A cura di Stefano Zampieri - Consulente Filosofico

martedì 21 novembre 2023

Lettura di Josè Saramago, Tutti i nomi (1997)

 



 La questione della solitudine radicale contro la quale l'uomo deve combattere è bene illustrata da José Saramago in quel capolavoro che è il romanzo Tutti i nomi (1997), laddove lo scritturale ausiliario signor José, omonimo dell'autore ovviamente, ed il solo personaggio che nella narrazione meriti un nuovo nome proprio, sepolto dentro un’allucinante e kafkiana Conservatoria Generale dell'Anagrafe, ove tutti i nomi e tutti i destini, nascite, morti, matrimoni, figli eccetera sono accuratamente annotati e conservati, per un caso senza ragione e senza senso viene attirato dalla scheda di una donna sconosciuta.

 Egli si getta appassionatamente alla ricerca di questa persona ignota, senza alcuno scopo particolare, senza alcun fine se non quello di incontrare una vita, toccare tangenzialmente una esistenza, rendere familiare una estraneità. Ma l’esito della sua affannosa ricerca è tragico, è, ancora una volta, soltanto il nome su di una tomba, perché la donna si è suicidata. Eppure nemmeno questa è l'autentica conclusione, perché il signor Josè scopre che, anche nelle sepolture, una tragica ironia sposta i nomi dai corpi. Non saprà mai, quindi, se sotto quel nome vi è davvero la persona cercata. Ciò che resta è appunto soltanto un nome e la certezza che l'incontro è impossibile, che l’estraneo non uscirà dalla sua condizione di estraneità, nemmeno per un momento.

 Nell'immensa labirintica Conservatoria Generale dell'Anagrafe, dunque, dove sono conservati tutti i nomi dei vivi e dei morti, si conserva insieme il destino dell'umanità. tragico destino dell'umanità contemporanea, che non sa più trovare una moda per realizzare l'incontro tra le persone, che dietro il nome proprio ha perduto sostanze si è fatto inconsistente, smaterializzato, impalpabile. Puri nomi, gli uomini, che si possono archiviare, catalogare, ordinare alfabeticamente, ma dietro i nomi non c'è più la natura umana pesante ma soltanto un destino di solitudine che gli uomini non sanno più contrastare.

Nel labirinto dell'anagrafe, che bisogna percorrere legandosi un filo rosso la caviglia per non perdersi, è conservata la sua realtà del genere umano un genere scomparso la cui esistenza in vita, la cui morte sono stabilite soltanto dalla annotazione su di una scheda. 

Come sia potuto accadere un dramma di queste proporzioni, Saramago aveva già raccontato nell'apocalisse del romanzo Cecità (1995), ove metteva in scena il  degrado assoluto che, nella situazione estrema, un inspiegabile epidemia, trascina l'uomo agli istinti più bassi, alla dissoluzione di ogni moralità, alla perdita di ogni valore, alla cancellazione di ogni briciola di civiltà. Questa straordinaria metafora della società umana ridotta a un luogo ibrido, fra manicomio, ospedale, campo di battaglia, offre l'immagine tragica del destino dell'umanità, e indica la colpa a cui nessuno si può sottrarre, e la pena che non risparmia alcuno.

Se in questo deserto si può intravedere una traccia di vita, forse, è soltanto nel rendersi conto che noi stessi siamo la realtà. Ed è questo l'ultimo segnale inviato da Saramago con il romanzo La caverna (2000) conclusione di una ideale trilogia con i due romanzi precedenti laddove i protagonisti assumono le vesti dei prigionieri di Platone, che escono dalla caverna e si liberano, quindi, del mondo delle apparenze, della realtà delle ombre, nel momento in cui si rendono conto appunto di essere loro stessi la realtà e abbandonano l'ennesima metafora della civiltà occidentale, il Centro Commerciale, avviandosi senza meta e senza sicurezza alcuna alla scoperta del mondo circostante, del mondo vero, di quanto resta del mondo dopo la smisurata devastazione che gli uomini hanno compiuto.

Se dfunque, l'uomo può ancora sperare di tornare sostanza, tornare ad essere carne e sangue e volto e mani, se può immaginare di non essere soltanto un nome dentro un apparato burocratico, o un'ombra fra ombre in un universo di apparenze, di menzogna, ciò può accadere esclusivamente a partire da una scelta carica di rischio, di drammaticità. La scelta di essere se stessi, quel fango da cui siamo stati creati e di cui lungamente discorre il vasaio protagonista de La caverna. Però necessita il coraggio di immergersi nel mondo vero, nella realtà pesante delle cose, destinata al proprio ciclo naturale di vita di morte. Soltanto così è possibile trovarsi nel luogo dell'incontro, dove gli esseri umani si toccano, e stabiliscono relazioni capaci di rompere l'isolamento della solitudine. 

 

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