A cura di Stefano Zampieri - Consulente Filosofico

lunedì 30 marzo 2020



3    ARIA




L’aria umida e pesante si infiltrava ovunque. Sospinta da un vento teso e ostinato, entrava in ogni spazio della città, premeva su porte e finestre, agitava gli alberi, scivolava sui tetti, circondava le auto parcheggiate, faceva vibrare i cartelli stradali.

Non c’era nessuno. Gli abitanti erano tutti barricati nelle loro case, intenti a respirare un’altra aria, un’aria del tutto diversa, sintetica, conservata preziosamente entro certi alti barattoli a cilindro, che il distributore lasciava fuori della porta di casa come un tempo si lasciavano le bottiglie del latte.

Aria buona, ma non la stessa per tutti. C’era chi poteva permettersi l’aria di alta montagna, l’aria himalaiana, chi quella delle colline, chi preferiva investire in un’aria leggermente profumata di zenzero e cannella, aria d’oriente, oppure gli intenditori si contendevano la gelida aria polare o quella calda e morbida polinesiana.

E c’era invece chi si doveva accontentare dell’aria della periferia, di quella dei capannoni industriali, degli avanzi delle arie già respirate dagli altri. Arie da pochi soldi, per la massa, per la genti di gusti grossolani. Quale che fosse, ognuno respirava la propria. Mentre fuori il vento venefico soffiava senza tregua, portando ovunque notizia di quel virus che tutti ormai avevano imparato a conoscere.


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