A cura di Stefano Zampieri - Consulente Filosofico

mercoledì 27 novembre 2024

Tim Ingold, Antropologia 2018

 

 


Confesso un interesse particolare per Tim Ingold perché è un antropologo che ha capito perfettamente il legame profondo tra antropologia e filosofia nel campo dell’analisi del quotidiano e quindi lo sento particolarmente vicino ai miei interessi.

“L’antropologia – scrive - , dal mio punto di vista, è una filosofia che include la persona.” (13) E quindi deve porsi in una situazione intermedia tra una filosofia tutta astratta e una antropologia classica tutta centrata sull’esperienza.

Invece l’antropologia odierna, secondo Ingold, deve nutrirsi tanto di esperienza quanto di immaginazione, rinunciando a un sapere oggettivo e basato sulla     quantità preferendo una saggezza fondata sulla qualità.

Afferma: “Studiamo con le persone piuttosto che fare studi su di esse. Chiamiamo questo metodo di lavoro «osservazione partecipante», che è la pietra angolare di questa disciplina.” (18) Si tratta di trovare insieme dei modi di vivere e la prima regola è prendere gli altri sul serio. Le diversità sono quello che appare, non c’è contraddizione tra natura e cultura, nel senso che per natura dipendiamo dalla cultura.

Schematizzndo:

                   Natura           vs             cultura

                   Immobilità                     mutamento

                   Chiusura                        apertura

“Gli esseri umani sono il prodotto di una interazione tra cause interne ed esterne, tra geni e ambiente. “ (36) Siamo artefici della nostra vita seppure a partire dalle condizioni offerte dall’ambiente e dal nostro passato. Gli esseri umani (a differenza degli animali) devono continuamente imparare a costruire la loro identità che però è sempre una identità relazionale.

Ingold distingue tra i campi tradizionali dell’antropologia: antropologia fisica (misurazione di crani, ecc); archeologia (manufatti…); antropologia sociale (studio comparato delle società umane…), e fa notare che rispetto alle prime due (evoluzionistiche) la terza ha rappresentato la vera svolta. Da qui il funzionalismo (come funzionano le società) contrapposto all’evoluzionismo (come evolvono le società) => sostituzione dell’idea di razza con l’idea di cultura.

Nascono allora l’antropologia culturale e lo strutturalismo (e strutturalismo marxista).

Altra svolta Ingold attribuisce a se stesso quando intuisce che tra la persona (relazioni, società, culture) e l’organismo non c’è né competizione né collaborazione perché si tratta di una unica entità, cioè che “l’organismo-nel-proprio-ambiente era a tutti gli effetti un essere-nel-mondo” (80).

Gli uomini sono esseri biosociali e si costruiscono nel corpo e nella mente attraverso la relazione : “La realtà stessa è relazionale a ogni livello.” (86)

Ma cosa sono le relazioni sociali?

- Una sequenza di interazioni che emergono nel corso del tempo

- un rapporto non solo tra individui ma tra ruoli che ognuno ricopre dentro una struttura sociale

- un modo escogitato dagli uomini per andare avanti insieme.

Le relazioni generano gli esseri che legano. In questo senso: ”Il soggetto dell’antropologia è l’umanità non segmentata.” (99) Cioè intesa in una visione olistica, quella dell’uomo totale (espressione di M. Mauss).

L’affermazione di questa nuova antropologia è possibile se si rinuncia a utilizzare due categorie tradizionali: razza e cultura.

mercoledì 20 novembre 2024

Marco Aime, Cultura, 2013

 



 “La cultura è la base e allo stesso tempo l’essenza stessa della nostra vita. Determina il nostro agire quotidiano, così come ha modellato i nostri corpi nel corso dell’evoluzione. (…) la cultura non è solo un supporto della natura umana, ma è il fondamento della sopravvivenza stessa della nostra specie.” (12) È questa la tesi principale espressa nel libro dall’antropologo Marco Aime.

L’essere umano è in animale incompleto e indefinito. Ma proprio questa mancanza di specializzazione lo ha reso adattabile a ogni condizione ambientale. Ed è questa la sua arma vincente. Adattabilità significa sostituire gli istinti “con una serie di azioni e di strategie che siamo soliti chiamare culture.” (16), al plurale.

Definizione classica di Cultura (Edward Tylor 1871): “La  cultura, presa nel suo significato etnografico più ampio, è quell’insieme che include conoscenze, credenze, arte, morale, legge, costume e ogni altra capacità e usanza acquisita dall’uomo come appartenente a una società.” (20)  => evoluzionismo culturale.

Il primo a parlare di culture al plurale è Boas, che insiste sulla specificità di ogni espressione culturale => relativismo culturale.

Per la Scuola funzionalista (Malinowski): la cultura va intesa come risposta che ogni società elabora alle stesse domande e a bisogni universali: mangiare, dormire, ripararsi, riprodursi, ecc.

Per la Scuola strutturalista (Levi-Strauss): ogni cultura si rifà a un modello => ricerca degli elementi comuni alle diverse culture.

La svolta in          questo campo di studi si ha con Clifford Geertz, secondo il quale la cultura è un sistema simbolico e un meccanismo di controllo. Non esiste una cultura umana astratta, separata dalle condizioni ambientali in cui si sviluppa. Ogni cultura ha valore locale.

Oggi: la cultura è il prodotto di una costruzione ed è il frutto di relazioni fra più individui. E non esiste contrapposizione tra natura e cultura ma continua interazione (es. da Leroi-Gouran: il cervello si è sviluppato perché l’uomo ha usato gli utensili, non viceversa). La cultura modifica il corpo.

Ogni società interpreta secondo la propria cultura il rapporto con lo spazio, il tempo, la bellezza, la religione, il matrimonio, la medicina.

Cultura dunque come modo di leggere e interpretare il mondo che ci circonda, spesso dettato da esigenze ambientali e arricchito da molte contaminazioni e soggetto a un cambiamento continuo. Oggi influisce pesantemente anche la globalizzazione.

Di conseguenza si creano distorsioni intorno al tema dell’identità (radici, tradizione, ecc.) ma anche l’identità è un processo relazionale, non è mai unica ma plurale e mai definitiva (cioè muta col tempo e al mutare delle condizioni ambientali.

mercoledì 13 novembre 2024

Pierre Clastres, La società contro lo stato (1974)

 


Testo fondamentale dell’antropologia del ‘900 introduce allo studio della dimensione politica anche nelle società “selvagge”.

Il potere politico secondo Clastres non è un fatto naturale ma deriva da una dimensione culturale. Ma nega che l’opposizione sia tra società con o senza il potere (ove potere significa = relazione comando/obbedienza»), ma bensì tra società senza stato e società statuali.

Contesta che le società arcaiche siano società di pura sussistenza (visione tutta occidentale). In realtà tutte le società sono “politiche” anche indipendentemente dal rapporto comando/obbedienza (che è solo un caso particolare non l’essenza del potere).

Anche nelle società dove non c’è l’istituzione politica, anche là la politica è presente. E si pone il problema del potere. Non si può pensare il sociale senza il politico quindi non ci sono società senza potere. Ciò significa che chiedersi cos’è il potere è uguale a chiedersi cos’è un società.

Nelle società amerindie, per esempio, il capotribù è tale per tre motivi:

- è un pacificatore

- deve mostrarsi generoso

- è un buon oratore.

Spesso l’istituzione del capo è legata anche alla poligamia. Il potere del capo dipende dal consenso del gruppo. La socialità appare come scambio (di beni, di donne ecc.). Ogni presa di potere è anche una assunzione di parola. Nelle società senza stato il capo detiene il monopolio della parola. Chi comanda? Chi parla. Ma il capo parla senza dire nulla di importante perché nella società senza stato il potere non si trova presso il capo e dunque la sua parola non può essere parola di potere, di comando. non c’è infatti obbedienza:  la società stessa è il luogo del potere.

Ciò che caratterizza le società occidentali  sono due presupposti:

- la vera società si realizza nello stato

- l’uomo deve lavorare

Due principi negati dalle società senza stato. Tali società ci insegnano dunque (vs Marx) che la struttura è la politica (cioè la nascita o meno dello stato ovvero della gerarchia, l’assoggettamento la relazione comando/obbedienza, cioè la relazione di potere) e la sovrastruttura è l’economia.

 


mercoledì 6 novembre 2024

Letture: Marco Aime, Il primo libro di antropologia Einaudi 2008

 



Intende l’antropologia come lo studio delle relazioni fra gli uomini. E contrappone relativismo a etnocentrismo.

Sintetizza il relativismo con l’osservazione di Clifford Geertz secondo cui “I problemi essendo esistenziali sono universali, le soluzioni essendo umane sono diverse.”

Ecco un panorama dei temi di cui si occupa l’antropologia (cita il motto: il filosofo si occupa di Dio, lo psicologo dell’Io, l’antropologo dello zio, nel senso che parte sempre dai rapporti di parentela):

- il corpo e la sua trasformazione e rappresentazione

- le fasi della vita, nascere, morire, ammalarsi ecc.

- le pratiche legate alla nutrizione

- il linguaggio , oralità e scrittura

- le fasi dello scambio e del dono, la moneta, il consumo

- le reti di parentela

- l’assetto politico delle società, origine e trasformazione del potere

- il modo in cui ogni società immagina la propria identità (comunità, etnia, confini, comunità immaginate …)

- la tecnologia dei vari gruppi umani, saperi, tecniche

- l’abitazione nei vari gruppi umani

- il rapporto con il tempo e lo spazio

- le diverse espressioni artistiche

- il rapporto con la religione e il soprannaturale

 

In tutti questi campi i dati a disposizione dell’antropologo delineano la forma delle diverse culture (al plurale). Comparare le diverse culture alla ricerca di tratti comuni all’umanità è un possibile lavoro. Al fine di intrecciare un dialogo che non sia etnocentrico ma rispettoso delle diversità.