A cura di Stefano Zampieri - Consulente Filosofico

mercoledì 26 giugno 2024

Letture: Ernesto De Martino la fine del mondo (1977)

La fine del mondo. Contributo all'analisi delle apocalissi culturali. Nuova ediz. - Ernesto De Martino - copertina

 

Non si tratta di un libro compiuto ma bensì di un insieme di materiali dai quali sarebbe probabilmente nato un grande libro; in questo caso abbiamo la possibilità di condividere il laboratorio di un studioso di chiara fama e di osservare  la genesi di un pensiero.

Negli anni sessanta dunque l'antropologo Ernesto De Martino ragiona sul fatto che il mondo può finire. Addirittura ventila la possibilità che "l'umana civiltà può autoannientarsi" (70). D'altra parte siamo ancora in tempi di guerra fredda e di pericolo nucleare e nel vicino ricordo dei campi di sterminio eventi che De Martino ha ben presenti ed evoca ripetutamente.

Aggiunge però, all'origine di questo sentire, anche altri fenomeni: le trasformazioni rapide nei modi di vita determinate dallo sviluppo tecnico, le correnti migratorie da campagna a città, da regioni sottosviluppate a regioni industriali; il salto di economie arretrate a economie del mondo occidentale.

Tutti questi fenomeni provocano una serie di crisi di molte patrie culturali. Tanto che sembra di andare "verso un'apocalisse senza escaton, verso il naufragio totale dell'umano." (80) . Tutto ciò ricorda drammaticamente la situazione attuale dove cambiano i protagonisti, che oggi sono piuttosto il riscaldamento globale, l'inquinamento, l'antropizzazione, ma non cambia la conclusione, cioè la prospettiva della fine del mondo.

De Martino, dunque, intravede in tempi non sospetti "quella insidiosa apocalittica occidentale che è caratterizzata dalla perdita di senso e di domesticità del mondo, dal naufragio del rapporto intersoggettivo umano, dal minaccioso restringersi di qualsiasi orizzonte di un futuro operabile comunitariamente secondo umana libertà e dignità, e infine dai rischi di alienazione che si avvertono inclusi, se non nel progresso della tecnica, certamente nel tecnicismo e nella feticizzazione del tecnico." (82)

[Qui, aggiungo io, è anche il fondamento della fantascienza del Novecento].

Apocalissi religiose e culturali, soprattutto nel terzo mondo, apocalittica occidentale e della tradizione escatologico giudaico cristiana, apocalissi psicopatologiche, appartengono, dunque, a uno stesso insieme e vanno messe sotto la lente di una indagine comparativa.

"La cultura ha introdotto nella natura quella forza che si chiama ethos primordiale della presenza, in quanto volontà di storia umana che si oppone alla tentazione dell'eterno ritorno."(132). L’eterno ritorno è prevedibile, rassicurante, ma blocca la possibilità di fare storia per l'uomo.

In questo senso De Martino distingue un tempo etico cioè il tempo della presenza dell'uomo che fa la storia: "il tempo etico, il tempo della presenza che sotto lo stimolo di problemi presenti ripercorre scegliendo la storia della civiltà occidentale, confronta questa storia con quella delle altre civiltà, e prospetta una proposta umana di unificazione del nostro pianeta per renderlo degno della conquista degli spazi cosmici e della nuova storia che ne risulterà. "(137)

De Martino introduce la categoria di apocalisse psicopatologica come perdita della presenza annullamento del Dasein, perdita di storicità, che si realizzano nelle manifestazioni psicopatologiche appunto nelle quali viene meno l’ethos del trascendimento della vita, cioè la domesticità dell'ambiente in cui si vive, l'orizzonte di operabilità con cui trasformiamo e diamo vita alla storia, l'emergere della presenza dell'esserci come essere-nel-mondo.

L'uomo è distacco dall'immediatezza del vivere, cioè trascendimento verso il valore.

 

Il cristianesimo è visto da De Martino come un grande rituale funerario. La ripetizione mitico rituale è una forma di destoricizzazione, il mondo perde la sua operabilità così il tempo ciclico dei Greci si oppone al tempo del Nuovo Testamento che è rigorosamente lineare: dalla rivelazione alla salvezza, centrato su un evento decisivo la morte di Cristo.

 "L'uomo è sempre vissuto nella storia ma tutte le culture umane, salvo quella occidentale, hanno speso tesori di energia creativa per trasformare la storicità dell'esistenza." (304)

 Allora emerge l'apocalisse senza escaton dell'occidente moderno a seguito in particolare, degli eventi del XX secolo da Auschwitz a Hiroshima.

Ciò è ben esemplificato nella letteratura moderna che appare variamente dominata dal tema apocalittico: caduta agli inferi senza ritorno, idoleggiamento del privo di senso e del relativo, dell'irrelato, dell'immediato vissuto, dell'incomunicabile e del solipsistico, del naufragio del rapporto intersoggettivo.

L'arte contemporanea deve scendere in basso perché grave è il pericolo della fine del mondo, ma poi deve saper ritornare alla luce: lotta contro il domestico e familiare, così è l'arte astratta contemporanea, percorso verso l’anormale, l’estraneo, il mostruoso, il gratuito.

Due terrori antinomici governano il tempo presente: perdere il mondo; essere perduti nel mondo.

Esempio della guerra nucleare: "la guerra nucleare è la fine del mondo non come rischio o come simbolo mitico rituale di reintegrazione, ma come gesto tecnico della mano, lucidamente preparato dalla mobilitazione di tutte le risorse della scienza nel quadro di una politica che coincide con l'istinto di morte. " (362)

Indica e cita La nausea di Sartre: "la nausea è il rischio della nuda esistenza, spogliata della presentificazione valorizzante umana, di tutte le memorie operative della cultura e di tutti i nomi evocanti queste memorie, di tutti gli abiti che rendono familiare il mondo: è quindi il rischio del nulla, della fine del mondo, dell'annientarsi di qualsiasi margine rispetto al mondo. Infatti l'esistenza non può essere nuda, e non può perché non deve, e non deve perché essa deve essere ethos del trascendimento intersoggettivo. " (388)

Cita la noia di Moravia, Pavese, Thomas Mann, D.H. Lawrence, cita Lo straniero di Camus, e Aspettando Godot di Beckett.

 Un capitolo a parte è dedicato alla cosiddetta apocalisse marxiana: l'avvento di un mondo storico migliore, la fine del capitalismo, la rivoluzione. Anche se questo probabilmente è il capitolo che più risente della sensibilità del tempo, cioè della cultura degli anni ’60. 

 

L’ethos del trascendimento è il valore dei valori ciò che dà senso alla vita. l'andar sempre oltre. La fine del mondo come rischio è il crollo dell’ethos del trascendimento.

 

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