A cura di Stefano Zampieri - Consulente Filosofico

martedì 28 novembre 2023

Lettura di Doctor Faustus di Thomas Mann ( 1947)

 


C'è un che di diabolico nella condizione della solitudine vissuta dall'uomo del Novecento È così che potremmo semplicemente riassumere l'esperienza di Adrian nel Dottor Faustus di Thomas Mann. Il patto col diavolo che gli stipula ha per oggetto la creatività geniale del musicista d'avanguardia che rompe gli schemi della tradizione e costruisce un nuovo tessuto musicale carico di suggestione, di fascino, d'ironia, di bellezza indipendente dalle mode, dai gusti del pubblico, dai meccanismi del mercato. Appunto autonoma elaborazione del genio creativo.

Ma tutto questo non basta. Si fa sempre, ovviamente, notare che il prezzo dello scambio diabolico è la dannazione eterna come vuole l'archetipo di questa figura letteraria, ma non si osserva a sufficienza che in realtà il romanzo non si sbilancia affatto verso la prospettiva ulteriore, non lascia intravedere il destino di un'anima precipitata nel fuoco dell'inferno. E che piuttosto il segno del diavolo e altrove; è presente, e nel presente di Adrian, è nella sua realtà, è nel deserto che Adrian scopre intorno a sé,  nell'impossibile rapporto d'amore, che tutto il più può prendere le carni della prostituta da cui Adrian si lascia significativamente contagiare dalla malattia, è nello scomparire dell'amico più caro, persino nella morte del fanciullo con cui Adrian aveva trovato un inaspettato sentimento di partecipazione paterna. Il diavolo fa terra bruciata intorno ad Adrian, crea un infernale solitudine, nella quale l'artista vive con profonda drammaticità il suo destino creativo. Ecco il segno dello scambio. Ecco l'anticipo della dannazione eterna che il protagonista inizia a scontare fin da subito.

Si potrebbe riflettere, poi, sul fatto che questo patto infernale venga costantemente, nel corso del romanzo, associato al destino storico della Germania nazista. Perché è chiaro che, nella mente dell'autore, c'è una connessione diretta come fra microcosmo e macrocosmo. E il destino individuale di Adrian corrisponde a quello collettivo della nazione tedesca che sconta è proprio delirio di onnipotenza, la propria affermazione, con una irrisolvibile solitudine che la pone al di fuori di ogni rapporto con le altre potenze. Si può discutere di questa prospettiva che scivola dai comportamenti privati alle grandi scelte collettive attribuendo un'anima e una coscienza anche a ciò che non la possiede, la nazione, se non per pura designazione retorica. Ma in fondo anche questo è marginale rispetto all'osservazione più significativa, quella che riconosce nel destino diabolico di Adrian il destino stesso dell'artista della seconda metà del ventesimo secolo, che per creare l'arte contemporanea deve rompere i ponti con gli altri con i propri affetti, e precipitare in una solitudine radicale che è la sua condanna prima di tutto. 

 

 

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