A cura di Stefano Zampieri - Consulente Filosofico

martedì 12 maggio 2020


13  SILENZIO

Martedì, faceva un po’ più fresco del solito, ma era il giorno del silenzio e nessuno ci faceva caso. Marco, seduto come al solito in terrazza, per studiare l’ultimo esame di filosofia, si arrotolava una sigaretta pensando a sua madre a suo padre che gli facevano pressione tutti i giorni perché la finisse di  studiare una buona volta e si trovasse un lavoro. Nel giorno del silenzio non poteva che rispondere agli sguardi dei suoi con altri sguardi e il discorso si arenava lì, ed era meglio così. Si accese la sigaretta e guardò fuori. Nel giorno del silenzio l’impossibilità di parlare ci rendeva tutti più capaci di ascoltare. Ma, per paradosso, proprio nel momento in cui tutti erano più sensibili e più ricettivi, accadeva che nell’aria dominava soprattutto un insolito silenzio. Come non accade mai nella vita comune. Non passavano auto, non si sollevavano saracinesche, non si urlava da una finestra all’altra, non si chiacchierava per strada, nessuno trascinava i piedi sull’asfalto, nessun campanello di bicicletta, nessuno parlava al telefono, nessuna televisione accesa. Nel giorno del silenzio si sentiva solo il silenzio, il frusciare del vento sugli angoli delle case, lo sfarfallare d’ali di un colombo, un cinguettio lontano. Se poi uno era dotato d’un udito particolarmente sottile, come Marco, avrebbe potuto sentire anche il respiro delle persone e il batter di ciglia e lo sbadiglio soffocato di chi si svegliava, e il fruscio della doccia dentro le case. Ma se qualcuno gli avesse chiesto «Cosa senti?», Marco avrebbe risposto con ragione «Il silenzio», e avrebbe sorriso perché ormai, il silenzio, si può ascoltare soltanto nel giorno dedicato. Gli altri giorni l’abbiamo cancellato.

domenica 3 maggio 2020


12   INVISIBILE

Quel venerdì c’era un bel sole. E l’aria si era riscaldata, quasi quasi pareva aprile. Ma le strade erano deserte. Luccicavano i tetti umidi dalla notte, le antenne si stagliavano sull’azzurro del cielo. I colombi tubavano nelle grondaie.
Ma nell’aria, controluce, si vedeva benissimo un certo pulviscolo, chissà polveri più o meno sottili, ma l’aria normalmente non si vede. E ciò che non si vede siamo portati a pensare che non c’è. Come se non ci fosse niente nell’aria, dunque. Come se l’aria stessa fosse niente. Ma allora cosa respiriamo?
Quel venerdì Silvano M., giovanotto di nessuna speranza, navigatore all’asciutto, video giocatore accanito, smanettone, troll, odiatore seriale, so era inventato una giustificazione a prova di controllo, ed era uscito di casa fingendo di portare un sacchetto di viveri alla nonna malata. In realtà la nonna stava benissimo, e il sacchetto se lo sarebbe riportato a casa, ma intanto, furbone, lui si sentiva autorizzato ad andarsene a spasso per la città, non che avesse qualcosa di preciso da fare, voleva solo verificare se il sospetto che gli albergava in testa da settimane, era fondato o meno.
Perché davvero non c’è niente di sicuro se non quello che puoi constatare di persona. E Silvano questo voleva fare: controllare, verificare, appurare, accertare, di persona, lui stesso, con i suoi occhi. Perché possono raccontarci quello che vogliono, ma da qualche parte questo virus deve pur essere. E allora si tratta di scovarlo.
Armato di una bella lente d’ingrandimento da filatelico, ma soprattutto da investigatore dei fumetti, Silvano prese a girare la città, osservando i particolari, perché è chiaro che è proprio nei particolari che s’annida il mistero. Le maniglie dei portoni, i campanelli, intorno ai tombini, le mattonelle del marciapiedi, il manubrio della bicicletta, le portiere della macchina.  
Incontrò un postino, con la sua bella mascherina e i guanti. Lo fermò, gli chiese di stare fermo solo un attimo, osservò le mani, la borsa, la corrispondenza, la bicicletta, lo osservò perfino sulla faccia, attorno alle labbra. Fin che quello s’irritò e se ne andò lanciandogli qualche improperio. E poi esaminò i sedili della fermata del tram, e arrivò il tram, lo prese, non c’era nessuno, scrutò attentamente le sedute, e i poggia mano, e le macchinette dei biglietti. Scese e proseguì verso il centro. C’erano da osservare mille particolari, le porte scorrevoli della banca, la panchina, il bidone della spazzatura, i ferri di un cancello, una passante con le borse della spesa. Cercò di fermarla, ma quella si rifiutò e allungò il passo. Si accucciò a esaminare i punti in cui la signora aveva poggiato i piedi, perché le suole delle scarpe sono infide. Esaminò persino le sue scarpe, nel dubbio. E poi si rialzò e riprese l’indagine. L’ingresso del supermercato, i carrelli, lì di sicuro avrebbe trovato qualcosa, provò a entrare e iniziò una sistematica analisi degli scaffali e delle merci più esposte, quelle che la gente tocca per esaminarla. Ma dopo un po’ si rese conto che non ce l’avrebbe mai fatta e che era preferibile un’indagine a campione. Lasciò perdere il settore cibo per animali, e anche quello della pasta, si concentrò invece sulla corsia dei detergenti e degli shampoo, perché la gente li prende in mano per leggere meglio le etichette, e poi sugli sportellini dei banchi frigoriferi, punti che tutti toccano. Li avrebbe trovato qualcosa.
Eppure, alla fine di tutto quel lavoro alla conclusione di una giornata intensa di ricerche, di ingrandimenti, di sguardi indagatori, di dubbi e di incertezze, il risultato fu chiaro, limpido, inequivoco. Silvano era arrivato a una conclusione assoluta che avrebbe reso noto quella sera stessa su tutti i social.  Il virus era invisibile per il semplice motivo che non esisteva. Non c’era proprio niente, da nessuna parte. Niente di niente. L’avrebbe scritto. Tutti dovevano sapere. La verità.