A cura di Stefano Zampieri - Consulente Filosofico

lunedì 16 gennaio 2017

Dio non esiste

Che un antropologo, uno scienziato sociale, uno studioso accademico come Marc Augé potesse scrivere una favola sovversiva e irriverente come questa, non può che stupire. Eppure l'esito è davvero deliziosamente felice, e ricorda il tipico conte philosophique settecentesco, sapido e intrigante, che ti obbliga a farti delle domande e a tentare delle risposte.
Lo spunto è folgorante: Papa Francesco che annuncia solennemente dall'alto della sua cattedra che Dio non esiste, sono queste le tre parole che fanno cambiare il mondo. Da esse discende tutta la narrazione, attraverso la quale Augé elabora una sorta di utopia, che configura un mondo senza tutte le religioni, o meglio che converte l'istinto religioso facendone emergere il grande segreto, e cioè il fatto di custodire quanto di migliore vi sia negli uomini, ovvero la loro piena consapevolezza della vita.
A partire da tale assunto gli uomini tornano a costruire una nuova forma di solidarietà, a partire dal sapere che la vita dopo la morte esiste, ma è quella dei vivi e non quella dei morti, e che la certezza che tutto abbia una fine è ciò che dà valore agli inizi.  Il progresso dell'umanità in questa favola pare dunque legato al superamento pacifico di tutte le istituzioni religiose, alle quali si contrappone una ripresa illuministica della ragione, ma ancor meglio una prospettiva umanista e un sogno di pacificazione universale, il sogno di una umanità rivolta al sapere, al superamento della povertà e dell'ingiustizia.
Nulla di nuovo in questo, è il sogno che in tante forme l'uomo ha sempre coltivato, il sogno del meglio di fronte alle difficoltà dell'esistenza, un sogno senza il quale ci troveremmo ancora all'età della pietra. Ne abbiamo bisogno, non possiamo farne a meno, è ciò che io chiamo saggezza.
Immagino che i credenti non troveranno molto di cui compiacersi in questo racconto, rispettoso e sereno ma tagliente, invece l'ateo che è in me nel percepire una sintonia profonda con le parole di Augé spera che esse valgano almeno a sollevare qualche ragionevole dubbio su ciò che oggi pare tornato ad essere un luogo comune diffuso e pervasivo: la nostra è infatti una società che sta tornando ad una cultura pre-illuministica e pre-scientifica, che sta rivalutando atteggiamenti che in altri tempi avremmo definito superstiziosi, che sta riabilitando il pensiero magico.
In questo quadro le religioni tornano ad essere un punto di riferimento che prende il posto delle vecchie ideologie ormai tramontate. Senza che i più si facciano la domanda chiave, quella a cui risponde il Papa all'inizio di questa storia.

Marc Augé
Le tre parole che cambiarono il mondo
Milano, Cortina, 2016
pp. 94  €8,00

1 commento:

  1. Eh, eh, capisco il tuo punto di vista. Non ho il letto il libro, ma la tua descrizione non lascia molti dubbi sul suo tenore.
    Nella mia prospettiva è molto difficile eludere il nichilismo di un celebre personaggio di "Delitto e castigo", quando esclama: "Se Dio non esiste, tutto è permesso". Non a caso lamenti che il testo di Odifreddi, più sopra presentato, sia debole sotto il profilo "morale".
    Come potrebbe non esserlo? Le "generazioni future", la "Terra" surrogano il vecchio, caro Dio, ma esprimono una necessaria trascendenza, senza di cui il ripiegamento su noi stessi, piacevole, in apparenza, ma in definitiva disperato, parrebbe inevitabile.
    Prevengo l'obiezione: "Ma noi siamo relazione". Ma anche questa è un trascendenza. Noi dobbiamo vivere nella cultura, nella trascendenza, in ultima analisi: in Dio. Non possiamo essere solo corpi, anche se volessimo esserlo.
    La domanda, a mio modo di vedere, non è se Dio esista, cosa auto-evidente, ma Chi Egli o Esso sia. Le religioni storiche lo rappresentano talora in modo risibile, se i loro racconti vengono presi alla lettera. Ma se le consideriamo arzgogoli letterari intorno all'inesplorato mistero dell'esistenza (dell'essere, della vita, dell'intelligenza), tali narrazioni riacquistano lo splendore dei migliori romanzi.
    Insomma: non è facile sbarazzarsi delle "cause" finali e formali se vogliamo tentare di penetrare i misteri tanto dell'universo quanto della nostra coscienza.
    Il reincanto del mondo, quella magia che tu sembri paventare, è, nella mia prospettiva, la sola speranza che ci resta. Non dimentichiamo che è per una simile speranza (non per un mondo disincantato e meccanizzato) che qualcuno, sputando sul crocifisso, fu arso vivo nel 1600 al Campo dei Fiori.

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