A cura di Stefano Zampieri - Consulente Filosofico

lunedì 22 febbraio 2016

Meta teoria praticante?

In base alla achenbachiana Consulenza Filosofica intesa come meta teoria praticante, è inevitabile la necessità di rivedere continuamente  la pratica nel suo concretizzarsi, nel suo farsi esperienza vissuta, nel suo continuo andirivieni di pratica/teoria e teoria/pratica, e a soprattutto a fronte di quell'inesauribile novità che è il rapporto diretto con il singolo consultante.
Ma come procede la ricerca/scoperta/revisione in questo campo?
C'è chi pensa che la ricerca non possa che procedere attraverso la confutazione progressiva di argomenti. L'antico e glorioso modello confutatorio è certamente efficace nell'affrontare  soprattutto questioni chiuse, dilemmi, argomentazioni dialettiche per tesi e antitesi, ecc. ma ha evidentemente un limite molto chiaro: discute sempre e solo una posizione, quella iniziale, cioè il punto di vista di chi parla per primo, oppure di chi pone la domanda, ed è quindi tenuto ad utilizzare le sue parole, i termini e i concetti scelti dal primo interlocutore, che rappresentano tuttavia di già una limitazione. E' quanto accade anche nel dialogo di Consulenza Filosofica, se ci si limita ad argomentare punto a punto ci si preclude al possibilità di rompere il cerchio dell'implicazione, quel girare a vuoto (che è sempre un girare di parole, di concetti) in cui il consultante è preso e da cui non riesce ad uscire, quel girare da cui il consultante ricava il proprio disagio.
Lo stesso dunque vale nella ricerca collettiva che deve portare alla continua revisione della Consulenza Filosofica come pratica viva. Il dialogare confutatorio può essere utile in certe fasi, ma deve necessariamente essere accompagnato da altre forma d'argomentazione, per esempio dalla capacità di cogliere il punto chiave, dalla capacità di far sintesi  (con-prendere, nel senso di prendere insieme), dalla possibilità di aprire scenari di senso utili al fine - in questi caso appunto la revisione della Consulenza Filosofica -   oppure dalla capacità di aggiungere o di spostare l'attenzione, non perché l'argomento altrui non sia valido, ma perché è - come tutti gli argomenti - parziale, è una direttrice a fronte di altre; quale la direzione migliore? Senza essere relativisti, è quella che porta più vicina all'obiettivo, la realizzazione della pratica, perché meta teoria praticante significa questo, che la revisione deve diventare azione, pratica efficace (chiedo scusa, "efficacia" è parola taboo). 

1 commento:

  1. Perfettamente d'accordo. L'equivoco di alcuni è che per fare filosofia si tratti di tentare di mettere in discussione la tesi del primo che parla (o che scrive), anche storicamente parlando. In questa visione, se io sono il primo a sostenere una tesi, a promuovere un movimento culturale, a fondare un'associazione ecc. nessuno può mettere in discussione la direzione che ho originariamente impresso a tutto questo se non mi convince del mio torto confutandomi.
    Ma è chiaro il sofisma di tale posizione. Si tratta della questione dell'onere della prova. Sembra di assistere al gioco infantile in cui primo a dire "mio" si aggiudica un premio.
    Ma un'as-socia-zione differisce da una "comunità" o da una "chiesa" obbediente ai dogmi del fondatore (si chiami Paolo di Tarso o Epicuro d'Atene) perché i "soci" sono tutti uguali e insieme, soprattutto, diversi. Si associano per un' "aria di famiglia" che avvertono, ma non perché firmino una cambiale in bianco al fondator dell'associazione. Ciascuno, associandosi, "è più libero di prima" come direbbe Rousseau: conserva il diritto che la sua "visione" venga presa sul serio come quella di tutti gli altri (e dello stesso fondatore); essa è degna di venire condivisa o, se vi si riesce, confutata non meno di quella degli altri (e dello stesso fondatore).

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