A cura di Stefano Zampieri - Consulente Filosofico

lunedì 25 settembre 2017

L'articolo su Repubblica e il professionismo

Il bell'articolo di Repubblica sulla Consulenza filosofica, finalmente offre una ricostruzione trasparente e non ipocrita della situazione da parte di una persona competente. La mia sensazione è che continuiamo a sbattere la testa contro una contraddizione che non è risolvibile, e che per altro lo stesso articolo suggeriva nel finale. C'è poco da fare, se si vuol fare della filosofia una professione bisogna accettare le regole della professionalità. Non averlo fatto, cercando soluzioni di compromesso, aggirando gli ostacoli, inventandosi definizioni insostenibili, ecc. è una dei motivi per cui la professione "non è decollata". Proporre un'attività come professionale impone certe scelte, (regole? dogmatismi?) non si può continuare a fare una battaglia per rifiutare concetti come l'aiuto, la cura, il rapporto con il cliente, la questione dell'efficacia e della sua misurazione, non si può presentarsi sul mercato senza una provenienza comune (cioè una filosofia della consulenza, un'antropologia, un'idea dell'uomo ecc.) identificabile, un metodo di lavoro riconoscibile, strumenti e protocolli condivisi. O si accetta questa impostazione o non si fa professionismo. La storia di questi 15 anni lo ha testimoniato in modo inequivocabile. Personalmente non intendo accettarli e infatti mi oriento oggi con molta soddisfazione verso la realizzazione di pratiche filosofiche CON gli altri non PER gli altri, nella creazione di spazi di pensiero e nel lavoro di ricerca intorno a una filosofia nel quotidiano (ciò che nella mia visione dovrebbe essere una filosofia della consulenza filosofica). E non ho nulla da replicare a chi decidesse infine di farsi carico veramente del "professionismo" in questo senso. Purchè sia cosciente che la contraddizione in questo caso non può esser aggirata, ma deve essere affrontata scegliendo una via o l'altra. O il professionismo con le sue regole, oppure la pratiche filosofiche fuori della sfera professionale.

2 commenti:

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  2. Come puoi immaginare, pur capendo il tuo punto di vista, non lo condivido. Infatti sembri accreditare un'idea di professione e di professionismo molto "commerciale" (ahimé nelle corde anche di taluni pretesi filosofi professionisti che, svilendo la professione, non contribuiscono certo a qualificarla) che non solo certi filosofi consulenti (o "immaginati" tali) respingerebbero, ma che anche moltissimi seri professionisti della cura, dell'educazione, della cultura (p.e. certi editori coraggiosi), della giustizia, dell'informazione (certi giornalisti free lance che rischiano spesso la vita per svolgere le loro indagini) difficilmente accetterebbero.
    Per quanto sia banale ricordarlo, la nozione moderna di professione ha molto a che fare, weberianamente, con la "vocazione". Quando è autentica professione (la professione, cioè, non viene svilita) il lucro non ne costituisce il fine, ma il mezzo. Anche un prete o un rivoluzionario... di professione devono "campare", ma, se agiscono in modo sensato, coerente con la loro missione, niente potrà far pensare che il loro fine sia di tipo commerciale.
    Per quanto riguarda i "dogmatismi"... vi sono numerose scuole di pedagogia e di psicologia che preparano egregi professionisti dei rispettivi campi, scuole che presentano abissali differenze tra loro riguardo all'impostazione metodologica, ai quadri concettuali di riferimenti ecc. Nessuno immagina che un'associazione locale di psicologi tenga assieme professionisti che praticano la loro attività in base agli stessi criteri. E questo vale anche per gli insegnanti di latino (chi pratica il metodo Oeberg opera molto diversamente da chi segue un approccio tradizionale). Eppure tutti costoro legittimamente si associano per difendere certi loro interessi sulla base di minimi tratti distintivi comuni (in genere riferiti alle loro finalità, non ai loro metodi).
    Credo che il fallimento della consulenza filosofica come pratica professionale diffusa e riconosciuta affondi ahimé in molto altro che in una semplice, mancata "assunzione" di una veste tipicamente professionale (anzi, questa l'avrebbe resa ancora più risibile, rispetto alle pretese della filosofia che ne sarebbe stata "ingabbiata").
    Tutto questo non toglie ovviamente la possibilità a chi se lo può permettere (perché ha altra fonte di reddito) e ci crede di praticare "gratuitamente" la filosofia non "per" qualcuno, ma "con" qualcuno. Ghe mancaria altro!

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