Chi conosce le opere precedenti del filosofo Salvatore Natoli non troverà in quest’ultima fatica, Il posto dell’uomo nel mondo, pubblicato da Feltrinelli, nulla di veramente nuovo e inaspettato. D’altra parte è comprensibile che un grande filosofo ormai ottantenne, riprenda e replichi i propri temi fondamentali, quelli maturati nel corso di un lungo e fruttuoso cammino di studio e di ricerca.
Partiamo dal sottotitolo: Ordine naturale, disordine umano, perché la tesi fondamentale del volume si basa sulla necessità per l’essere umano di saper trarre “dallo stato di disordine la spinta a instaurare equilibri nuovi e superiori”. Ricostruito allora il ruolo dell’uomo come parte essenziale della natura, la parte in grado di rompere l’equilibrio naturale ma anche capace in qualche modo di porvi rimedio. Fatta emergere allora la necessità per l’uomo di realizzare un nuovo modo di produrre e di consumare, il filosofo fa emergere il suo tema classico delle virtù: l’uomo dovrebbe tornare a un’etica della virtù intesa aristotelicamente come il giusto mezzo, il punto di equilibrio fra estremi ugualmente dannosi per l'equilibrio della sua esistenza.
La virtù, che per Natoli coincide, sul modello classico, con l’arte di ben vivere e corrisponde, per usare una formula, alla “capacità di individuare il giusto mezzo in condizioni di variabilità e di agire di conseguenza.” (105) Il governo di sé è l'obiettivo finale e l’unico modo per governare l’improbabile e affrontare il rischio che è componente stabile dell'esistenza umana.
La virtù dunque come habitus e come stile di vita è il solo modo razionale per affrontare un futuro sempre più vicino e angoscioso: sostenibilità, mitigazione, compensazione, adattamento, sono le parole chiave per questa etica delle virtù che faccia rientrare l’uomo all’interno dei suoi limiti. “Non può esservi transizione ecologica - conclude Natoli - senza un cambiamento dei comportamenti: non si tratta di decrescita felice, bensì di una crescita intelligente” (241)
Un finale dunque che colloca Natoli in una posizione più morbida e possibilista rispetto a molti profeti della decrescita, a favore di una crescita controllata, e resa equilibrata da una profonda trasformazione dell’individuo, un individuo che dovrebbe maturare uno stile di vita del tutto nuovo, basato su un’etica delle virtù e un ethos della terra del quale, tuttavia, osservo io, non sembra di cogliere in questo momento nemmeno i germi né presenti né futuri. E’ questo il lato debole dell’intera riflessione, quale motore, quale movente, quale spinta potrà mai portare l’uomo a una nuova etica della virtù?
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