forma di resistenza al precipitare frenetico della contemporaneità.
Un quotidiano che si ritrova, che si ripensa filosoficamente, è uno spazio di cammino, un camminare a piedi magari, uno spazio di osservazione del mondo, dei suoi particolari, delle sue suggestioni, di percezione dei suoi profumi. E' uno spazio di tempi catturati e dilatati, è lo spazio del prendersi tempo, perché l'obiettivo non è imminente, né in scadenza, ma è nell'altezza della scoperta di ciò che vale. Scoprire ciò che vale nella nostra esistenza richiede pazienza. La lentezza è matrice della pazienza e della speranza, dell'immaginazione e della creazione.
Tutto il resto è operazione, produzione di rifiuti e di scarti, accumulo di energie, dissipazione di energie, combattimento di efficienze, di competenze, di efficacie. La lentezza è spazio lungo, lungo percorso, laboratorio artigianale del pensiero.

mercoledì 13 aprile 2016

Non poter fare, non sapere...

" La più recente ondata di consulenze parte dal corretto presupposto che gli agenti, che non possono fare più di tanto, possano essere supportati al meglio da consulenti che sanno di non sapere più di tanto. Da allora Socrate è ritornato tra noi."
(Peter Sloterdijk)

venerdì 8 aprile 2016

La filosofia nel quotidiano

La pratica filosofica è filosofia nella vita quotidiana, ove è decisiva la preposizione, che è chiaramente altro da ogni genitivo. Indica infatti l'essere dentro, profondamente implicata, piuttosto che fuori con l'intento di descrivere o comprendere un oggetto esterno. Intendiamoci, nella pratica filosofica è necessario anche l'atteggiamento conoscitivo, essa cioè spesso agisce come se fosse uno sguardo esterno che indaga un determinato oggetto, il quotidiano, tuttavia, lo fa sapendo di essere dentro quell'oggetto stesso. La pratica filosofica è nella vita quotidiana anche quando si interroga sulla vita quotidiana, anche quando la descrive e la mette in questione. La pratica filosofica, non può non essere consapevole del suo stato di implicazione.
E, d'altra parte, il quotidiano, non è affatto un oggetto, ma è una condizione, un modo d'essere dell'uomo in un determinato spazio-tempo.  E dunque non può essere circoscritto e delimitato come un oggetto, ma deve essere invece percorso, attraversato, vissuto.

giovedì 24 marzo 2016

Una Associazione di Filosofi ricercatori?

Di fronte al modello della Associazione come Regolatore Burocratico, ovvero esecutore di norme etero imposte o autoimposte; di fronte al modello della associazione come Contenitore Identitario, costume d'appartenenza, maschera collettiva atta a riempire un vuoto d'identità; di fronte a questi due modelli, che sono i più diffusi e i più condivisi nella articolazione sociale del nostro paese, io credo che la Rivoluzione Copernicana che si sta auspicando in questi post non possa non determinare anche una radicale revisione del modo di intendere e di vivere il momento associativo.
Probabilmente, il modello di Associazione che più e meglio si adatta alla fisionomia del Filosofo Pratico come sto cercando di disegnarla, è quella di una messa-in-relazione tra singoli plurali, che rispettano la loro diversità perché apprezzano ogni singolarità.
Solo dopo aver fatto quel passo indietro di cui ho parlato in altro post, è possibile riscoprire la singolarità plurale di ognuno, ovvero quelle originalità di cammino che non si annullano reciprocamente, ma che si sommano, si intrecciano, si arricchiscono dalla reciproca vicinanza.
Ciò che ne deriverebbe sarebbe una Associazione di filosofi ricercatori che mettono insieme il frutto del loro lavoro, non per confutarsi reciprocamente, ma per progredire collettivamente, perché la verità non è Una, ma è sempre Un Complesso che si produce.

giovedì 17 marzo 2016

Una Rivoluzione Copernicana.

Forse, oggi, è giunto il momento per una vera e propria Rivoluzione Copernicana nel mondo delle pratiche filosofiche. E' un'operazione che si rende necessaria a fronte di tutto ciò che sto dicendo in questa pubblica e aperta riflessione, partita da una messa in questione del "professionismo", e passata attraverso un rigetto del dualismo psicologistico, per approdare ad alcuni temi ancora molto rozzamente delineati, quello della complessità e quello della quotidianità del mondo-della-vita.
Tutto questo insieme tematico necessita appunto, a mio modo di vedere, di un rovesciamento di prospettiva, rispetto al modo in cui fino ad oggi è stata vissuta - per lo più - la pratica filosofica e in particolare la Consulenza Filosofica: dall'essere una pratica rivolta ad altri, e quindi presentabile come una pratica-di-cura, ad una pratica per me, cioè intesa come il percorso che mi consente di ritornare filosoficamente al mondo-della-vita.
Questa vera e propria Rivoluzione Copernicana, naturalmente, avrebbe molte conseguenze rilevanti. Ne elenco confusamente alcune: l'abbandono del modello professionale della cura, del servizio offerto a; l'allontanamento da ogni forma di relazione d'aiuto; la focalizzazione sul proprio percorso personale - di singoli, singolare plurale - ; l'approfondimento dei temi relativi al nostro essere nel mondo-della-vita, oppure con altre parole, della vita filosofica.

domenica 13 marzo 2016

E poi il quotidiano...

Certamente chi è transitato seriamente nella Consulenza Filosofica ha scoperto l'esistenza di uno spazio che in realtà già conosceva, che era già lì ma ignorato, e spesso filosoficamente frainteso. Entrare nel mondo-della-vita come si entra in uno spazio nuovo  che in fondo è la nostra casa, ma come se non l'avessimo mai vista davvero, mai sentita come nostra. Prima di ogni definizione scientifica, prima di ogni idealizzazione, vi sé questo rapporto immediato con le cose, con i propri desideri e credenze, con i fatti, con i sentimenti, con i rapporti, con i poteri, con i conflitti... E' un mondo quotidiano ove molto di ciò che accade non è d'un soggetto ma è di una neutralità plurale che quella del si dice, si fa, si ritiene, ...
Quotidianità senza soggetto e senza oggetto, perché ivi il mondo è un sistema di possibilità, di ostacoli, di pertinenze, di alterità, di contatti, di commerci, di scambi...
Quotidianità spesso senza logica, perché già la logica costituisce un processo di idealizzazione, una sostruzione (costruzione su) come direbbe Husserl. Il quotidiano, lo sappiamo bene, spesso è incoerente, ambivalente, ambiguo, soggetto al malinteso e all'errore. Ma è proprio questo il nostro quotidiano, è questo il mondo-della-vita con cui ci dobbiamo confrontare.
Ecco, forse lo stare nella Consulenza Filosofica ci ha dato l'opportunità di fare esperienza di questo spazio vissuto, che ci appartiene, anche quando non lo sappiamo. E' in questo spazio che bisogna saper penetrare. Anche qui c'è un intero mondo da ri-scoprire.

sabato 12 marzo 2016

La complessità innanzi tutto ...

Chi in questi anni ha fatto seriamente Consulenza Filosofica, di sicuro ha imparato fra le altre cose la complessità dell'essere umano. Soprattutto se ha provato a comprenderlo al di fuori di ogni dualismo, e quindi si è addentrato nel caos dell'esistenza vissuta, delle pratiche, delle azioni, dei gesti, delle scelte, delle ragioni, dei valori... cioè in quel magma che compone la nostra quotidianità pensata.
Chi ha gettato uno sguardo in questo mondo ha visto l'insufficienza di ogni approccio uni-dimensionale, cioè di ogni approccio che trovi le proprie ragioni solo sullo scarto preventivo di una parte della nostra umanità.
Si tratti, da un lato dell'approccio psicologistico che si preclude la possibilità di comprendere il gesto reale - corpo intelligente dell'uomo. Si tratti, dall'altra parte, di ogni approccio ideologico, che misura l'uomo in base ai movimenti macchinici di corpi collettivi, senza soggetti reali, senza singolarità, onde in una storia metafisica.
Al di là di questi filtri settoriali, di queste amputazioni di umanità, fare prova della complessità, significa appunto lavorare sulla nostra capacità di essere senso-al-mondo, non senso-del-mondo, né senso-nel-mondo. Dove l'at congiuntivo non è una produzione ma una ap-propriazione dello spazio mondo.