A cura di Stefano Zampieri - Consulente Filosofico

mercoledì 20 dicembre 2017

La realtà diminuita

Facile condividere l'obiettivo che Roberto Del Monte indica come prioritario, ovvero "scardinare la torre d'avorio nella quale il pernsiero filosofico si è arroccato". E' proprio ciò cui lavora la Filosofia nel Quotidiano che qui si propone. E interessante, in questa direzione è il lavoro di ricerca che egli propone in questo bel libretto. Del Monte prova a leggere criticamente il presente nel quale viviamo, individuando i pericoli cui ci espone un rapporto con la tecnica mai abbastabnza messo in questione, mai abbastanza pensato. Egli si serve di una metafora forse approssimativa ma molto agevole, quella della "diminuzione" che va a verificare in molti ambiti diversi  a partire da quello dello spazio vissuto che si riduce continuamente a dispetto dello svilupparsi abnorme delle nostre città, ma anche della dimensione del tempo, che ci sfugge in una accelerazione inesorabile, oppure in quella della materia ove percepiamo la riduzione della cosa - vissuta, partecipata, pensata, desiderata, lavorata - a oggetto muto e insignificante se non addirittura virtuale; e poi ancora nella dimensione dello spirito ridotto ad una virtualità effimera, appunto, che cancella la corporeità senza conservare l'umanità; e quello del linguaggio che si impoverisce a fronte della massa sempre più grande di conversazioni a distanza, apparentemente significative, in realtà sempre più vuote; e poi ancora nella dimensione del simbolo, della fantasia e dell'immagine,  sempre più incapaci di allargare la realtà e ridotti a puri e semplici segnali di una mondo dominato da rapporti economici. E infine la diminuzione della realtà si nota nel campo umano dell'esperienza e dei sentimenti, a testimoniare il sospetto che si stia vivendo collettivamente, "un momento storico di transizione verso la dissoluzione". La conclusione non può essere consolatoria, ma è e deve essere capace di guardare lucidamente ad una realtà presente destinata sempre più a ridursi e consumarsi e a precipitare in un futuro che presume di poter fare a meno dell'uomo. 

Roberto Del Monte
La realtà diminuita. Fenomenologia di un mondo in riduzione
Bologna, Diogene Multimedia, 2016
pp. 87   €5,00

lunedì 18 dicembre 2017

I confini del quotidiano

17 Dicembre 2017: Nuovo incontro evento di LINK, questa volta a Roma. Hanno condotto i percorsi di ricerca Stefano Zampieri e Laura Capogna. Titolo: I CONFINI DEL QUOTIDIANO
Qualche immagine:
https://www.youtube.com/watch?v=XpQ0xeQBZ2Y&feature=youtu.be

mercoledì 6 dicembre 2017

Filosofia dello spazio quotidiano

Finalmente, dopo molta attesa, è uscito il mio nuovo lavoro.



Da domani 7 dicembre nelle librerie


giovedì 30 novembre 2017

"Bufale" o saggezza?

Il tema delle fake news, o delle "bufale" è improvvisamente salito alla ribalta del dibattito politico. In realtà sono anni che se ne parla e sono anni che l'opinione pubblica è coinvolta - e travolta - da ondate di chiacchiere inconsistenti e di "verità della rete" capaci di muovere sentimenti, di creare identità, di costituire movimenti d'opinione. Ora, i più accorti si erano resi conto da tempo delle conseguenze nefaste di questo sistema dis-informativo di massa. C'è chi in buona fede ha pensato che la rete potesse costituire una forma di contro-informazione - e quindi anche di contropotere - rispetto ad una certa omologazione dei sistemi informativi nel nostro paese, ora certo, la rete ha in sè un presupposto di "libertà" che è anche il presupposto della buona informazione, ma non contiene affatto il presupposto dell'attendibilità, e questo trasforma profondamente lo strumento: dove chiunque può scrivere qualsiasi senza alcun filtro di affidabilità, di veracità, di competenza, cosa si ottiene? Solo una parodia della democrazia, e si esalta invece il vociare scomposto, l'urlo più efficace, la pernacchia più sonora. 

Per sua natura la rete non può sostenere alcuna forma credibile di verità e di sincerità, foto contraffatte, discorsi fantasiosi, notizie farlocche, battute mai dette o enfatizzate ad arte, tutto un insieme di falsità, mezze verità, mezze omissioni, fantasie e bizzarrie una volta immesse nel circuito si diffondono come virus senza che sia mai possibile smentire, rivedere, rispondere, precisare. Questo in buona parte è il sistema dell'informazione in rete. Da questo punto di vista il web è davvero una macchina infernale, ma lo è molto di più se chi lo frequenta crede che solo in esso si trovino  "le verità che gli altri non vogliono dirvi".  
Così chi voleva - ed era un obiettivo altissimo - garantire la democrazia dell'informazione ha contribuito piuttosto a dissolvere la consistenza stessa della sua credibilità. Ha vinto un atteggiamento pre-scientifico che ci ha fatto arretrare di secoli, ad un'epoca preilluminista, nella quale pregiudizi, magie, superstizioni, hanno lo stessa credibilità dei fatti accertati e delle conclusioni scientifiche. 
Dubito che ora il mondo politico sia davvero interessato a risolvere questo problema, più probabile che lo si sfrutti per operare una qualche stretta censoria che protegga il ceto politico dal contatto con il mondo reale delle persone. Perchè affrontare davvero la questione delle "bufale" vorrebbe dire affrontare il problema ben più grande della credibilità di chi parla pubblicamente - politici o giornalisti, o opinionisti - della incapacità critica di chi legge o ascolta, della rinuncia alla valutazione dei fatti e delle ragioni, quindi della rinuncia al pensiero, e della incapacità di distinguere l'affidabilità delle persone, cioè in definitiva il problema della incapacità di riconoscere le competenze reali, e persino la superiore saggezza. 

lunedì 6 novembre 2017

Ritorna Maurice Blanchot

E' singolare il destino dell'opera di Maurice Blanchot, che qui in Italia ha avuto una fase di successo editoriale e culturale negli anni '80 per poi spegnersi incomprensibilmente negli anni successivi. Molti testi soprattutto fra quelli narrativi attendono ancora di essere tradotti, altri sono ormai fuori catalogo e introvabili. Eppure Blanchot è stato per decenni - la sua carriera è stata particolarmente longeva, nato nel 1907, attivo già negli anni '30 e poi per tutta la vita punto di riferimento intellettuale in Francia, è morto nel 2003 - un faro, sia nella dimensione della critica letteraria sia in generale in quella della riflessione di confine tra filosofia, linguaggio e letteratura. Ispiratore per alcuni, maestro segreto per altri, è certamente presente nell'opera di autori come Bataille, Lévinas, Derrida e molti altri.
Ma poi è successo qualcosa, e negli ultimi vent'anni del suo vasto e straordinario lavoro si sono come perse le tracce. Perchè? Non certo per un difetto di profondità o di articolazione del suo pensiero, forse perchè nel frattempo è profondamente mutato il mondo intellettuale europeo. Questo è davvero il problema. Blanchot appartiene di diritto ad un mondo in cui il dibattito culturale avveniva sulle riviste, i libri erano eventi dei quali era necessario parlare, e lo sviluppo del dialogo tra persone colte si articolava al di là delle barriere nazionali, e delle limitazioni accademiche. Tutto questo mondo è finito, è morto, non esiste più. Le riviste di dibattito sono scomparse, sostituite da riviste di settore, buone per fare titolo accademico, insignificanti da un punto di vista dello scambio e del confronto di idee. I ricercatori, i critici, i filosofi sono sempre più rinchiusi nelle accademie troppo impegnati a costruire carriere faticosissime- tra concorsi, titoli, abilitazioni - per gettare il cuore oltre l'ostacolo e impegnare la propria esistenza per valori che non interessano più a nessuno. In generale il ruolo del libro è profondamente mutato, Blanchot in tutta la sua vita ha pubblicato centinaia di letture di libri - chiamarle recensioni sarebbe riduttivo -  che messe insieme rappresentano un'epoca culturale, un percorso dentro il Novecento letterario e filosofico, oggi i libri di cui vale la pena parlare sono quelli che vendono. E' il mercato che decide il valore di un libro. Il resto scompare o non esiste.
Ecco perchè figure come quella di Blanchot sono sparite, e il suo stesso insegnamente appare singolarmente anacronistico, fuori tempo.
Ciò non toglie però che esso sia lì, a disposizione di chi ancora ha il coraggio per pensare e per interrogarsi, senza limitazioni e senza vincoli esteriori, ci aiuta ora questo uno splendido numero della rivista Riga (numero 37 del 2017, a cura di Giuseppe Zuccarino, edito da marco y marcos), che ripropone una buona dose di testi inediti per l'Italia, anche fra quelli narrativi, e una rassegna di letture critiche (fra le quali Char, Jàbes, Lévinas, Klossowski, Starobinski, Laporte, Derrida, Nancy, Bident, Didi-Hubermann) che da sole dovrebbero dare la misura della grandezza e della ricchezza ancora ampiamente inesplorata dell'opera di Blanchot.
Per quanto mi riguarda non ho potuto fare a meno di pensare alla mia lontana tesi di laurea (1985) dedicata appunto all'opera di Blanchot e a quanto io abbia sentito come mio Maestro quest'autore che non ho mai potuto incontrare di persona, ma con il quale mi sono sempre sentito parte di quella comunità inconfessabile che egli ci ha insegnato a pensare.

giovedì 26 ottobre 2017

mercoledì 18 ottobre 2017

Libro in omaggio

In attesa dell'ormai imminente pubblicazione del mio saggio sulla Filosofia dello spazio quotidiano, vorrei offrire a tutti gli amici e lettori un mio libretto di foto e di pensieri sullo stesso tema: L'esercizio dello spazio. Riflessioni  e immagini sullo spazio.
Potete scaricarlo gratuitamente a questo indirizzo:
 Buona lettura !

lunedì 25 settembre 2017

L'articolo su Repubblica e il professionismo

Il bell'articolo di Repubblica sulla Consulenza filosofica, finalmente offre una ricostruzione trasparente e non ipocrita della situazione da parte di una persona competente. La mia sensazione è che continuiamo a sbattere la testa contro una contraddizione che non è risolvibile, e che per altro lo stesso articolo suggeriva nel finale. C'è poco da fare, se si vuol fare della filosofia una professione bisogna accettare le regole della professionalità. Non averlo fatto, cercando soluzioni di compromesso, aggirando gli ostacoli, inventandosi definizioni insostenibili, ecc. è una dei motivi per cui la professione "non è decollata". Proporre un'attività come professionale impone certe scelte, (regole? dogmatismi?) non si può continuare a fare una battaglia per rifiutare concetti come l'aiuto, la cura, il rapporto con il cliente, la questione dell'efficacia e della sua misurazione, non si può presentarsi sul mercato senza una provenienza comune (cioè una filosofia della consulenza, un'antropologia, un'idea dell'uomo ecc.) identificabile, un metodo di lavoro riconoscibile, strumenti e protocolli condivisi. O si accetta questa impostazione o non si fa professionismo. La storia di questi 15 anni lo ha testimoniato in modo inequivocabile. Personalmente non intendo accettarli e infatti mi oriento oggi con molta soddisfazione verso la realizzazione di pratiche filosofiche CON gli altri non PER gli altri, nella creazione di spazi di pensiero e nel lavoro di ricerca intorno a una filosofia nel quotidiano (ciò che nella mia visione dovrebbe essere una filosofia della consulenza filosofica). E non ho nulla da replicare a chi decidesse infine di farsi carico veramente del "professionismo" in questo senso. Purchè sia cosciente che la contraddizione in questo caso non può esser aggirata, ma deve essere affrontata scegliendo una via o l'altra. O il professionismo con le sue regole, oppure la pratiche filosofiche fuori della sfera professionale.

mercoledì 2 agosto 2017

giovedì 6 aprile 2017

La speranza forse, l'ottimismo no

Il senso del libro è racchiuso nel sottotitolo più che nel titolo: Speranza. (Senza ottimismo), ed infatti il testo sembra molòto più preocdcupato di smentirte le ideologie dell'ottimismo, quelle che immaginano un futuro in qualche modo già previsto, quelle che si adeguano a una formula di progresso inesorabile, si tratti del marxismo, del capitalismo, o delle religioni. In realtà la storia stessa ha ben dimostrato che il mondo può arretrare, può ricadere nel buio della sventura, della miseria, della sofferenza, nessuna ideologia può garanbtirci per il futuro, sia che parli di benessere o del sole dell'avvenire. Anzi, un lucido pessimismo resta l'atteggiamento più di buon senso, e più consono, soprattutto in questo momento storico. Ma è proprio qui, allora che ha senso recuperare l'antico sentimento della speranza. Che tuttavia va ben distinto sia dal desiderio che dalla fede, perchè si fonda su basi più razionali, perchè essa impone un prendersi cura del futuro possibile, e quindi una attitudine rispetto al presente stesso. "Sperare - scrive Eagleton - significa proiettarsi immaginativamente in un futuro che si coglie come possibile e dunque, in qualche vago senso, già presente, non semplicemente struggersi nelle grinfie di un appetito".
La speranza è dunque anche un disporsi opposto alla disperazione che non vede più nessuna possibilità.
Il libro di Eagleton, pur scritto per un pubblico vario, è denso e ricco, a tratti impegnativo, ma mai banale. Il capitolo dedicato al filosofo della speranza Ernst Bloch è sicuramente una delle letture più interessanti e più acute intorno a questo magmatico pensatore. Nel complesso, una lettura utile, per chi voglia ripensare nel profondo il prioprio atteggiamento verso la vita che ci aspetta, come singoli e come collettività.

TERRY EAGLETON
Speranza. (Senza ottimismo)
Milano, Ponte alle Grazie, 2017
pp. 171  €16,50

giovedì 30 marzo 2017

Le molte verità della verità

Nei limiti di una conferenza raccolta poi in un libro Piergiorgio Odifreddi prova a sintetizzare la nozione chiave della filosofia, cioè quella di Verità. E individua almeno tre vesioni principali di essa, implicitamente superando il modello metafisico della verità unica, e al contempo distanziandosi dalle dubbie etimologie heideggeriane. Odifreddi, dunque, indica l'aletheia intesa letteralmente come il non-dimenticabile, per esempio la verità matematica, che si può verificare solo dentro la propria testa; l'apokalypsis,cioè il disvelamento operato dalla scienza che solleva i veli della realtà esterna; e la veritas latina, cioè la verità stabilita da qualcuno autorizzato a fissarla, il giudice, il profeta. Qui si collocano la verità di fede e la verità del diritto.
Mentre la verità storica si colloca ad un gradino ancora più basso perchè, proiettandosi all'indietro diviene sempre più difficile da verificare.
Odifreddi coglie bene, a suo modo, l'articolazione non metafisica della verità, anche se, a mio modo di vedere, non si avvede dell'importanza di un'altra apparizione della verità, quella che la colloca sul piano morale, cioè delle scelte individuali di vita. La verità dei valori di cui ci nutriamo nel corso di tutta la nostra esistenza, che ne siamo consapevoli o meno, e che l'esperienza ci ha insegnato a pensare come verità locale, ossimoro che tiene insieme la normatività di una verità abbastanza forte da illuminare e guidare le nostre scelte, e la relatività spazio-temporale che ne fa comunque un valore non definitivo, ma rivedibile in funzione, appunto delle mutate condizioni di contesto o delle mutazioni del soggetto stesso nella sua naturale evoluzione.

Piegiorgio Odifreddi
Che cos'è la verità
Roma, Castelvecchi, 2016
pp. 45 € 5,00

sabato 25 marzo 2017

La cultura dell'indifferenza

E' uscito solo nel 2016 in Italia questo testo del 2011, ma ora che Bauman è scomparso pare quasi un testamento intellettuale. Il tema è quello della cultura di cui si ricostruisce la storia a partire dal XVIII secolo, quando essa era strumento di emancipazione, e serviva a pilotare l'evoluzione sociale verso una condizione umana universale. Educare, elevare, nobilitare erano i compiti che essa si riconosceva. Coi secoli la cultura è diventata, come ha fatto notare Bourdieu, fattore di distinzione cioè principio di stratificazione sociale, di divisione di classe. 
Nella società liquida attuale invece la cultura diviene piuttosto funzionale al mercato dei consumatori, fondamento di quella scelta inesauribile, nella quale deve consistere la vita dell'uomo consumatore.  "Nella modernità liquida - precisa Bauman - la cultura non ha un 'volgo' da illuminare ed elevare; ha, invece, clienti da sedurre". Per esempio creando nuovi bisogni o impedendo che prenda piede il sentimento di soddisfazione che metterebbe fine alla condizione del consumo illimitato.
Lo si vede benissimo ad esempio nel campo della moda. Ma lo si può comprendere anche se osserviamo le novità imposte dal nostro tempo a seguito della nuova fase migratoria che la caratterizza,e quindi la trasformazione della cultura in multiculturalismo, che potremmo definire come il rispetto per una incondizionata libertà di scelta tra le varie offerte culturali, ma che al contempo, ed è il suo limite insuperabile, comporta di fatto un arresto o un impedimento di ogni forma di reciproco riconoscimento, e lascia i gruppi umani isolati gli uni dagli altri, La cultura in questo modo ha rinunciato per sempre a dire qualcosa rispetto alla forma preferibile per la condizione umana in generale. E ha proclamato nello stesso tempo "il diritto di essere differenti" ma anche "il diritto di essere indifferenti alla differenza". Con questa contraddizione dobbiamo scontrarci già ora e ancor più dovremo farlo negli anni a venire.

Zigmunt Bauman
Per tutti i gusti. La cultura nell'età dei consumi,
Roma-Bari, Laterza, 2016
pp. 148, € 14,00

domenica 19 marzo 2017

Conoscenza critica della vita quotidiana

"Non v'è conoscenza della società (globale) senza conoscenza critica della vita quotidiana, quale essa si situa - nella sua organizzazione e nella sua privazione, nell'organizzazione della sua privazione - nel seno di questa società e della sua storia." (Henri Lefebvre)

lunedì 30 gennaio 2017

Per esempio la companionship

Il Manuale della compagnia filosofica di Ran Lahav già circolava da un po' di tempo nell'ambiente nella versione originale, ora giunge opportuna la traduzione italiana (a cura di Silvia Peronaci), che consentirà a un pubblico più vasto di addetti ai lavori di seguire il percorso di questo consulente filosofico israeliano, vero punto di rifertimento nel panorama internazionale e tra i pionieri della rinascita della pratica filosofica.
Qui Lahav espone con encomiabile chiarezza la sua proposta che è insieme un cammino di ricerca aperto e la descrizione di una esperinza in atto che coinvolge molti filosofi in tutto il mondo, a partire dal sito multilingue Agorà (https://philopractice.org/web/).
Il progetto di Lahav, dunque, è quello di andare oltre le forme del Consulenza Filosofica sperimentando altre pratiche, cioè altre modalità di messa in questione filosofica dell'esistenza. Prima fra tutte la cosiddetta companionship,  in italiano "compagnia filosofica" ovvero un gruppo ristretto di persone che si incontrano on line o di persone per un certo periodo per "contemplare" insieme a partire da un testo filosofico. Lahav dedica diverse pagine alal spiegazione del termine "contemplazione" che non va inteso superficialmente secondo modelli tradizionali ma va piuttosto pensato come una attività filosofica di ricerca interiore compiuta in vista della attivazione di un processo di trasformazione di sè.
E' questa caratteristica della filosofia che Lahav vuole evidenziare e sottolineare, la profonda capacità di trasformazione che era già dentro filosofia lontane e diverse fra loro, da Platone a Rousseau, da Emerson a Bergson, dagli Stoici a Nietzsche, perchè ciò che conta non è il sistema concettuale che si propone, ma è il Processo che si attiva. Entro il quale e attraverso il quale ognuno compie le proprie scelte e si appropria dei valori cui affidarsi.
In questo manualetto si trovano non solo i principi ispirativi di questa pratica ma anche tutte le indicazioni concrete per realizzare una companionship e al contempo anche una bella varietà di esercizi da realizzare.Ben sapendo che gli esercizi possibili sono in realtà infiniti, così come aperta resta la strada per sperimentare e proporre nuove pratiche della filosofia.

RAN LAHAV
Manuale della compagnia filosofica
Hardwick, Loyev Books, 2016
pp.64


giovedì 26 gennaio 2017

Pensare globale

Non è colpa di Edgar Morin se alcuni suoi libri sembrano avere uno speciale legame un po' misterioso con il numero sette ("I sette saperi necessari all'educazione del futuro", e ora "Sette lezioni sul pensiero globale"), perchè il titolo è opera dell'editore italiano e nell'originale suona un po' diverso ("Penser global. L'homme et son univers"), e mette piuttosto in evidenza il vero tema dell'opera ovvero quel pensiero globale di cui Morin è sicuramente uno dei massimi esponenti, ma che, nonostante la sua copiosa produzione, appare ancora difficile da digerire per il mondo intellettuale dei nostri giorni, spesso ancorato a punti di vista arcaici e anacronistici.
Certo Morin tende da qualche anno a riscrivere sempre lo stesso libro, ma bisogna  essere onesti: ce n'è davvero bisogno.
Morin infatti è fra i pochi filosofi che prova a pensare il nostro tempo a partire da quello che a mio avviso è ormai il solo punto di partenza dal quale si possa sperare di ottenere qualche illuminazione sull'attuale condizione dell'uomo. E ciò quella che egli chiama trinità bio-socio- antropologica, ovvero il fatto che l'essere umano è insieme un individuo singolare, ma anche un essere sociale e un animale legato biologicamente alla propria specie, e dunque va pensato e rappresentato sempre in una forma complessa. Da un lato come un individuo che cerca di affermare la propria singolarità attraverso le forme della libertà, della creatività, dell'arte, e dall'altro - ma è lo stesso individuo - quello che come essere sociale costruisce società sempre più articolate e complesse. E infine - ma è ancora lo stesso individuo - quello che appartiene al ciclo della vita e non può dunque sottrarsi alle sue caratteristiche e al suo destino, assecondando le dinamiche di ordine - disordine- aggregazione che caratterizzano tutte le forme viventi.
E' proprio da questo legame che l'uomo deve ricavare la propria più autentica condizione di essere intimamente legato alla natura, e quindi di individuo appartenente biologicamente, ma anche socialmente e culturalmente al pianeta.
Morin, si sa, e qui lo ribadisce, ne ricava una sorta di personale utopia che sogna per l'uomo una profonda metamorfosi, etica, culturale e sociale, necessaria per non cadere nelle trappole del disumano che le forze tecnico scientifiche ed economiche stanno da tempo preparando per l'umanità.
Temo che l'utopia come tutte le utopie sia destinata a restare tale, ma essa assolve al compito storico di indicare una via. Ed è per questo che la lettura di Morin, a mio avviso, resta imprescindibile.

Edgar Morin
7 lezioni sul pensiero globale
Milano, Cortina, 2016
pp. 114, €11,00

lunedì 16 gennaio 2017

Dio non esiste

Che un antropologo, uno scienziato sociale, uno studioso accademico come Marc Augé potesse scrivere una favola sovversiva e irriverente come questa, non può che stupire. Eppure l'esito è davvero deliziosamente felice, e ricorda il tipico conte philosophique settecentesco, sapido e intrigante, che ti obbliga a farti delle domande e a tentare delle risposte.
Lo spunto è folgorante: Papa Francesco che annuncia solennemente dall'alto della sua cattedra che Dio non esiste, sono queste le tre parole che fanno cambiare il mondo. Da esse discende tutta la narrazione, attraverso la quale Augé elabora una sorta di utopia, che configura un mondo senza tutte le religioni, o meglio che converte l'istinto religioso facendone emergere il grande segreto, e cioè il fatto di custodire quanto di migliore vi sia negli uomini, ovvero la loro piena consapevolezza della vita.
A partire da tale assunto gli uomini tornano a costruire una nuova forma di solidarietà, a partire dal sapere che la vita dopo la morte esiste, ma è quella dei vivi e non quella dei morti, e che la certezza che tutto abbia una fine è ciò che dà valore agli inizi.  Il progresso dell'umanità in questa favola pare dunque legato al superamento pacifico di tutte le istituzioni religiose, alle quali si contrappone una ripresa illuministica della ragione, ma ancor meglio una prospettiva umanista e un sogno di pacificazione universale, il sogno di una umanità rivolta al sapere, al superamento della povertà e dell'ingiustizia.
Nulla di nuovo in questo, è il sogno che in tante forme l'uomo ha sempre coltivato, il sogno del meglio di fronte alle difficoltà dell'esistenza, un sogno senza il quale ci troveremmo ancora all'età della pietra. Ne abbiamo bisogno, non possiamo farne a meno, è ciò che io chiamo saggezza.
Immagino che i credenti non troveranno molto di cui compiacersi in questo racconto, rispettoso e sereno ma tagliente, invece l'ateo che è in me nel percepire una sintonia profonda con le parole di Augé spera che esse valgano almeno a sollevare qualche ragionevole dubbio su ciò che oggi pare tornato ad essere un luogo comune diffuso e pervasivo: la nostra è infatti una società che sta tornando ad una cultura pre-illuministica e pre-scientifica, che sta rivalutando atteggiamenti che in altri tempi avremmo definito superstiziosi, che sta riabilitando il pensiero magico.
In questo quadro le religioni tornano ad essere un punto di riferimento che prende il posto delle vecchie ideologie ormai tramontate. Senza che i più si facciano la domanda chiave, quella a cui risponde il Papa all'inizio di questa storia.

Marc Augé
Le tre parole che cambiarono il mondo
Milano, Cortina, 2016
pp. 94  €8,00

martedì 10 gennaio 2017

Camus libertario

Alla prima apparenza questo testo è una biografia di Albert Camus, nella quale Onfray legge con accanimento degno di una missione, tutta l'opera del grande filosofo e scrittore francese, comprese le lettere e molta documentazione diretta poco nota tratta dai materiali d'archivio di Camus che Onfray ha potuto lungamente studiare.
Ma Onfray non si limita a questo, il suo obiettivo più profondo è infatti duplice: da un lato riabilitare lo scrittore duramente  attaccato in vita, ma anche dopo la morte prematura nel 1960; e dall'altro esaltare la proposta che egli ricava dall'esperienza di Camus, di un progetto politico libertario, anticomunista ma da sinistra, anticapitalista e antioppressivo.
Sul primo versante Onfray non risparmia critiche feroci alla schiera intellettuale capeggiata da Jean Paul Sartre e Simone de Beauvoir, che ha guidato la cultura francese - e non solo - del Novecento, tra grandi obiettivi, svolte e giravolte, e prese di posizione, spesso contraddittorie, quasi sempre smentite dalla storia, e non esenti da ipocrisie e meschinità personali.
Ne esce, di converso, esaltata la figura di Camus, figlio di una famiglia povera, intimamente legato alla propria terra natale, l'Algeria, artefice del proprio destino ad onta di tutte le difficoltà, l'emigrazione, la guerra, la resistenza, la malattia...
Dall'altro lato, invece, Onfray sembra usare la figura di Camus per elaborare una sorta di manifesto politico che riprende i riferimenti classici della tradizione anarchica, Stirner,  Proudhon, per ricollocarli in uno schema adatto al Terzo Millennio. Evocando quindi un anarchismo non violento, e non integralista, che chiude i conti con il marxismo leninismo, ma anche con il pensiero giudaico cristiano, niciano ma di sinistra, che punta a una democrazia pratica, e promuove una politica che non sia solo commercio di concetti ma attività pratica, nella quale si contemoeri l'etica della convinzione con l'etica della responsabilità, nessun sole dell'avvenire, nessuna rivoluzione priovvidenziale, ma un niciano sì alla vita e un no a tutto quello che la ostacola.
Non so se davvero ci sia Camus in tutto questo, e ho il sospetto che ci sia prevalentemente Onfray, ma soprattutto non posso negare la spiacevole sensazione di trovarsi di fronte ad un progetto che non pare poi tanto diverso da quello della quadratura del cerchio. Probabilmente la figura di Camus merita un percorso di rilettura più rispettoso e più umile, che sappia far riemergere quel che la distanza storica oggi rende più chiaro e più interessante, cioè l'esperienza di una vita filosofica autenticamente vissuta.

Michel Onfray
L'ordine libertario. Vita filosofica di Albert Camus
Milano, Ponte alle Grazie, 2016
pp. 573  € 28

lunedì 9 gennaio 2017

Stare nel quotidiano

Perché, naturalmente, c'è modo e modo di stare al mondo, ci sono mille modi diversi di affrontare l'esistenza, ci sono mille modi diversi di leggere, comprendere, interpretare, trasformare, descrivere, "un presente che è spazio, ambiente, circostanze, che coincide in generale con il quotidiano ed è fatto di reti sociali, relazioni, impegni, emergenze" (S. Natoli, Stare al mondo. Escursioni nel tempo presente, Milano, Feltrinelli, 2002, p. 8).

Filosofia nel quotidiano: chi ci sta?


mercoledì 4 gennaio 2017

La bellezza e il destino dell'uomo

Riuniti a discutere del ruolo della bellezza nel destino umano, due fra i massimi interpreti del nostro tempo, Agnes Heller e Zygmunt Bauman, offrono le loro risposte in questo libro piccolo ma prezioso. La grande filosofa ungherese, allieva di György Lukács, fa notare il legame originario greco tra bellezza e amore e poi ripercorre le mutevoli accezioni del bello nel pensiero occidentale per ricavarne la conclusione che pur nelle diverse interpretazioni ciò che è in gioco è sempre la stessa questione: quali sono gli effetti della bellezza in noi? E la risposta che Heller propone è la stessa di Adorno, secondo il quale il bello è una promessa di felicità, e forse è destino della felicità di restare sempre una promessa.
E' per questo che la bellezza può salvarci dalla disperazione. Perchè, aggiungo io, la bellezza ci mette in condizione di pensare che un altro mondo è possibile, migliore di questo.
Da parte sua invece il sociologo polacco padre della "modernità liquida", sottolinea come la missione dell'arte contemporanea sia quella di rompere il velo della falsa armonia, della banalità, del conformismo, del consenso e della fede nell'ordine costituito.
Potrebbero sembrare due letture diverse, ma a ben guardare appaiono invece del tutto coerenti: da qualsiasi parte si osservi la bellezza, dal lato pacificato e armonico o da quello dissonante e problematico, ciò che emerge è che essa non è una formula, ma è piuttosto una variabile, essa può assumere forme differenti nel tempo, nel contesto, nelle aspettative, nelle aspirazioni, ma in tutti i casi la bellezza è un agire rivolto al meglio possibile, che sia una promessaa di felicità o comunque qualcosa che si riveli utile per rendere il mondo "un posto più ospitale per la vita degli esseri umani".

Agnes Heller - Zygmunt Bauman
La bellezza (non) ci salverà
Trento, Il Margine, 2016
€ 5,00