Qui, proprio ora. Adesso. In questo particolare campo di
spazio tempo. In questo frangente in questo evento. Voglio dire: il quotidiano
è prima di ogni cosa un qui e ora.
Certo anche nel quotidiano, viviamo gli sbilanciamenti, i
movimenti della nostalgia, della colpa, del rimorso, della speranza,
dell'attesa, del progetto, viviamo cioè tutto quel che per semplicità definiamo
come ambito del passato e del futuro. Ma il punto di partenza, sempre, è un qui
e ora. Perché è distintivo che il pensiero del quotidiano appaia collocato, c'è
appunto emerso in un particolare spazio tempo, nel quale io che scrivo, io che
racconto, io che penso, mi trovo appunto a pensare, o a parlare.
È da qui, da questa precisa prospettiva, da questa parte del
mondo e della storia che io posso parlare e pensare così come faccio, così come
rappresentato in queste righe. Il quotidiano è sempre situato perché è un gesto
non simulato ma è accadimento, evento.
Il filosofico nel quotidiano è, dunque, prima di tutto
presenza, cioè determinazione di un campo spazio temporale. Qui e ora.
Bisogna forzare la scrittura, perché essa è per sua natura
lavoro di ripetizione, che spezza la linearità dell’hic et nunc e introduce
piuttosto la ripetizione: ogni lettura è ripresentazione, momento che si replica.
Non possiamo cambiare la natura stessa della scrittura, ma possiamo appunto
"forzarla" o forse "provocarla", ad esempio fissando nero
su bianco quel momento creativo: sono le 15:36 del 5 gennaio 2018 a Mestre.
Questa indicazione, è ovvio, diventa ora che è stata scritta, un momento
destinato a ripetersi, tuttavia si sforza provocatoriamente di fermarsi dentro
quelle precise coordinate spazio temporali. Assomigliando in questo ad una
fotografia, rappresentazione che appunto cerca di aggirare la ripetizione
mostrandosi quale traccia di un determinato e irripetibile evento nello spazio
e nel tempo.
So, sappiamo tutti benissimo, che al destino della scrittura
non si sfugge, ma almeno abbiamo mostrato quel che il quotidiano esige da noi,
cioè una presenza consapevole. Perché consapevole? Perché una presenza non
consapevole sarebbe un assurdo. Se parliamo di presenza dobbiamo per forza parlare di consapevolezza,
perché la consapevolezza della presenza è la presenza stessa. Una presenza
inconsapevole non sarebbe diversa da un'assenza. Siamo presenti in un
determinato campo dello spazio tempo solo se siamo consapevoli di essere
presenti. La presenza è la consapevolezza della presenza.
"Ma lo sai dove ti trovi?" È quel che chiediamo a
qualcuno quando vogliamo capire il suo stato di orientamento. E viceversa,
"non so nemmeno dove mi trovo", è frase che dice piuttosto uno stato
di confusione mentale, di disorientamento, di assenza appunto.
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